Una violenta esplosione seguita da un incendio si è verificata in una pompa di benzina a Roma, in via dei Gordiani, zona Villa De Sanctis. L’incidente, avvenuto intorno alle 8, sarebbe stato causato dal distacco di una pompa mentre una cisterna riforniva un impianto Gpl. Almeno 21 i feriti, tra cui un vigile del fuoco, un sanitario e otto poliziotti. Nessuno, a quanto si apprende, sarebbe in gravi condizioni. Il boato è stato avvertito in diversi quartieri della Capitale. L’esplosione ha causato danni a edifici vicini e a un deposito giudiziario. Dieci squadre dei vigili del fuoco sono ancora al lavoro per spegnere le fiamme.
Russia-Ucraina, attacchi incrociati nella notte con missili e droni
Il conflitto tra Mosca e Kiev prosegue con un nuovo attacco russo a Kiev, colpita nella notte da missili balistici e droni, e con raid effettuati dalle forze ucraine in alcune regioni russe. Le esplosioni hanno interessato almeno 13 zone della capitale ucraina, causando 14 feriti, di cui 12 ricoverati, e danni alle infrastrutture ferroviarie. In risposta, droni ucraini hanno colpito la regione russa di Rostov, dove è morta una persona, e la regione di Mosca, dove due uomini sono rimasti feriti. Colpita una stazione elettrica, con interruzioni di corrente. Oltre 50mila persone sono rimaste senza elettricità nel distretto di Sergyev-Posad della capitale russa.
Il debito pubblico italiano continua ad aumentare ed è sempre più in mano a fondi stranieri
Nonostante i propositi e gli annunci del governo Meloni circa la volontà di aumentare la quota del debito pubblico nelle mani degli investitori italiani, in particolare famiglie e imprese, dagli ultimi dati della Banca d’Italia emerge un quadro contrario alle aspettative e agli annunci fatti dall’esecutivo di centro-destra. Dall’ultimo rapporto di Palazzo Koch dal titolo “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”, infatti, risulta che la percentuale di debito nelle mani dei fondi stranieri è salita a marzo dal 31,9 al 32,4% del totale, mentre quella detenuta dagli altri residenti (principalmente famiglie e imprese non finanziarie) è lievemente diminuita al 14,3 per cento (dal 14,4 per cento). Anche la quota di debito in mano alla stessa Banca d’Italia ha continuato a diminuire, scendendo ad aprile al 20,2%, dal 20,5% del mese precedente. I dati smentiscono la dichiarazione di Giorgia Meloni risalente al 28 aprile 2024, secondo cui «Il debito sta tornando nelle mani degli italiani grazie al successo dei Btp Valore». Allo stesso tempo si registra anche un aumento del debito delle pubbliche amministrazioni, in aumento di 30,1 miliardi rispetto al mese precedente, raggiungendo la cifra di 3.063,5 miliardi.
Tuttavia, al contrario di quanto propugnato a reti unificate dalla narrazione dominante neoliberista, il problema del debito non è un problema in termini assoluti, ma è da mettere in relazione a due elementi fondamentali: il suo valore in rapporto al PIL (prodotto interno lordo) e la composizione del debito per detentori. A questo si aggiunge un altro elemento importante che è la spesa per interessi che ogni anno una nazione paga sull’emissione dei titoli e che può incidere significativamente sul debito complessivo. La composizione del debito per detentori è un aspetto particolarmente rilevante, in quanto l’elevata percentuale di debito nelle mani del mercato e di fondi stranieri rende il debito vulnerabile: i titoli, infatti, possono essere repentinamente liquidati, creando forti pressioni ribassiste sui prezzi e innescando di conseguenza un rialzo dei rendimenti, per via della relazione inversa tra prezzi e rendimenti che caratterizza le obbligazioni. Ciò significa anche che chi detiene il debito pubblico di una nazione, in questo caso quello italiano, può arrivare piuttosto facilmente ad influenzare le scelte politiche utilizzando strumentalmente la leva del debito, minacciando ad esempio di vendere repentinamente i titoli di Stato. Ecco perché detenere internamente il debito è un’opzione più sicura e sovrana che non dipendere in tutto o in parte dai mercati e dagli investitori internazionali.
