Che ansia e depressione, ad oggi, siano sintomi tipici di un giovane su tre, tra i 18 ed i 24 anni, è un dato che si sente ribadire spesso. Le nuove generazioni non se la passano benissimo, sia emotivamente sia psicologicamente. Dal funesto anno dell’emergenza sanitaria in poi, la salute mentale è peggiorata, con un drastico aumento di prescrizioni di antidepressivi e fenomeni come ritiro sociale o autolesionismo. A peggiorare il tutto le pressioni scolastiche, l’impatto dei social media sull’autostima ed il confronto costante con le vite altrui, oltre ed eventi traumatici familiari e ansia per la situazione globale.
Per uscire da questo circolo pericoloso e recuperare un po’ di serenità, negli utlimi anni c’è chi ha deciso di lasciare i telefoni da parte ed abbracciare attività manuali dal sapore retròcome sferruzzare a maglia, ricamare, cucire, ma anche cucinare, dedicarsi alla cura delle piante o al giardinaggio. Pratiche lente, metodiche, quasi artigianali, che ricordano un po’ ‘’i mestieri della nonna’’ e che hanno trovato spazio nelle attività quotidiane dei più giovani.
Cucinare con calma per fare conserve oppure panificare. Dedicarsi all’arte tessile sotto forma di uncinetto, ricamo, quilting o realizzare i propri capi da soli rispolverando la macchina da cucire nascosta da anni nell’armadio. Approcciarsi al giardinaggio, provando a coltivare il proprio micro-orto, verticale o tradizionale. Frequentare circoli di lettura o knit cafè dove si fa a maglia tutti insieme all’interno di un locale pubblico. Sembrano immagini di altri tempi, eppure fanno parte di un quotidiano al quale moltissimi giovani si stanno avvicinando sempre di più, allontanandosi per un po’ dalla luce degli schermi. Anche se è proprio grazie ai social che questi hobby stanno vivendo un momento di gloria. Con internet, e soprattutto Youtube, è sempre più facile accedere a strumenti e video che spiegano passo passo come iniziare un hobby: da che materiali partire, quali sono i “ferri del mestiere”, come realizzare cose semplici fino a tutorial più avanzati. Un modo per allontanarsi dai telefoni (almeno con le mani) e dedicare del tempo ad attività produttive, durante le quali riscoprire l’arte del fare e dell’auto-produzione, alimentando la creatività per allontanare lo stress.
Nonostante l’apparente contraddizione della diffusione di pratiche “manuali” grazie a strumenti “digitali”, i benefici di queste attività su giovani ed adolescenti sono innegabili e variegati. Prima di tutto sulla salute mentale: molti studi hanno dimostrato che le persone che si dedicano a questi hobby hanno meno emozioni negative e sono meno stressate, portando ad un innalzamento dello stato vitale (che in una generazione tendenzialmente portata a deprimersi è comunque un buon risulato). Questo avviene grazie anche alle connessioni che si creano condividendo gli stessi interessi fuori dagli schermi, avendo la possibilità di entrare in contatto con altre persone all’interno di gruppi o corsi dedicati allo stesso hobby (uscendo dal circolo ristretto degli amici di scuola).
Dedicarsi a queste attività è anche un modo per rilassarsi senza ansia da prestazione. Non c’è competizione, non c’è gara a chi ottiene il risultato più bello o più immediato. Qui il principio è quello dell’apprendimento, del divertimento e della pratica creativa, che già di per sé risulta appagante. Creare una sciarpa da soli o vedere un pomodoro spuntare dalla pianta curata con tanto amore è qualcosa di estremamente gratificante. Un tipo di gratificazione non istantanea come un like sull’ultima foto postata sui social, ma guadagnata grazie al tempo e all’applicarsi con costanza ad una disciplina. Lezioni di vita sotto forma di hobby, dove non si cerca la perfezione ma solo un’opportunità di divertirsi facendo qualcosa di costruttivo ed imparando.
