domenica 21 Dicembre 2025
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La guerra in Ucraina arricchisce gli USA: sono il primo fornitore di GNL in Italia

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La domanda italiana di gas liquefatto dagli Stati Uniti è in costante crescita. Secondo i dati di Snam, aggiornati a fine luglio 2025, gli Stati Uniti sono diventati il primo fornitore di GNL all’Italia, coprendo circa il 50% delle importazioni via nave. Seguono Qatar e Algeria. Nel primo semestre 2025 l’Italia ha importato quasi 10 miliardi di metri cubi di GNL, la cui quota sul totale delle importazioni di gas risulta di circa un terzo. Un risultato dell’allontanamento da Mosca, che ha visto l’Italia – e l’Europa – sostituire la Russia con Washington, avvantaggiando le forniture statunitensi sul mercato.

Nel primo semestre del 2025, l’Italia ha aumentato la propria domanda di gas, viaggiando a ritmi ben più rapidi di quelli comunitari. I dati Snam mostrano infatti un aumento della richiesta di gas pari al 6%, poco meno del doppio della media europea. A pesare particolarmente è proprio la domanda di GNL, anch’essa in considerevole aumento: il rapporto Snam sostiene infatti che il 30% del totale della richiesta di gas italiana è rappresentato proprio dalla domanda di GNL; nel 2024, la domanda di GNL pesava il 32% in meno rispetto a quest’anno. Tutto questo gas liquefatto arriva proprio dagli Stati Uniti: un’anticipazione del periodo gennaio-luglio fornita da Milano Finanza riporta che il 45% dei volumi di gas liquefatto importati dall’Italia proverrebbe proprio dagli USA; Washington sarebbe seguita da Qatar e Algeria, dai quali l’Italia importerebbe rispettivamente il 24% e il 20% del proprio GNL. Inoltre, secondo il Sole 24 Ore, nel primo semestre del 2025 la domanda di gas liquefatto dagli Stati Uniti sarebbe raddoppiata rispetto a quella dell’anno precedente. I dati dei media rispecchiano lo stesso rapporto di Snam, che a fine luglio sosteneva che «nella prima metà dell’anno l’Italia ha ricevuto più di 100 navi cisterna per GNL, quasi la metà delle quali provenienti dagli Stati Uniti, per un volume totale di circa 10 miliardi di metri cubi».

L’esponenziale aumento di importazioni di gas liquefatto dagli USA è un risultato diretto delle sanzioni alla Russia e del progressivo abbandono delle importazioni di gas moscovita. Ad ammetterlo, seppur indirettamente, è la stessa Snam, che nel rapporto sul primo semestre del 2025 scrive che il calo delle importazioni russe «è stato compensato dal prelievo dagli stoccaggi e da maggiori forniture di GNL, soprattutto proveniente dagli Stati Uniti, il cui contributo sugli afflussi di GNL ha raggiunto quasi il 50%». C’era, insomma, un vuoto da colmare: un ruolo importante è stato giocato dall’aumento delle capacità di stoccaggio e della produzione interna, come testimoniato, oltre che da Snam, anche dai dati dell’Inventario Aggregato di Stoccaggio del Gas della Infrastruttura del Gas Europea (GIE-AGSI); questo ha permesso a depositi, come quello di Tarvisio, di invertire il flusso, aumentando le esportazioni. Come dimostra l’aumento della domanda, tuttavia, produzione e prelievi non bastano: ecco dunque che a colmare quel vuoto creatosi dall’abbandono delle importazioni russe sono arrivati gli Stati Uniti. Il fatto che a guadagnare dalla guerra in Ucraina siano stati – a spese europeegli USA non è una novità. Già a gennaio dell’anno scorso, Washington era diventata il principale esportatore di gas all’Europa, proprio grazie alla guerra in Ucraina e alle sanzioni alla Russia, che hanno reso le importazioni di gas da Mosca più sconvenienti.

Incidente ferroviario sulla linea Brennero: 3 feriti

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Questa mattina, sulla linea del Brennero, si è verificato uno scontro tra un treno merci e un regionale, che ha causato tre feriti lievi. La circolazione è momentaneamente interrotta tra Mezzocorona e Trento. La dinamica dello scontro, si legge in un comunicato di Rete Ferroviaria Italiana, è ancora in fase di accertamento. Da quanto emerso, in fase di manovra, il treno merci si sarebbe scontrato con il treno regionale, fermo al semaforo, facendolo deragliare. Sul posto sono intervenuti i tecnici di Rfi, la Polizia ferroviaria, Trentino Emergenza e il Corpo permanente dei Vigili del fuoco di Trento.