Secondo le ultime rilevazioni, la percentuale di debito detenuta dai non residenti, ossia singoli investitori e istituti finanziari che non hanno la residenza in Italia, a marzo era pari al 32,4% del totale ed è in aumento da marzo 2023, quando è stato toccato il valore minimo degli ultimi anni (26,1 per cento), ma resta ancora lontana dal picco registrato a ottobre 2009 (41,3 per cento). Se più del 32% del debito è nelle mani dei non residenti, sarebbe sbagliato pensare che il restante 70% sia nelle mani di famiglie e imprese italiane: secondo gli ultimi dati, infatti, 20,2% del debito è detenuto da Banca d’Italia, mentre il 20,4% da altre banche centrali o banche e il 12,4% da altre istituzioni finanziarie, come la Cassa depositi e prestiti. Solo il rimanente 14,4% è detenuto dagli “altri residenti”, una categoria dove rientrano principalmente le famiglie e i singoli investitori italiani. Il Rapporto sul debito pubblico 2023 del Ministero di Economia e Finanza (MEF) analizza, inoltre, le principali tipologie di investitori relative ai BTP (Buoni del Tesoro Poliennali), titoli di debito a medio-lungo termine. In particolare, per quanto riguarda i BTP con scadenza ventennale, la quota sottoscritta dalle banche è stata la più rilevante (39%), seguita da quella dei fondi d’investimento (24,7%), risultata in diminuzione rispetto all’anno precedente. Banche centrali e istituzioni governative hanno, invece, contribuito all’acquisto dei titoli ventennali con una quota del 24,2%, seguite dai Fondi pensione e assicurazioni (6,3%) e dai fondi speculativi (5,8%).
La questione di chi possiede il debito pubblico influenza anche quella relativa agli interessi sul debito: la forte dipendenza dai fondi d’investimento e da banche estere, infatti, aumenta il rischio di rifinanziamento perché, senza un prestatore di ultima istanza, ossia una banca centrale che garantisce i titoli, gli investitori richiedono rendimenti più elevati per investire nel nostro debito sovrano, con conseguenze negative per i conti pubblici. Non a caso, la vera e propria esplosione del debito italiano si registra a partire dal 1981, in seguito al cosiddetto divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia deciso dall’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi, allora governatore della Banca d’Italia: un evento che ha provocato l’impennata del debito poiché la banca centrale non garantiva più i titoli, determinando quindi un aumento dei tassi d’interesse. A partire da allora, l’aumento del debito è stato determinato proprio dall’interesse più alto preteso dagli investitori: si stima, infatti, che la spesa per interessi sia raddoppiata tra il 1981 e il 1984, passando dal 4% all’8% del PIL. Secondo Eurostat nel 2022, ultimo anno in cui sono disponibili i dati, l’Italia è stato il Paese che ha pagato più interessi sul proprio debito pubblico in percentuale del prodotto interno lordo all’interno dell’Unione europea: il 4,4 per cento, davanti a Ungheria (3 per cento), Grecia (2,7 per cento) e Spagna (2,4 per cento). La spesa media in interessi sul debito dei 27 Paesi Ue è invece molto più bassa, pari all’1,7 per cento.
Il dato sull’aumento degli investitori esteri nel debito pubblico italiano offre l’occasione per ricordare che l’attuale debito pubblico non è dovuto alla spesa eccessiva, secondo il mantra dominante per cui vivremmo “al di sopra delle nostre possibilità”, bensì all’enorme massa di interessi passivi pagati alle banche e agli investitori privati. A riprova di ciò vi è il fatto che il nostro Paese risulta tra i più virtuosi a livello europeo, e non solo, per quanto riguarda l’avanzo primario: negli ultimi 30 anni, infatti, ha sempre speso meno del totale delle entrate, al netto degli interessi sul debito. Si tratta di un dato confermato anche dall’FMI che ha una sezione dedicata agli avanzi primari registrati in rapporto al Pil per 115 Paesi del mondo dal 1990 a oggi: stilando una classifica, è emerso che l’Italia si posiziona all’undicesimo posto con un avanzo primario medio annuo dell’1,75% rispetto al PIL.