La diffusione di queste pratiche è avvenuta anche grazie ai social media, dove il grandmacore è una tendenza non solo estetica ma anche concreta, fatta di video e tutorial dove questi hobby vengono condivisi sotto forma di gesti ed esempi da cui prendere ispirazione o preziosi consigli.
La TikToker trentunenne, conosciuta in rete come The Grandma Cottage, ha un ampio bacino di utenza che quotidianamente divora i suoi contenuti grandmacore; come lei se ne incontrano molte altre, che hanno deciso di rispolverare i ricordi di attività fatte con i nonni e proporle al loro pubblico come modo per uscire dalla routine quotidiana e rallentare.
Che sia una tendenza passeggera o un passaggio naturale verso attività offline più autentiche, solo il tempo lo dirà. In ogni caso i benefici, al momento, sono tangibili per adolescenti, giovani e anche adulti.
Nei giorni del 10 e dell’11 febbraio, Parigi ha ospitato l’AI Action Summit, un vertice internazionale che ha riunito i leader di tutto il mondo per discutere ambizioni, scopi e rivalità riguardanti la corsa allo sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale. L’evento, co-presieduto dal Presidente francese Emmanuel Macron e dal Premier indiano Narendra Modi, ha dato vita a una dichiarazione condivisa che sollecita lo sviluppo “aperto”, “inclusivo” ed “etico” degli strumenti di IA, ma ha anche evidenziato i crescenti attriti politici ed economici con Stati Uniti e Regno Unito, i quali hanno anteposto i loro obiettivi individuali ai rapporti di alleanza.
USA e UK si sono dunque rifiutati di siglare le dichiarazioni finali del summit, tuttavia questa posizione non era imprevedibile: superate le premesse utopiche formali, l’evento è stato esplicitamente adoperato dai potenti come passerella attraverso cui cercare di attirare investimenti e risorse al proprio uscio. Alla vigilia del vertice, Macron ha strategicamente rilasciato al canale televisivo nazionale France 2 un’intervista in cui ha annunciato un investimento da 109 miliardi di euro nello sviluppo nazionale di infrastrutture legate all’intelligenza artificiale, un impegno finanziario che il politico ha esplicitamente comparato alle manovre strategiche del suo omologo statunitense, Donald Trump.
Qualora la provocazione fosse mai sfuggita ai diplomatici a stelle e strisce, ogni ambiguità è stata fugata in occasione del summit stesso. “Ho un buon amico oltreoceano che dice ‘drill, baby, drill’”, ha dichiarato sornionamente Macron, riferendosi alle trivellazioni petrolifere degli USA. “Qui, non c’è bisogno di scavare. Basta infilare la spina. L’elettricità è disponibile”. Il Presidente francese ha così reclamizzato le centrali nucleari nazionali agli occhi degli investitori che devono decidere dove riversare le proprie risorse economiche. Parallelamente, per illustrare le potenzialità dell’IA, Macron ha fatto sfoggio di un video prodotto con l’uso di deep fake, un genere di fotomontaggio avanzato estremamente controverso e che viene usato frequentemente a scopi tutt’altro che etici.
Dal canto suo, la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha rivelato che l’Unione Europea impegnerà 200 miliardi di euro da investire nell’IA, con un fondo da 20 miliardi esplicitamente pensato per dare vita alle “gigafactory” che dovranno ospitare le immense potenzialità di calcolo necessarie ad addestrare i modelli di IA. Henna Maria Virkkunen, Commissaria europea per le tecnologie digitali e di frontiera, ha inoltre promesso che l’UE semplificherà le normative del settore, così da renderle più attraenti nei confronti delle imprese. Lo scopo dichiarato è quello di combattere la “concentrazione del Mercato”, ovvero fare concorrenza agli Stati Uniti e alla Cina.