Secondo uno studio il divieto di smartphone ha migliorato l’apprendimento degli studenti olandesi

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Nel gennaio 2024, il governo olandese ha preso una decisione audace: vietare l’uso degli smartphone nelle scuole. Un provvedimento che, almeno inizialmente, ha sollevato molte perplessità. Tuttavia, a distanza di un anno e mezzo, i dati raccolti su come questa iniziativa abbia influenzato l’apprendimento degli studenti sembrano dimostrare l’efficacia della scelta. Le scuole che hanno aderito al divieto, quasi due terzi delle secondarie, hanno infatti registrato miglioramenti significativi nella concentrazione degli alunni e nelle loro interazioni sociali. In generale, gli studenti hanno infatti confermato benefici circa la capacità di seguire efficacemente le lezioni e il rapporto con i loro compagni. Nel frattempo, sempre più Paesi europei stanno seguendo tale tendenza, introducendo limitazioni all’utilizzo degli smartphone tra le mura scolastiche.

Lo studio, condotto dal Kohnstamm Instituut, ha coinvolto 317 dirigenti scolastici delle scuole superiori e 313 delle scuole primarie, mettendo in evidenza come il divieto abbia influito positivamente sulle dinamiche scolastiche. Nello specifico, le scuole superiori hanno constatato un miglioramento della concentrazione (75%) e del clima sociale (59%). Il 49% delle scuole non ha avuto difficoltà – o ne ha registrate poche – nell’applicare la regola, indicando come fattori di successo una comunicazione chiara agli studenti, l’applicazione collettiva e il proponimento di alternative all’uso del telefono durante le pause. Circa il 51% delle scuole è soddisfatto del divieto, mentre il 33% chiede una legislazione più forte. Il 23% delle scuole primarie ha notato effetti positivi sul benessere degli studenti e sull’atmosfera nelle classi. Tuttavia, le scuole non hanno registrato effetti significativi sulla concentrazione e i risultati scolastici, dato che l’uso del telefono non era un grosso problema prima del divieto. Vi è poi il caso delle scuole in cui studiano ragazzi con bisogni speciali, dove il divieto è stato applicato in maniera più limitata (ad esempio, apparecchi acustici collegati a dispositivi mobili o software di lettura sono stati lasciati nella disponibilità degli studenti). Anche qui è stato osservato un miglioramento significativo nella concentrazione e nel benessere dei ragazzi, con il 53% degli istituti che ha riscontrato effetti positivi sulla concentrazione, mentre il 60% ha notato un miglioramento dell’atmosfera scolastica.

Il dottor Alexander Krepel, uno dei ricercatori coinvolti, ha sottolineato che l’interazione tra gli studenti è aumentata, sia in modo positivo, favorendo una maggiore comunicazione, sia talvolta in modo conflittuale, ma comunque sempre più diretto e umano. Le scuole, inizialmente scettiche, hanno constatato come l’atmosfera nelle aule sia migliorata, con gli insegnanti che, pur temendo una maggiore difficoltà nel gestire le lezioni senza l’ausilio della tecnologia, ora si dicono soddisfatti del clima più sereno che si è instaurato. Inoltre, l’assenza degli smartphone ha ridotto i rischi legati all’uso improprio dei dispositivi, come la diffusione di immagini scattate in classe o la condivisione di contenuti sui social media, aumentando la sicurezza sociale tra studenti e docenti. Già l’anno scorso, uno studio coordinato da Sara Abrahamsson, ricercatrice dell’Istituto norvegese della Sanità Pubblica, aveva analizzato l’impatto del divieto degli smartphone in 400 scuole medie norvegesi che hanno bandito l’uso dei telefonini durante le lezioni. I risultati, basati su sondaggi tra alunni, registri demografici e politiche scolastiche, hanno mostrato effetti positivi significativi, in particolare per le studentesse. Dopo tre anni dal divieto, si è registrato un calo del 60% nelle richieste di consulti con specialisti di salute mentale.