Quello del debito pubblico, dunque, è un tema che riguarda innanzitutto la sovranità economica e monetaria, senza la quale non è possibile avere alcuna sovranità nemmeno in ambito geopolitico, energetico e nelle relazioni internazionali. L’Italia, prima con il divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia, poi con l’ingresso nello SME e successivamente con l’adesione al sistema dell’euro ha rinunciato alla sua sovranità economico-monetaria, diventando dipendente dai mercati finanziari. Il che ha accresciuto ulteriormente il potere dei fondi speculativi e d’investimento come Blackrock, Vanguard e State Street che muovono cifre pari o superiori a quelli del PIL di intere nazioni europee. Un risultato ottenuto proprio grazie alla sottomissione dello Stato alle forze economico-finanziarie. Nel settembre 2024, l’amministratore delegato di Blackrock, Larry Fink, è stato accolto a Palazzo Chigi da Giorgia Meloni per scambiare «un approfondito scambio di vedute su possibili investimenti del fondo USA in Italia». Secondo lo storico Alessandro Volpi, la Meloni potrebbe aver chiesto a Fink «di comprare una parte del debito italiano magari avendo una corsia privilegiata per ulteriori future privatizzazioni». Dunque, non solo il debito pubblico in mani italiane non è aumentato, ma la Penisola risulta sempre più nell’orbita dei mercati finanziari e dei grandi fondi internazionali – soprattutto statunitensi – da molti definiti i veri «padroni del mondo».
Gaza: uccisi 94 palestinesi, 45 in cerca di aiuti umanitari
Nelle ore notturne, 94 palestinesi sono stati uccisi nella Striscia di Gaza da attacchi aerei e sparatorie israeliane, tra cui 45 persone mentre cercavano aiuti umanitari, secondo il ministero della Salute locale. Altre 13 persone sono morte in un attacco su una tenda ad al-Mawasi, mentre 12 sono decedute a causa di un bombardamento su una scuola per sfollati a Gaza City. In totale, oltre 300 palestinesi sono stati uccisi nelle ultime 48 ore. Dall’inizio del massacro, nell’ottobre 2023, più di 57mila palestinesi sono morti, la metà donne e bambini, secondo le autorità sanitarie di Gaza.
Alligator Alcatraz: il nuovo carcere show per migranti voluto da Donald Trump
In mezzo alle cosiddette Everglades della Florida, le paludi dello Stato a sudest degli Stati Uniti, è nata una prigione per persone migranti, circondata da alligatori e pitoni: è Alligator Alcatraz, struttura che sorge su una vecchia pista da jet abbandonata. Il nuovo carcere è stato fortemente voluto dall’amministrazione Trump, che per la sua apertura ha organizzato un evento mediatico che ha fatto rapidamente il giro di tutto il Paese: «Se vuoi fuggire devi correre a zigzag, così le tue chance di sopravvivere aumentano dell’1%», ha detto Trump mimando il movimento ondulatorio con le mani. Quello che vuole essere la nuova prigione statunitense, insomma, è esplicito: una struttura detentiva di massima sicurezza – come del resto quella da cui prende il nome -, con dei «coccodrilli come poliziotti» perché «costano meno» e sanno essere molto più letali. Alligator Alcatraz ospiterà fino a 5.000 persone migranti, e, secondo le prime stime, dovrebbe costare 450milioni di dollari all’anno.
Alligator Alcatraz è stata inaugurata martedì 1 luglio con una cerimonia mediatica che ha avuto parecchia risonanza in tutti gli Stati Uniti: per promuovere l’apertura della struttura, i funzionari statunitensi hanno pubblicato sui social media immagini di alligatori con indosso cappelli dell’Immigration and Customs Enforcement, mentre il Partito Repubblicano della Florida ha iniziato a vendere abiti e accessori a tema alligatore. Arrivato sulla ex pista da jet, il presidente è apparso insieme al governatore della Florida e suo ex contendente alle primarie repubblicane Ron De Santis, e alla segretaria della Sicurezza Interna Kristi Noem, e ha risposto alle domande dei giornalisti. La struttura è stata messa in piedi in soli 8 giorni, ricorrendo ai poteri di emergenza per la crisi migratoria.