E gli Stati Uniti non l’hanno presa bene. JD Vance, Vicepresidente USA presente all’evento, ha esplicitamente accusato gli alleati europei di imporre normative eccessive che penalizzano le industrie americane. La sua retorica si è concentrata sulla dottrina dell’“America First”, a discapito del consolidamento delle relazioni internazionali, già compromesse dalla costante minaccia di nuovi dazi. “Gli Stati Uniti d’America sono leader nel campo dell’IA, la nostra Amministrazione farà sì che lo rimangano”, ha detto Vance. “Il futuro dell’IA non si vincerà preoccupandosi della sicurezza. Si vincerà costruendo”. Una posizione simile è stata mimata dal Regno Unito, il quale, grande alleato degli USA, ha deciso di non sposare formalmente gli obbiettivi del summitasserendo che questi “non fornissero sufficiente chiarezza pratica sulla governance globale, né affrontassero le questioni più difficili riguardanti la sicurezza nazionale”.
A due giorni dall’uscita dalla rete elettrica russa per entrare in quella dell’UE, oggi, martedì 12 febbraio, il prezzo medio dell’elettricità in Estonia ha superato i 190 euro per megawattora, raggiungendo la cifra massima per questo 2025. Da quanto traspare dai dati della borsa Nord Pool, i prezzi sono rimasti elevati sin dalle prime ore del mattino, ma i costi sembrerebbero destinati a toccare il loro picco in circa due distinte occasioni durante la giornata, raggiungendo la cifra di 340 euro per megawattora. In questo momento, la cifra precisa è di 191,25 euro per megawattora, mentre nella mezzanotte di oggi si fermava a 126 euro. Nell’arco di un’ora, verso l’una di notte, è schizzato a 190 euro.
Ieri, martedì 11 febbraio, il Consiglio regionale della Toscana ha approvato una legge che regola tempi, modalità e costi per l’accesso al suicidio assistito, rendendo così la regione la prima in Italia a dotarsi di una legge in materia. La legge si fonda sulla sentenza della Corte Costituzionale del 2019 ed era stata proposta dall’Associazione Luca Coscioni. Il testo è composto da sei articoli più il preambolo. La norma approvata prevede l’istituzione di una Commissione multidisciplinare permanente in ogni distaccamento ASL, composta da un medico palliativista, uno psichiatra, un anestesista, uno psicologo, un medico legale e un infermiere. La legge affida alla commissione, affiancata dal Comitato etico locale, il compito di valutare le istanze presentate e garantisce al richiedente l’eventuale accesso alla pratica in meno di due mesi.
La legge approvata dalla Regione Toscana ha ricevuto 27 voti a favore e 13 voti contrari. Il testo si basa in larga parte sulla proposta di iniziativa popolare “Liberi Subito” elaborata dall’associazione Luca Coscioni e presentata alla Regione dopo la raccolta di 10.000 firme. Innanzitutto, stabilisce i criteri di accesso alla pratica, che riprendono la nota sentenza 242/2019 (nota anche come “sentenza Cappato”) della Corte Costituzionale. La legge toscana individua quattro requisiti specifici, che devono presentarsi tutti insieme perché il richiedente possa essere considerato idoneo. Egli deve: essere vigile e capace di prenderedecisioni consapevolmente; essere affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili; essere dipendente da un “trattamento di sostegno vitale”; aver richiesto l’accesso alla procedura in modo “libero e autonomo, chiaro e univoco”. Il suicidio assistito, inoltre, deve considerarsi come una sorta di ultima opzione, e il paziente che presenta la domanda deve aver in precedenza rifiutato gli altri possibili trattamenti praticabili, che gli devono essere stati adeguatamente illustrati. Il paziente ha la facoltà di individuare un medico di fiducia che lo assista nelle pratiche.
Individuati i requisiti di accesso alla pratica, la legge fissa la procedura e i tempi da seguire, che si discostano leggermente dalla proposta dell’Associazione Luca Coscioni. In prima istanza, il richiedente deve rivolgersi alla propria ASL di riferimento, presentando una richiesta di verifica dei requisiti che dovrà includere tutta la documentazione sanitaria. La domanda viene così inoltrata alla Commissione multidisciplinare, che dovrà completare la verifica dei requisiti entro trenta giorni, con la possibilità di sospendere il procedimento per condurre accertamenti clinici una sola volta e per non più di cinque giorni. In questa prima fase, la Commissione deve anche richiedere il parere del Comitato etico, che deve arrivare non oltre venti giorni dopo la richiesta e nel rispetto della scadenza dei trenta giorni. La Commissione dovrà fornire il proprio parere finale e comunicare la propria decisione alla ASL, che la inoltrerà al paziente.