In Italia, dopo aver introdotto il divieto di smartphone nelle scuole primarie e secondarie di primo grado, il governo italiano, sotto la guida del ministro Giuseppe Valditara, ha deciso di estendere la misura anche alle scuole superiori a partire dal prossimo anno scolastico. Tale approccio è condiviso anche da altre nazioni europee, con diverse sfumature. Tra queste, la Danimarca, dove è in vigore un divieto totale per gli studenti fino a 17 anni, il Lussemburgo, in cui è stato introdotto un divieto per i bambini fino a 11 anni nelle scuole primarie (mentre nelle scuole superiori gli studenti non devono tenere i telefoni durante le lezioni), e la Finlandia, dove la legge che limita l’uso degli smartphone entra in vigore proprio in questo mese; in Spagna, la questione è regolata a livello regionale, con 7 delle 17 regioni che hanno imposto restrizioni, mentre in Norvegia il divieto è totale nelle scuole elementari, ma consentito durante alcune pause nelle scuole superiori. Le scuole del Belgio vedranno il divieto a partire dal prossimo anno scolastico.

Israele richiama 60 mila riservisti per completare l’occupazione di Gaza City

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Il ministro israeliano Israel Katz ha approvato il piano di conquista di Gaza City e richiamato 60 mila riservisti a questo scopo. La notizia, anticipata ieri dai quotidiani israeliani, è stata confermata poco fa dal ministero della Difesa israeliano all’AFP. Dettagli ufficiali non sono ancora stati resi noti, ma funzionari del ministero avrebbero riferito ai quotidiani che l’operazione si chiamerà “Carri di Gedeone B”, richiamando l’offensiva lanciata a maggio di quest’anno, che ha permesso all’IDF di occupare una vasta porzione (circa il 75%) della Striscia. Nel frattempo, Israele si è ancora espresso sulla proposta di cessate il fuoco approvata da Hamas ed i cui termini, secondo i mediatori, sono pressochè identici a quelli già approvati da Tel Aviv nel corso dei precedenti colloqui.

L’operazione Carri di Gedeone B, secondo quanto riferito dal Times of Israel (che cita funzionari di governo) dovrebbe prevedere lo sfollamento da Gaza City di circa un milione di palestinesi, che avrebbero tempo fino al 7 ottobre 2025 per spostarsi a sud dell’enclave. Per portare a termine le operazioni, il ministro della Difesa Israel Katz avrebbe richiamato 60 mila riservisti, che andrebbero ad aggiungersi alle decine di migliaia già mobilitate. L’esercito avrebbe dichiarato che le operazioni di offensiva alla periferia di Gaza City sono già iniziate. Solamente due settimane fa, il governo aveva dato il via libera al piano di invasione dell’intera Striscia, il quale prevede “il disarmo di Hamas; il ritorno di tutti gli ostaggi vivi o deceduti; la smilitarizzazione della Striscia di Gaza; il controllo di sicurezza israeliano nelle Striscia; l”istituzione di un’amministrazione civile alternativa che non sia né Hamas né l’Autorità Nazionale Palestinese”, con l’obiettivo di impossessarsi di quel 25% del territorio della Striscia ancora non sotto il controllo dell’IDF.

Nel frattempo, il governo di Tel Aviv non si è ancora espresso sulla proposta di cessate il fuoco avanzata dai mediatori (Egitto, Qatar e USA) e accettata da Hamas. Majid al-Ansari, portavoce del ministro degli Esteri del Qatar, ha confermato alla stampa che Hamas ha accettato il piano, che è «quasi del tutto identico» alla proposta di cessate il fuoco avanzata dall’inviato speciale USA Steve Witkoff un paio di mesi fa e che comprende «quasi tutto quanto era stato approvato da Israele» nel corso dei precedenti colloqui. La proposta include un percorso per arrivare alla definitiva fine della guerra, con un cessate il fuoco temporaneo di 60 giorni durante il quale verranno scambiati prigionieri e ostaggi, insieme a un «riposizionamento» delle forze israeliane presenti sul campo e ad un aumento delle forniture di aiuti militari.