La prigione sorge dove un tempo si trovava l’aeroporto di addestramento e transizione Miami-Dade Collier, a circa 60 chilometri da Miami. Il vecchio aeroporto era grande oltre 100 chilometri quadrati, ma non è ancora chiaro quanta superficie sia stata utilizzata per il centro di detenzione; rispondendo a una domanda di Trump, il governatore De Santis ha detto che non esclude l’ipotesi che la porzione di pista dedicata al carcere venga allargata. Essa ospiterà fino a 5.000 persone, e secondo la segretaria Noem servirà come appoggio per coloro che sono in attesa di espulsione. In occasione dell’inaugurazione, il governatore Ron DeSantis ha dichiarato che avrebbe inviato 100 soldati della Guardia Nazionale nella struttura, e che il carcere avrebbe iniziato a essere operativo entro 24 ore; non sembra che siano ancora arrivate le prime persone migranti. Secondo delle stime apparse sui media il mantenimento del carcere dovrebbe costare un totale di 450 milioni di dollari l’anno, che saranno parzialmente erogati dall’amministrazione federale.
L’iniziativa di costruire un carcere di massima sicurezza in mezzo a una palude dove rinchiudere le persone migranti si colloca sulla scia della dura politica migratoria che Trump – e come lui De Santis – porta avanti sin dalla campagna elettorale, e contro cui i cittadini sono già scesi in piazza diverse volte. Secondo dei documenti visionati dall’emittente CBS lo scorso 23 giugno, il numero di persone detenute nei centri di immigrazione federali è aumentato drasticamente, passando dai 39.000 di inizio anno a 56.000; secondo De Santis la Florida sarebbe responsabile del 20% degli arresti giornalieri di persone irregolari. Questo rapido aumento degli arresti ha spinto l’amministrazione a cercare soluzioni alternative e a spingere perché venissero costruite nuove strutture.
In occasione dell’apertura di Alligator Alcatraz, i gruppi ambientalisti hanno organizzato una protesta per contestare la trasformazione dell’aeroporto in un centro detentivo. Qualche settimana prima, i movimenti Friends of the Everglades e Center for Biological Diversity hanno inoltre presentato una istanza legale per bloccare la costruzione del sito sostenendo che esso violi le leggi ambientali federali, statali e locali. I movimenti contestano il fatto che il sito si trovi nei pressi della Big Cypress National Preserve, un’area protetta in cui risiedono le pantere della Florida, che risultano in via di estinzione. Le contestazioni non si fermano alle questioni ambientali: Mark Fleming, direttore associato del National Immigrant Justice Center, ha infatti criticato le condizioni in cui sono costretti i detenuti, giudicando il sistema di supervisione dei migranti «fuori controllo»: «Il fatto che l’amministrazione e i suoi alleati prendano in considerazione una struttura temporanea così grande in un lasso di tempo così breve», ha affermato, «senza un piano chiaro su come dotarla adeguatamente di personale medico e altri servizi necessari, e nel bel mezzo della calura estiva della Florida, dimostra il loro insensibile disprezzo per la salute e la sicurezza degli esseri umani che intendono imprigionarvi. È semplicemente uno shock per la coscienza».
Dopo il Dalai Lama ci sarà un altro Dalai Lama, e la Cina non l’ha presa bene
Il Dalai Lama XIV ha dichiarato ufficialmente che ci sarà un suo successore. Mercoledì 2 luglio, attraverso un atteso discorso annunciato nei giorni scorsi, Tenzin Gyatso ha confermato che il Tibet continuerà ad aver un capo spirituale anche dopo la sua morte. E non era affatto scontato. A pochi giorni dal suo novantesimo compleanno, Gyatso ha levato ogni dubbio sul futuro del capostipite del buddismo tibetano e ha scelto di affrontare apertamente le ingerenze cinesi sulla questione, in una decisione che – lungi dall’essere solo religiosa – ha tutte le carte in regola per aumentare le tensioni tra Cina e Occidente su più fronti.
Il Dalai Lama, figura principale della religione buddhista tibetana e figura di spicco del territorio, viene eletto dal Gaden Phodrang Trust (istituzione da lui stesso fondata nel 2011), dopo le consultazioni con i capi spirituali delle scuole buddiste tibetane e i Protettori del Dharma. Come confermato dal Dalai Lama XIV, l’elezione si celebrerà solo dopo la sua morte, in seguito alla ricerca dell’incarnazione dell’attuale capo spirituale nel corpo di un bambino.