In caso di esito positivo, la Commissione avrà dieci giorni di tempo per individuare le modalità di attuazione del suicidio medicalmente assistito; il paziente può richiedere che le modalità della procedura siano stabilite anche con la presenza del medico di fiducia. La procedura deve svolgersi nel rispetto della dignità della persona e il Comitato etico deve dare il proprio lasciapassare entro cinque giorni e – come nella fase precedente – nel rispetto della scadenza di dieci giorni. Stabilita anche la procedura, essa verrà eseguita entro sette giorni. In totale, contando l’eventuale proroga, la legge garantisce ai pazienti una risposta entro trentacinque giorni e l’eventuale accesso alla pratica entro cinquantadue giorni, che si riducono rispettivamente a trenta e quarantasette nel caso in cui non ci fosse bisogno di effettuare ulteriori accertamenti clinici.
La legge verrà promulgata nei prossimi diecigiorni, e avrà effetto a partire dai venti giorni dopo la pubblicazione. A quel punto le ASL avranno quindici giorni di tempo per individuare le Commissioni multidisciplinari. Con l’approvazione di ieri, la Toscana diventa la prima regione a normare l’accesso al suicidio assistito. Precedentemente, ci aveva provato anche il Veneto, ma la legge non era stata approvata, mentre in Lombardia è stata bocciata prima ancora di venire discussa. A oggi, il suicidio assistito non è infatti normato da alcuna legge, né locale, né tantomeno di respiro nazionale, ed è regolato dalla cosiddetta “sentenza Cappato”, che fornisce le basi per stabilire non quando esso sia attuabile, ma quando diventa punibile. L’iter odierno non prevede scadenze e ha spesso costretto i pazienti ad attendere anni prima di ricevere una risposta, spesso portando il proprio caso in tribunale.
Mentre la tregua a Gaza appare appesa a un filo, c’è un’altra regione di quello che, secondo il diritto internazionale, dovrebbe essere lo Stato di Palestina, dove l’esercito israeliano continua a condurre operazioni ufficialmente catalogate come «anti-terrorismo», ma che in realtà stanno mettendo a ferro e fuoco città e campi profughi e causando migliaia di sfollati. Nella Cisgiordania occupata, in particolare tra Jenin, Tulkarem e Tubas, almeno 50 palestinesi sono stati uccisi nelle ultime tre settimane, mentre centinaia di abitazioni sono state demolite dai bulldozer dell’esercito israeliano, bruciate o fatte esplodere. Solo a Jenin, una decina di giorni fa, 23 edifici sono stati fatti saltare in aria contemporaneamente nel cuore della città. Secondo UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso dei Rifugiati Palestinesi, il numero degli sfollati ha ormai superato le 40.000 persone.
Il campo profughi di Jenin è ormai quasi deserto, con oltre 20.000 residenti costretti a lasciare le proprie abitazioni sotto la minaccia di droni, bombe e cecchini. Molti degli sfollati sono stati obbligati a registrarsi e farsi identificare attraverso telecamere biometriche installate dai militari. Altre migliaia di persone hanno dovuto abbandonare il campo di Tulkarem, sotto assedio da17 giorni, mentre migliaia di famiglie sono state forzate a lasciare le proprie case anche a Tammoun e nel campo profughi di al-Far’a, a Tubas, dove l’offensiva è entrata ieri nel decimo giorno.
Numerose abitazioni sono state trasformate dai militari in centri per interrogatori o avamposti per cecchini.