Intanto, la soglia di civili uccisi dall’inizio dell’offensiva militare israeliana, iniziata ormai due anni fa, ha superato le 62 mila unità. Di questi, circa 19 mila sono bambini, per i quali «A Gaza non esistono posti sicuri» ha dichiarato Philippe Lazzarini, Commissario Generale dell’UNRWA (l’Agenzia ONU per i profughi palestinesi). In questo contesto, le scuole dell’Agenzia sono diventate «rifugio per centinaia di migliaia di persone». Negli ultimi 5 mesi, secondo l’UNICEF, sono stati uccisi oltre 540 bambini al mese. Solamente dall’alba di oggi, riporta Al-Jazeera, almeno 28 persone sono state uccise nella Striscia, 7 delle quali stavano cercando di procurarsi aiuti umanitari nei pressi del campo rifugiati di Nuseirat, nel centro di Gaza. Nella sola giornata di ieri, 51 persone sono state uccise.

Afghanistan, incidente stradale: 76 morti

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Ieri sera, nella provincia afghana di Herat, nell’ovest del Paese, si è verificato un incidente stradale che ha causato la morte di 76 persone, tra cui almeno 17 bambini. L’incidente ha visto un autobus scontrarsi contro un camion e una motocicletta, per poi prendere fuoco. A bordo del bus erano presenti persone migranti provenienti dall’Iran e dirette a Kabul. La maggior parte delle vittime si trovava a bordo del bus, ma sono morte anche due persone presenti sul camion e due persone sulla motocicletta.

Il Missouri ha vietato i matrimoni precoci

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divieto matrimonio precoce

Lo Stato del Missouri ha recentemente introdotto una legge che vieta il matrimonio precoce, fissando a 18 anni l'età minima per sposarsi. La nuova normativa, che entrerà in vigore il 28 agosto, segna un'importante svolta nella protezione dei minori in un contesto, come quelli degli Stati Uniti, in cui non esiste una legge federale sui matrimoni minorili. Spetta infatti a ciascuno Stato stabilire le proprie normative. 
Fino a oggi, il Missouri,Stato federato della regione del Midwest degli USA, permetteva ai sedicenni e diciassettenni di sposarsi con il consenso dei genitori, a condizione che i...

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Antimafia: è morto Salvo Vitale, fedele amico di Peppino Impastato

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Salvo Vitale, storico compagno di Peppino Impastato, è morto oggi a 82 anni. Professore di Filosofia e Storia, Vitale è noto per il suo impegno nella lotta contro la mafia e per il suo ruolo nella creazione di Radio Aut, insieme a Impastato, una voce libera contro l’influenza di Cosa Nostra a Cinisi. Dopo l’omicidio del suo amico nel 1978, Vitale divenne un simbolo della memoria e della resistenza, collaborando con Telejato e con Antimafia Duemila. La sua testimonianza ha segnato un’intera generazione nella battaglia per la legalità.

Un rapporto denuncia all’ONU le condizioni delle carceri minorili italiane

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Le associazioni Antigone, Defence for Children e Libera hanno inviato un rapporto al Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, denunciando il sovraffollamento e le condizioni precarie negli Istituti penitenziari minorili (IPM) italiani. Attualmente, 586 ragazzi sono detenuti, con un incremento del 54% in due anni. Molti IPM superano la capienza massima, mentre i detenuti trascorrono anche oltre 20 ore al giorno in cella per la mancanza di attività educative. Il rapporto evidenzia l’uso eccessivo di psicofarmaci e critica la separazione dei giovani adulti dai penitenziari minorili. Le organizzazioni chiedono, tra le altre cose, l’abrogazione del decreto Caivano, che nel 2023 ha inasprito le pene per la criminalità minorile, e la chiusura della sezione minorile della struttura Dozza di Bologna.

Il sistema di giustizia minorile italiano ha radici solide che risalgono al Codice di Procedura Penale Minorile del 1988, che ha posto l’accento su un approccio educativo alla detenzione. Questo codice, allineato con gli standard internazionali, sottolineava la riabilitazione e il reinserimento sociale dei giovani, riconoscendo che il processo evolutivo dei minori non può essere congelato al momento del crimine. Tuttavia, negli ultimi anni, le politiche di giustizia minorile si sono allontanate da questi principi. Il rapporto denuncia infatti un’inversione di rotta verso un approccio puramente punitivo, che trascura le esigenze educative e sociali dei minori, aumentando il rischio di recidiva e ignorando le misure alternative alla detenzione. Uno degli aspetti più gravi denunciati nel rapporto riguarda il sovraffollamento delle strutture penali minorili, mai registrato prima d’ora. Entro la fine del 2024, il numero dei detenuti minorenni è aumentato del 54%, con un’impennata che ha visto le prigioni per minori raggiungere numeri che superano la capacità massima. «Numeri che sarebbero ben superiori se non fosse che molti giovani anche quando hanno compiuto il reato da minorenni e che potevano permanere in Ipm fino ai 25 anni sono invece stati trasferiti in carceri per adulti al compimento della maggiore età, pratica che il Decreto Caivano ha grandemente facilitato in chiave punitiva nel totale disinteresse per il percorso educativo del giovane», affermano le organizzazioni firmatarie.