Se l’iter tradizionale prevede lo svolgimento delle elezioni secondo la suddetta procedura, in quest’occasione il profondo cambiamento del contesto geopolitico dell’area negli ultimi settant’anni complica drasticamente la situazione. Difatti Tenzin Gyatso, l’attuale Dalai Lama, è stato l’ultimo capo spirituale riconosciuto e insediato prima dello scoppio della guerra civile cinese e dell’ascesa al potere del partito comunista. Intronizzato nel 1940, a soli cinque anni, nel territorio tibetano ancora isolato e indipendente, Gyatso assistette all’invasione cinese del Tibet del 1950 e tentò per due anni di aprire il dialogo con le istituzioni maoiste, senza successo. È nel 1959 però che la tensione scoppiò definitivamente, scatenando lo scontro tra le forze militari maoiste e i rivoltosi del movimento di resistenza tibetano, addestrato dalla CIA nel contesto dell’operazione ST Circus. La repressione delle ribellioni da parte dei militari cinesi, spinsero il Dalai Lama e 190.000 tibetani alla fuga verso l’India, dove, con l’aiuto della CIA e l’approvazione del presidente indiano Jawaharlar Nehru, si installò definitivamente a Dharamsala, dando vita al Governo tibetano in esilio.
Il Dalai Lama leva così il velo sul futuro dell’istituzione religiosa che rappresenta. Resta aperto il dubbio sulle conseguenze di una dichiarazione che la Cina considera una vera e propria ingerenza. Da Pechino la risposta non si è fatta attendere: «le rincarnazioni del Dalai Lama, del Panchen Lama e delle altre grandi figure buddhiste devono essere scelte dal sorteggio attraverso l’urna d’oro e dovrà essere approvato dal governo centrale» ha dichiarato il ministro per gli affari esteri Mao Ning, facendo riferimento alla tradizione introdotta dalla dinastia Qing nel 1793 e utilizzata fino al 1877. Difatti, i due Dalai Lama eletti dopo il 1877 furono scelti, con il permesso del governo centrale cinese, attraverso il metodo della manifestazione del defunto nel nuovo corpo. È grazie al metodo introdotto in epoca Qing che il Partito comunista cinese (PCC) confuta oggi le affermazioni di Tenzin Gyatso.
Inoltre, l’estrazione dall’urna d’oro interessa anche le figure dei Panchen lama, seconda entità più importante della religione e figura principale nella ricerca del nuovo Dalai Lama. Intorno a questo ruolo, trent’anni fa si produsse un contenzioso tra il PCC e il governo tibetano: nel 1995 Tenzin Gyatso scelse come successore del Panchen Lama, deceduto nel 1989, Gedhun Choekyi Nyima un bambino nato nella contea di Lhari, situata nella regione autonoma del Tibet sotto il controllo cinese. Il 14 maggio, solo pochi giorni dopo l’annuncio del Dalai Lama, le autorità cinesi arrestarono il futuro Panchen Lama e incaricarono Sengchen Lobsang Gyaltsen, ostile alle istituzioni tibetane e vicino al partito, di trovarne un altro. La scelta ricadde su Gyancain Norbu, che da allora rappresenta il lignaggio dei Panchen Lama, risiede abitualmente a Pechino e solo pochi giorni fa è stato ricevuto dal presidente Xi Jinping.
Il risultato di questa dicotomia istituzionale sarà con estrema probabilità l’istituzione di due Dalai Lama, uno eletto alla morte di Tenzin Gyatso e ricercato tra i territori «del mondo libero», come lui stesso ha ammesso nel suo ultimo libro, e l’altro nominato attraverso il rito dell’urna e con il consenso del PCC. Questa questione alimenta una tensione geopolitica considerevole, già fortemente compromessa dal fragile equilibrio al di là dello stretto di Taiwan. Se da un lato i parametri di questo stallo sono di carattere religioso, dall’altro la successione accende un faro sul controllo di un territorio chiave sia da un punto di vista orografico ed economico, per la fonte idrica che contiene, sia politico, in quanto confine conteso con l’altra potenza economica dell’area, l’India.