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Casa demolita dalle bombe israeliane, Tulkarem Refugee Camp [foto di Moira Amargi]
Interramento di uno dei corpi dei martiri, Tulkarem Refugee Camp. 26 dicembre 2024 [foto di Moira Amargi]
Corteo funebre in seguito ad uno dei tanti massacri commessi dall'esercito israeliano. Jenin [foto di Moira Amargi]
L’operazione “Iron Wall” (Muro di ferro), iniziata 23 giorni fa con l’assalto a Jenin, per molti non è altro che la prosecuzione della guerra a Gaza. La retorica è la stessa, le tecniche simili. In nome della lotta al terrorismo, i militari di Tel Aviv stanno devastando interi quartieri e uccidendo decine di palestinesi, con l’obiettivo reale di rendere alcune aree inabitabili e costringere la popolazione a fuggire. Le immagini che arrivano da Jenin ricordano quelle già viste a Jabalia, nel nord di Gaza: macerie su macerie, mezzi israeliani, strade deserte.
Gli sfollati trovano rifugio in moschee, scuole o nelle case di parenti. Quasi tutti gli ospedali nelle città sotto attacco sono isolati, mentre le ambulanze vengono sistematicamente bloccate e impedite dal raggiungere i feriti. Nelle ultime settimane sono state arrestate centinaia di persone, in quella che è considerata l’aggressione più violenta in Cisgiordania dai tempi della Seconda Intifada.
E mentre i giornali di mezzo mondo parlano di “decine di terroristi eliminati”, e il ministro Salvini difende a spada tratta le assurde dichiarazioni di Trump su Gaza, moriva Saddam Rajab, un bambino di 10 anni colpito all’addome dai proiettili israeliani. Un video agghiacciante riprende la scena, testimoniando com’è facile morire nella strada sotto casa, in Palestina. L’ambulanza che stava cercando di salvarlo è stata bloccata per almeno un’ora. Alla morte di Saddam è seguita poco dopo quella di altre due donne e un uomo nel campo profughi du Nur Shams, sempre a Tulkarem. Una delle donne era all’ottavo mese di gravidanza; il marito è gravemente ferito. Sono questi, i “terroristi” di cui parla Israele. Ma fossero anche militanti armati: la “colpa” sarebbe comunque quella di difendere il proprio quartiere e la propria gente dalle incursioni israeliane e dall’occupazione sionista in continua espansione. Il cui governo – dopo il genocidio commesso a Gaza – sta parlando di annettere l’intera Cisgiordania a Israele nel 2025. Terroristi? O resistenti?
Mentre i giornali di mezzo mondo parlano di «decine di terroristi eliminati» e il ministro italiano Salvini difende senza esitazione le dichiarazioni di Trump su Gaza, moriva Saddam Rajab, un bambino di 10 anni, colpito all’addome dai proiettili israeliani. Un video agghiacciante documenta la scena, mostrando quanto sia facile morire per strada, sotto casa, in Palestina. L’ambulanza che tentava di soccorrerlo è stata bloccata per almeno un’ora. Poco dopo la sua morte, altre tre persone hanno perso la vita nel campo profughi di Nur Shams, a Tulkarem: due donne e un uomo. Una delle vittime era incinta di otto mesi; il marito è rimasto gravemente ferito. Sono questi i «terroristi» di cui parla Israele. Ma anche se fossero militanti armati, sarebbe legittimo considerarli terroristi per il solo fatto di opporsi con le armi alla violenza quotidiana dell’occupazione? In verità, si tratterebbe di condotte che le convenzioni internazionali (per la precisione la Risoluzione ONU 37/43 del 1982) inquadrano nella legittima resistenza armata della quale possono avvalersi i popoli e le nazioni costretti a vivere sotto occupazione straniera.
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L'assedio di Jenin in seguito all'inizio dell'operazione ''Muro di ferro'' [foto di Moira Amargi]
Il governo italiano, mentre libera e riporta in Libia l’assassino e torturatore Osama Almasri Najim, mentre – quasi unico in UE, insieme all’Ungheria di Orbán – si rifiuta di firmare il documento a difesa della Corte Penale Internazionale, minacciata di sanzioni da Trump, e mentre in Cisgiordania e a Gaza i palestinesi continuano a morire, non smette di difendere Israele e i suoi leader da ogni accusa di pulizia etnica e genocidio. Dimostrando così di schierarsi dalla parte della violenza del più forte, e non del diritto internazionale.