«A Treviso si sfiora il doppio delle presenze rispetto ai posti disponibili, mentre a Milano e Cagliari il tasso di affollamento tocca il 150%», denunciano le associazioni in un comunicato stampa. A causa di questo sovraffollamento, le condizioni di vita all’interno degli istituti penali sono giudicate insostenibili: i ragazzi sono costretti a dormire su materassi di fortuna, e le attività educative sono drasticamente ridotte, costringendo i giovani a trascorrere la maggior parte del giorno chiusi nelle loro celle, senza il necessario supporto psicologico o educativo. Inoltre, sostengono le associazioni, il sistema non è in grado di gestire adeguatamente la situazione degli adolescenti stranieri non accompagnati, una categoria che rappresenta una parte consistente della popolazione carceraria minorile. Molti di questi giovani hanno alle spalle esperienze traumatiche e non ricevono un’accoglienza adeguata, né supporto psicologico o educativo. Le risposte a questi disagi sono spesso punitive, con l’uso eccessivo di farmaci psichiatrici, somministrati per contenere comportamenti problematici piuttosto che affrontare le cause sottostanti.

Un altro aspetto critico sottolineato all’interno del rapporto concerne la recente decisione di convertire una sezione del carcere per adulti della Dozza (Bologna) in una struttura penale minorile che non ne muta tuttavia le caratteristiche strutturali: «un carcere minorile imprigionato in un carcere per adulti che rompe in maniera plastica il principio internazionalmente riconosciuto della netta distinzione che sempre deve esserci tra la risposta penale destinata agli adulti e quella destinata ai ragazzi», mettono nero su bianco i sottoscrittori del dossier. Nel documento, le organizzazioni spiegano che le proteste dei detenuti minorenni contro le condizioni di vita sono state numerose, ma sono state accolte con risposte punitive piuttosto che con dialogo o misure correttive. È stato inoltre ricordato come l’introduzione del nuovo reato di “sommosse carcerarie” nell’ordinamento, che prevede pene anche per i detenuti che si limitano a reagire passivamente alle azioni delle forze dell’ordine, rischi di aggravare ulteriormente la situazione dei giovani ristretti nelle strutture detentive.

Il rapporto invita quindi a una riforma urgente del sistema penale minorile. Le richieste includono l’abolizione del Decreto Caivano, la creazione di strutture di custodia a bassa sicurezza e l’implementazione di programmi educativi individuali per ogni detenuto. Si sollecita l’assunzione di educatori e assistenti sociali adeguatamente formati anche in relazione ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e alle loro specifiche vulnerabilità, nonché la formazione adeguata, costante e verificata della polizia penitenziaria basata sui principi e le norme relative ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. In ultimo, le associazioni chiedono che vengano intensificati i controlli indipendenti sulle strutture penitenziarie minorili, al fine di garantire che le condizioni di vita siano conformi agli standard internazionali.

Un archeologo ha trascorso tre anni su imbarcazioni vichinghe scoprendo le rotte perdute

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Ha effettuato ben 26 viaggi corrispondenti a quasi due mila miglia nautiche, e il tutto per ben tre anni in mare aperto su imbarcazioni costruite come mille anni fa: è il lavoro svolto dall’archeologo Greer Jarrett, dell’Università di Lund, descritto in un nuovo studio sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Archaeological Method and Theory. Dopo aver affrontato tempeste improvvise, onde alte e guasti in navigazione, la ricerca ha portato all’individuazione di quattro approdi finora sconosciuti, luoghi strategici che in passato avrebbero offerto riparo e rifornimenti ai commercianti norreni durante i loro viaggi. Tra questi, inoltre, c’è l’isola di Storfosna, che conserva anche prove archeologiche dirette. «I dettagli del commercio dell’epoca vichinga sono spesso limitati alle sue origini e destinazioni», spiega l’autore, aggiungendo che i risultati, quindi, mettono in discussione l’idea che i Vichinghi si spostassero solo lungo la costa e nei porti principali, rivelando una rete più ampia e decentralizzata di punti di sosta.