Vanno inoltre tenute in considerazione le relazioni che il Dalai Lama ha stretto nel corso dei decenni con l’Occidente. Se fin da subito la CIA e gli Stati Uniti hanno finanziato il Tibet in chiave anticomunista, anche se, come recriminato dallo stesso Gyatso nel 1991, senza tenere a cuore la causa tibetana, l’intero asse atlantico si è schierato più volte dalla parte del Tibet, stringendo relazioni dirette con l’attuale Dalai Lama. Entrambe le forze in gioco sono coscienti dell’importanza dell’area: secondo Reuters gli Stati Uniti avrebbero ristabilito nei giorni scorsi gli aiuti economici inizialmente sospesi dall’amministrazione Trump, mentre la Cina da anni ha avviato un processo di investimenti nelle infrastrutture, nel turismo e nelle risorse naturale nella regione autonoma del Tibet.
Il processo di successione annunciato da Tenzin Gyatso non si risolverà rapidamente, ma in un contesto geopolitico instabile come quello odierno, ha tutte le carte in regola per aumentare le tensioni tra Cina e Occidente su più fronti. Ottantacinque anni dopo l’ultima elezione, il prossimo Dalai Lama scelto dalla comunità tibetana in esilio sarà il primo a non aver mai messo piede in Tibet.
Frane e ingiustizie a Cortina: a pagare sono i cittadini che denunciano i pericoli
A San Vito di Cadore cresce la rabbia per le continue frane che, nelle ultime settimane, hanno interessato i monti Sorapis e Antelao e per l’inerzia delle istituzioni. Dal 2018, i cittadini avevano denunciato la fragilità idrogeologica dell’area, opponendosi alla variante stradale Anas legata ai Mondiali di sci 2021. Le loro preoccupazioni si sono rivelate fondate, eppure, invece di ricevere ascolto, si sono visti chiedere risarcimenti per 127 mila euro e dichiarare ineleggibili tre consiglieri comunali critici verso l’opera. Ora i cantieri sono ancora aperti in vista delle Olimpiadi 2026, mentre i cittadini continuano a pagare il prezzo di scelte ritenute inutili e dannose.
La notte di martedì 1° luglio, l’ennesima colata di fango e sassi dalla Croda Marcora ha invaso la statale 51, chiudendo la strada in entrambe le direzioni. Una frana con un fronte di lunghezza di 100 metri e alta 4 metri. Vigili del fuoco di Belluno e Verona, insieme alle squadre di Cortina e di San Vito, sono intervenuti con pale gommate, escavatore e camion per liberare la carreggiata. Si tratta della terza chiusura della statale in meno di quindici giorni, in seguito ad altre due colate di detriti che avevano già colpito il territorio di Borca di Cadore. Il commerciante Antonio Menegus, storica voce del “Comitato no variante Anas”, non nasconde rabbia e frustrazione: «Ma si rendono conto di quello che sta accadendo sulle nostre montagne e di ciò noi stiamo denunciando da anni, senza che nessuno prenda provvedimenti? Anzi, hanno chiesto ai cittadini che hanno alzato la voce risarcimenti per spese legali pari a 127 mila euro e hanno impedito l’elezione di tre consiglieri comunali, per una causa civile finita nel nulla». Menegus ha aggiornato il bilancio delle sue battaglie, le quali, oltre alla richiesta di risarcimento per le spese legali, vede quattro cause davanti al Tribunale delle Acque Pubbliche.
Nel febbraio 2018, Menegus e altri abitanti inviarono un esposto al Ministero dell’Ambiente, alla Procura di Belluno, al sindaco di San Vito, all’Anas e alla Soprintendenza, denunciando che «la progettazione Anas depositata al Ministero dell’ambiente e di tutela del territorio non prende in giusta considerazione la fragilità idrogeologica di tutto il versante che va da Borca a Cortina in sinistra Boite». Il documento avvertiva dei drammatici precedenti: due vittime a Borca nel 2009 e tre a San Vito nel 2015, e segnalava nel tratto di Acquabona «continue interruzioni (media tre all’anno) in diversi punti» della statale 51. Proposero persino «soluzioni di viabilità alternativa all’intera tratta, probabilmente in destra Boite, che pongano definitivamente in sicurezza il transito nell’Alta valle del Boite».