Ieri il Tribunale Superiore di Bogotá ha sospeso il processo nei confronti dell’ex presidente del Paese, Álvaro Uribe, accusato di corruzione di testimoni. Il tribunale, di preciso, ha stabilito che la giudice di primo grado non aveva agito in maniera imparziale, ordinando la sospensione temporanea delle udienze. Il processo contro Uribe era iniziato giovedì, dopo un’inchiesta durata oltre sei anni per dei fatti che lo avrebbero visto coinvolto nel 2012, anno in cui non era più presidente. Secondo le accuse, Uribe avrebbe esercitato pressioni su testimoni, in particolare membri di gruppi paramilitari, affinché rilasciassero dichiarazioni false contro un senatore dell’opposizione.
Dopo decenni di lotta contro una delle malattie più debilitanti del continente, il Niger è diventato il primo Paese africano a interrompere la trasmissione dell'oncocercosi, una patologia parassitaria trasmessa dalla puntura di mosche nere infette, che colpisce la vista e la pelle.
La “cecità fluviale”, nome con cui è meglio conosciuta la malattia, è considerata la seconda causa infettiva di cecità nel mondo, subito dopo il tracoma. Nel 2023, circa 250 milioni di persone necessitavano ancora di un trattamento preventivo contro la patologia, che colpisce in particolare le comunità rurali in Af...
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La Russia ha rilasciato Marc Fogel, l’insegnante statunitense detenuto dal 2021 per traffico di droga. A dare la notizia è il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Mike Waltz, che ha spiegato che a gestire le trattative è stato l’inviato speciale degli USA per il Medio Oriente Steve Witkoff, in occasione di una visita in Russia. Fogel era stato arrestato presso l’aeroporto Sheremetyevo di Mosca con l’accusa di traffico di droga, mossa dopo che erano stati rinvenuti 17 grammi di marijuana nel suo bagaglio. Fogel ha rigettato le accuse, sostenendo che faceva uso di cannabis per questioni mediche. Dovrebbe arrivare negli Stati Uniti stasera.
Ieri sera, nella Repubblica Democratica del Congo, un gruppo di miliziani armati ha assaltato diversi villaggi situati nella parte orientale del Paese, uccidendo almeno 51 civili. La notizia è stata data oggi da diverse autorità locali, che hanno aggiunto che il bilancio delle vittime sembra destinato ad aumentare. Gli attacchi sono stati attribuiti a miliziani della Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO), che avrebbero attaccato i villaggi dando fuoco alle case, sparando e utilizzando armi bianche come coltelli. La notte prima , inoltre, sembra che avessero effettuato un attacco contro un campo locale per sfollati, venendo tuttavia respinti dalla forza di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, MONUSCO.
Tra le misure varate dal governo Meloni, il Disegno di legge C1660, noto come “Ddl Sicurezza”, è quello che sta suscitando le maggiori resistenze tra i giovani e i movimenti sociali, che da settimane hanno avviato una campagna di mobilitazione. Dietro il termine rassicurante e propagandisticamente efficace di “sicurezza”, si cela un decreto legge che introduce misure repressive mirate contro le forme di protesta più diffuse, come quelle ambientaliste o contro le grandi opere. Eugenio Losco, avvocato con una lunga esperienza nella difesa di cause legate a proteste e movimenti sociali, ha dichiarato a L’Indipendente che si tratta di «un decreto repressivo concepito in modo organico». Secondo Losco, il provvedimento punta da un lato a criminalizzare il dissenso e dall’altro ad ampliare le tutele per le forze dell’ordine.
Misure contro i movimenti
L’articolo 10 del Disegno di legge introduce il reato di “Occupazione arbitraria di immobile destinato a domicilio altrui”. Questa norma inasprisce le pene già previste per il reato di occupazione, portandole da un massimo di tre anni a un intervallo compreso tra 2 e 7 anni di carcere. Inoltre, rende punibili anche «chiunque si intromette o coopera nell’occupazione dell’immobile», un dettaglio che appare mirato a criminalizzare chiunque offra solidarietà attiva alle occupazioni, una pratica diffusa tra i movimenti per il diritto alla casa e contro gli sfratti.