I Vichinghi, attivi tra l’800 e il 1050 d.C., sono ricordati soprattutto per le incursioni e le grandi navi da guerra, ma il loro successo come marinai derivava anche da una fitta rete di rotte commerciali che arrivavano fino a Baghdad. Gran parte degli studi, però, si è concentrata sulle imbarcazioni più imponenti, trascurando quelle più piccole che garantivano la mobilità quotidiana, come i cosiddetti fyringer, ovvero barche agili a vela quadra capaci di affrontare mari impegnativi e approdare in baie riparate. Greer Jarrett, dottorando all’Università di Lund, ha scelto proprio queste imbarcazioni per il suo studio, affrontando la navigazione senza strumenti moderni come bussole o carte nautiche e affidandosi invece a punti di riferimento visibili e alla conoscenza tramandata dai marinai locali. Dopo ogni viaggio, spiega, ha confrontato le proprie osservazioni con antiche rotte usate fino al XX secolo e con modelli digitali del livello del mare di allora, tenendo conto dei cambiamenti dovuti all’innalzamento e abbassamento delle coste. Il tutto, secondo altri studiosi non coinvolti come Vibeke Bischoff del Viking Ship Museum di Roskilde, dimostra che i commercianti norreni potevano attraversare lunghi tratti di mare aperto e non erano legati esclusivamente ai porti maggiori.

Il signor Jarrett, al timone, a bordo della nuova nave Fyring Bara nel 2022. Questo viaggio seguì il percorso descritto in un resoconto del IX secolo e contribuì a localizzare un certo numero di potenziali porti e ancoraggi di epoca vichinga. Credit: Lorenz Peppler

In particolare, dalle spedizioni sono emersi quattro approdi principali: Storfosna, che ha restituito una sepoltura navale, Smørhamn, Sørøyane e un quarto sito ancora non nominato, tutti collocati in punti di transizione tra mare aperto e fiordi, facilmente raggiungibili e con condizioni favorevoli per ripararsi da tempeste, correnti e onde. Questi luoghi, oggi in parte modificati dal cambiamento del livello del mare, avrebbero rappresentato per i marinai tappe fondamentali per riposare, rifornirsi e scambiare informazioni con altre imbarcazioni. Navigando su queste rotte Jarrett ha inoltre sperimentato situazioni estreme, come la rottura di una parte dell’attrezzatura durante una tempesta notturna e l’impatto improvviso di un vento gelido che rischiava di capovolgere la barca. Grazie all’addestramento e alla collaborazione dell’equipaggio, però, è riuscito a riportare la nave in porto, rafforzando la convinzione che la forza della navigazione vichinga stesse nell’unione tra navi robuste e marinai capaci di adattarsi a ogni imprevisto. «La vela non ha mai riguardato solo una rotta da A a B, ma avere diverse rotte tra cui scegliere», ha osservato Morten Ravn del Viking Ship Museum. Per Jarrett, però, i risultati non si limitano solo ai nuovi approdi scoperti: l’esperienza condivisa tra compagni di viaggio avrebbe creato un legame diretto con i marinai dell’antichità e aiuterebbe a comprendere come riuscissero a muoversi con successo in un ambiente tanto ostile quanto affascinante. Si crea un «ponte di esperienza», conclude il ricercatore.

Filippine, Australia e Canada: missione marina congiunta

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Le forze di marina militare di Filippine, Australia e Canada hanno condotto una operazione di navigazione congiunta nel Mar Cinese Meridionale. L’attività è iniziata al largo della provincia filippina di Mindoro Orientale, e si concluderà a Palawan. Essa rientra in un più ampio schema di esercitazioni congiunte tra Filippine e Australia, denominato Alon. Alon include operazioni anfibie e terrestri, nonché esercitazioni di fuoco vivo. Quella di quest’anno è la più ampia attività congiunta tra i due Paesi di sempre, e prevede l’impiego di 3.600 soldati per parte. Alle attività parteciperanno anche alcuni membri della marina statunitense.