Il progetto rientrava nei lavori per i campionati mondiali di sci alpino di Cortina 2021, che avrebbero dovuto essere consegnati entro il 31 dicembre 2019. Gli attivisti ricordano come i cantieri, contrariamente alle promesse, avessero preso «durata indefinita» e oggi si trascinino ancora in vista delle Olimpiadi 2026. Lo scorso dicembre, il Comitato fece i conti con parcelle legali «abnormi»: otto fatture da 65mila euro ciascuna, per un totale di 523mila euro, con maggiorazioni del 150% decise dai legali di Anas e Comune di Cortina. Nel dettaglio, una singola parcella toccò 45mila euro per l’incremento percentuale di venticinque parti, a cui si aggiungevano spese previdenziali e forfettarie. Le cause, intentate davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, erano mirate a ottenere la sospensiva dei lavori mai concessa, ma costarono un’estorsione giudiziaria di fatto punitiva.
A giugno 2024 tre consiglieri – Anna Rosa Martinelli, Paolo Brovedani e Silvia D’Arsiè de Sandre – eletti proprio in quota Comitato, furono dichiarati ineleggibili: il commissario straordinario Antonino Russo aveva avviato contro di loro una causa da 144.526 euro per «danni patrimoniali e d’immagine», imputando un «eccesso di ricorsi». Il Tribunale di Belluno li ha poi reintegrati, ma il mandato era nel frattempo decaduto. Il neo sindaco Franco de Bon ha rinunciato all’appello e il Comune è stato condannato a pagare 40mila euro di spese legali.
Corea del Sud: approvata revisione della legge marziale
Il parlamento sudcoreano ha approvato una revisione delle norme che disciplinano la legge marziale. La scelta di rivedere il funzionamento della legge marziale arriva in risposta alla crisi scoppiata lo scorso dicembre, quando l’ex presidente Yoon Suk Yeol ha provato a imporla al Paese. Le nuove norme vietano qualsiasi tentativo di impedire ai parlamentari di entrare nell’Assemblea Nazionale e costringono l’esercito e la polizia a chiedere l’approvazione del Presidente dell’Assemblea per accedere all’edificio.
Integratori di sali minerali per l’estate: quali scegliere?
Con l’arrivo della stagione estiva, caratterizzata da caldo intenso, alte temperature e sudate ricorrenti, potremmo aver bisogno di un integratore di sali minerali, come quelli a base di potassio e magnesio, che aiutino il corpo a non subire contraccolpi come debolezza, abbassamenti di pressione, svenimento in alcuni casi, o addirittura problemi cardiaci, dal momento che sia il potassio che il magnesio sono direttamente e precipuamente coinvolti anche nel funzionamento corretto del cuore e del sistema nervoso. Una carenza di questi sali infatti può comportare problemi di salute da lievi a molto gravi, a seconda della situazione e del grado di carenza che si instaura.
Pertanto può essere una buona idea dare al nostro organismo una supplementazione di queste preziose sostanze, specialmente nelle giornate in cui sudiamo tanto o siamo costretti a stare per molte ore in una condizione di forte accaldamento, per lavoro o per altri motivi di varia natura. Sebbene questi minerali siano presenti all’interno di una dieta ricca di frutta e verdura (ma solo se effettivamente ricca), con l’innalzarsi delle temperature il nostro corpo si trova ad avere un fabbisogno maggiore di sali minerali e vitamine. In particolare quando siamo sottoposti a sudorazioni eccessive e disidratazione, queste sostanze non riescono a permanere in quantitativi sufficienti dentro il nostro organismo e quindi si determina una carenza che può andare da lieve a severa, con le conseguenze del caso. Lo stesso discorso vale per gli sportivi (e per loro vale tutto l’anno), in quanto la sudorazione e disidratazione è costante per via di allenamenti e gare. Ne deriva che per queste categorie di persone integrare queste e altre sostanze è assolutamente necessario e per niente opzionale, pena un calo di salute che come detto può essere anche serio e portare a conseguenze sgradevoli.
Detto ciò, è però molto importante scegliere un integratore di qualità che abbia davvero le caratteristiche richieste, dal momento che sul mercato ci sono prodotti di ogni genere che promettono di aiutare a migliorare la situazione ma che alla prova dei fatti spesso sono inadatti o semplicemente troppo “deboli” nel produrre effetti significativi nell’organismo, banalmente perché non contengono abbastanza potassio e magnesio, per esempio, nonostante le sbandierate super proprietà negli spot pubblicitari in TV e nei giornali. Vediamo allora a cosa bisogna prestare attenzione se acquistiamo un integratore di sali minerali.