L’articolo 11, tra i più controversi del Ddl, modifica le “Norme per assicurare la libera circolazione sulle strade ferrate ed ordinarie e la libera navigazione”. Introduce un’aggravante per i blocchi alla circolazione «commessi all’interno o nelle immediate adiacenze delle stazioni ferroviarie, delle metropolitane o dei convogli passeggeri». Inoltre, trasforma in reato penale – invece che illecito amministrativo – il blocco stradale o ferroviario «con il proprio corpo», punibile con un mese di carcere. La pena aumenta a un periodo tra sei mesi e due anni se il blocco è «commesso da più persone riunite».
Secondo l’avvocato Eugenio Losco, «questa forte penalizzazione del blocco stradale, punibile anche se attuato pacificamente, colpisce direttamente una pratica ampiamente utilizzata dagli operai della logistica, con l’effetto di reprimere le proteste e tutelare gli interessi degli imprenditori, garantendo che le loro attività non siano ostacolate». Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, durante il question time alla Camera del 25 settembre 2024, ha confermato questa intenzione, dichiarando che il decreto punirà azioni che «impediscono l’ingresso e l’uscita di mezzi per il trasporto merci» e «picchettaggi» che «confliggono con l’interesse dell’impresa».
Infine, l’articolo 19 introduce un’aggravante al reato di “Ostruzione della realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture”, aumentando le pene di due terzi quando «violenza o minaccia» vengono utilizzate per impedire la realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture strategiche. Questa norma sembra indirizzata a colpire chi manifesta contro grandi opere come il TAV o il ponte sullo Stretto di Messina.
Misure contro i detenuti e persone accusate di reati
A essere presi di mira dal Ddl Sicurezza non sono solo i movimenti sociali organizzati, ma anche lefasce più vulnerabili della società. Tra i principali obiettivi figurano i detenuti e gli ex detenuti. Uno dei provvedimenti chiave in tal senso è l’articolo 13, che introduce per legge le cosiddette «zone rosse». Questo articolo consente l’applicazione del DASPO urbano a chiunque, negli ultimi cinque anni, abbia ricevuto una condanna o una denuncia (anche senza condanna) per reati contro la persona o il patrimonio commessi in aree sensibili, come le ferrovie.
L’articolo 13 prevede inoltre che la sospensione condizionale della pena possa essere concessa, ma subordinandola «all’osservanza del divieto, imposto dal giudice, di accedere a luoghi o aree specificamente individuate». Questo rende il DASPO irrevocabile, anche per chi non ha precedenti ed è accusato di reati minori, come il danneggiamento o l’imbrattamento. Tali reati sono oggetto di un’ulteriore stretta punitiva: l’articolo 12 interviene qualora i reati siano commessi durante manifestazioni, mentre l’articolo 24 si applica quando viene colpito un luogo pubblico «con la finalità di lederne l’onore».
In materia di detenuti, l’articolo 15 colpisce specificamente le donne, abolendo l’obbligo del differimento di pena per le madri in gravidanza o con figli di un anno, rendendolo una misura facoltativa.
La modifica più controversa è introdotta dall’articolo 26, che istituisce il reato 415-bis di “Rivolta all’interno di un istituto penitenziario”. Esso punisce «chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, partecipa a una rivolta mediante atti di violenza, minaccia o resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti, commessi da tre o più persone riunite». Rientrano tra i punibili anche coloro che attuano «condotte di resistenza passiva», come scioperi della fame. Gli organizzatori delle rivolte, anche in assenza di violenza o danni a persone, rischiano fino a otto anni di carcere.
Misure contro i migranti
All’articolo 26 segue una disposizione che prevede pene analoghe nel caso in cui le proteste avvengano all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR). I migranti e gli stranieri rappresentano un’altra delle categorie particolarmente colpite dalla stretta repressiva del Ddl.
Le misure restrittive nei confronti dei migranti iniziano dal loro stesso arrivo, con modifiche al codice della navigazione previste dall’articolo 29, e proseguono rendendo più difficoltosa la loro permanenza nel Paese. Tra queste, l’articolo 32 introduce nuovi «obblighi di identificazione degli utenti dei servizi di telefonia mobile», stabilendo che, al momento della sottoscrizione di contratti per l’attivazione di SIM telefoniche, i cittadini extracomunitari debbano esibire documenti che attestino il loro regolare soggiorno in Italia. Il problema di questa norma, evidenziato da diversi giuristi, è l’assenza di deroghe per i cittadini ospitati nei CPR. Questi, non essendo in possesso di un permesso di soggiorno, verrebbero di fatto privati della possibilità di ottenere una scheda telefonica.
Misure di tutela delle forze dell’ordine
Un’altra direttrice del Ddl Sicurezza è quella della tutela e dell’ampliamento dello spazio di manovra per i membri delle forze dell’ordine. Le misure introdotte per perseguire questo obiettivo sono molteplici e includono sia l’aumento delle pene per chi ferisce, resiste o minaccia le forze dell’ordine, sia l’introduzione di maggiori tutele in sede giudiziaria. Gli articoli 22 e 23, in particolare, prevedono il riconoscimento di benefici economici fino a 10.000 euro per ogni fase del procedimento a ufficiali e agenti di pubblica sicurezza, polizia giudiziaria, vigili del fuoco e membri delle forze armate indagati.
Nelle ultime settimane, dopo il caso di Ramy Elgaml e del carabiniere indagato per aver ucciso un uomo armato di coltello nella notte di Capodanno, il governo ha iniziato a discutere ulteriori misure volte a rafforzare le tutele legali per le forze dell’ordine. Tra queste, si sta valutando l’ipotesi di introdurre nel Ddl una sorta di “scudo penale”. Secondo quanto trapelato, in fase preliminare di studio ci sarebbe un provvedimento che eliminerebbe l’obbligo per i pubblici ministeri di iscrivere automaticamente nel registro degli indagati i membri delle forze dell’ordine accusati di reato, introducendo un filtro preventivo per l’avvio di procedimenti nei loro confronti.
Misure per rafforzare i poteri delle forze dell’ordine
Tra le misure del Ddl che stanno suscitando maggiore preoccupazione tra attivisti, avvocati e magistrati figurano quelle norme che ampliano il raggio d’azione delle forze dell’ordine e dei servizi segreti, aumentando indirettamente anche le “tutele” nei loro confronti.
Questa lista si apre con l’articolo 28, che consente agli agenti di pubblica sicurezza di «portare senza licenza le armi previste dall’articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, quando non sono in servizio». In pratica, quasi tutte le forze dell’ordine potranno portare con sé pistole, rivoltelle di qualsiasi misura e bastoni animati (bastoni da passeggio con una lama di almeno 65 centimetri al loro interno) anche al di fuori dell’orario di servizio.
Tra i provvedimenti più discussi si trova anche l’articolo 29, che estende i poteri della Guardia di Finanza e delle navi da guerra nazionali alle navi straniere. Questo stabilisce per queste ultime l’obbligo di rispondere alle richieste di fermo e ispezione, punendo eventuali atti di resistenza. L’articolo 30, invece, amplia i poteri delle forze armate in missioni internazionali, consentendo loro di utilizzare dispositivi e programmi informatici in modalità che altrimenti costituirebbero reati contro l’inviolabilità del domicilio e dei segreti.
L’articolo più controverso è senza dubbio l’articolo 31. Questo obbliga enti pubblici, università, aziende statali e concessionarie di servizi pubblici a collaborare con i servizi segreti, fornendo loro informazioni «anche in deroga alle normative di settore in materia di riservatezza». Inoltre, l’articolo estende notevolmente la sfera di operatività dei servizi di intelligence: le eccezioni alle «condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato» passano da due a oltre dieci. Tra queste, gli operatori di AISE e AISI non solo potranno infiltrarsi in organizzazioni criminali e terroristiche, ma saranno anche autorizzati a dirigerle. Questo legittima reati gravi, come associazione sovversiva, terrorismo interno e banda armata.
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