Integratori salini: come sceglierli
Per prima cosa sarebbe opportuno evitare completamente tutti quei prodotti (molto pubblicizzati da anni in TV) la cui formulazione prevede come primo ingrediente lo zucchero o altro tipo di dolcificante, e che include sempre anche altre sostanze del tutto inutili come maltodestrine (altro zucchero che si ottiene in laboratorio), l’olio di palma, i correttori di acidità come E330, E334, E500, gli aromi (tipicamente di agrumi o fragola), e perfino dei coloranti (vedi immagini sotto). Quando ci troviamo di fronte a prodotti formulati in questo modo, significa che dentro c’è di tutto ma in sostanza sarà presente soltanto una piccola dose di sali minerali, i quali non avranno quell’effetto nutraceutico di cui abbiamo bisogno, anche perché nel frattempo il nostro corpo ha assimilato tanti zuccheri e additivi che tutto fanno tranne che ripristinare una disidratazione e uno squilibrio di sali minerali. Per convincerci definitivamente che questo genere di prodotto non è di nessuna utilità concreta, vi mostro l’etichetta di un noto integratore di potassio e magnesio dove si vede chiaramente come la dose da assumere indicata è di ben 3 bustine al giorno, e ciò nonostante si arriva a raggiungere a malapena un 15-30% di sali minerali, rispetto al fabbisogno giornaliero consigliato per la popolazione generale.
Il nostro obiettivo deve essere invece quello di acquistare un integratore più “pulito” e di qualità rispetto a quelli appena descritti, dove non ci siano sostanze inutili come lo zucchero, gli aromi e altri additivi, e dove soprattutto si punti alla sostanza, in cui la quantità contenuta di sali minerali sia alta o comunque in grado di darci una vera supplementazione nel momento in cui il corpo ha realmente bisogno di una dose aggiuntiva che sia di reale beneficio. Infatti sarebbe inutile integrare piccolissime dosi di sali minerali nel momento in cui l’organismo ha già una carenza, in questi frangenti serve invece proprio una dose piuttosto alta che sia almeno pari alla dose giornaliera consigliata, o anche maggiore, proprio per aiutare l’organismo a ripristinare una situazione fisiologica, di normalità.
Puntiamo dunque all’acquisto di un prodotto che contenga possibilmente solo i sali minerali, e ad assumerne un quantitativo che abbia effettivamente un impatto positivo per l’organismo. Nell’esempio in foto vi mostro un prodotto che contiene solo magnesio e un po’ di acido citrico, nulla più. Basta sciogliere la polvere in acqua e assumerlo. Come si vede dalla tabella in foto, con solo 1-2 cucchiaini possiamo arrivare alla dose del fabbisogno giornaliero e addirittura superarla (115% del fabbisogno). È proprio ciò a cui serve un integratore di questo tipo, le aziende che formulano i prodotti in questo modo sono le migliori sul mercato, anche come qualità della materia prima.

Lo stesso ragionamento vale per gli integratori di potassio o di altri sali minerali, sul mercato è sempre possibile trovare dei prodotti “puliti” e ben formulati, che offrono qualità e tralasciano le aggiunte di zuccheri e altri additivi.
Evitare il fai da te
Sebbene si tratti di “semplici” sali minerali e vista la pressoché assenza di controindicazioni, effetti collaterali e interazioni farmacologiche nei soggetti sani, e sebbene tali prodotti vengano univocamente considerati come sicuri, a mio parere è comunque sconsigliabile l’utilizzo in completa autonomia, specie se li si vuole utilizzare per lunghi periodi. Non consiglio l’uso in autonomia sia perché, come abbiamo detto, i sali minerali hanno importanti effetti nel nostro organismo, che se non ben controllati possono comunque portare anche a squilibri e problemi, e sia perché alcune categorie di persone – in cura con farmaci o terapie ad esempio – devono avere la supervisione del medico o del professionista esperto come il farmacista. Questo breve articolo vi servirà da guida per orientarvi verso l’acquisto di un prodotto di qualità, per non cadere nella spesa inutile fatta seguendo spot TV o consigli di amici e conoscenti che non hanno nessuna contezza della questione. Dopo di ciò, chiedete un parere al vostro medico curante o al vostro farmacista di fiducia, oppure al nutrizionista, altra figura che vi saprà dare un indirizzo sicuro nelle modalità e tempi di assunzione.










