Sono stati registrati diversi attentati a Jalalabad, in Afghanistan, come hanno fatto sapere i media locali. Dopo gli svariati attentati, sono esplose delle bombe e si contano, per il momento, due morti e ben diciannove persone ferite. Almeno due delle bombe esplose miravano a distruggere i veicoli delle forze di sicurezza talebane. Gli attentati registrati oggi sono i primi che avvengono dopo il 7 settembre ( data di inizio del Governo ad interim dei talebani).
Referendum per abrogare il Green Pass: da oggi la raccolta firme
Parte oggi la raccolta firme per il “Referendum No Green Pass”, il cui intento è quello di abrogare le disposizioni legislative relative al lasciapassare sanitario. L’iniziativa di promozione referendaria, infatti, consente agli italiani di esprimere la propria contrarietà al certificato verde rispondendo nello specifico a quattro quesiti riguardanti l’abrogazione dei diversi provvedimenti su tale strumento che si sono succeduti nel tempo. A tal proposito, l’apposito sito offre la possibilità di firmare in forma telematica ma non solo: la raccolta delle firme potrà infatti avvenire anche mediante le tipiche modalità referendarie.
Dietro tale referendum vi sono cittadini comuni e studenti universitari, che lo hanno «ideato, organizzato e promosso». Tuttavia, «l’impegno dei promotori è supportato da un Comitato organizzativo e da un Comitato di Garanti», all’interno dei quali vi sono avvocati e cattedratici italiani tra cui il docente di diritto internazionale presso l’università “La Sapienza” di Roma, Luca Marini, il docente di diritto civile presso l’Università di Torino, Ugo Mattei, il presidente emerito di sezione della Corte di Cassazione, Paolo Sceusa e, ultimo ma non meno importante, Carlo Freccero, accademico, giornalista e già consigliere di amministrazione della Rai.
Detto ciò, per quanto concerne le ragioni del “No”, sul sito si legge che il Green Pass «esclude dalla vita economica e sociale della nazione quei cittadini che sostengono convinzioni ed evidenze diverse da quelle imposte dal Governo» e che esso «costituisce un palese strumento di discriminazione che collide con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico». In tal senso, viene citato l’articolo 3 della Costituzione, secondo cui «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Inoltre, viene anche menzionato l’articolo 32: secondo i promotori infatti il divieto da esso sancito, ossia quello per cui «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» sarebbe aggirato dal lasciapassare sanitario, che «spinge surrettiziamente i cittadini alla vaccinazione».
Infine, coloro che promuovono l’iniziativa sostengono che il Green Pass generi problemi anche sul piano internazionale, ed a tal proposito si rifanno, tra l’altro, ad alcuni «accordi internazionali giuridicamente vincolanti di cui l’Italia è parte contraente», tra cui la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) del 1950. Quest’ultima sancisce diritti quali il diritto alla vita e libertà quali, ad esempio, quella di riunione e di associazione. Tuttavia, al suo interno si legge che il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti «deve essere assicurato senza nessuna discriminazione».
Dunque si ha a che fare, concludono i promotori, con tutta una serie di «violazioni gravi ed evidenti dello stato di diritto», motivo per cui il popolo deve ora «farsi garante della Costituzione e rendersi parte attiva per ripristinare i principi di uguaglianza e di parità tra cittadini su cui si fonda la nostra civiltà giuridica».
[di Raffaele De Luca]
Referendum cannabis: raggiunte le 500mila firme
La raccolta firme per il referendum sulla cannabis legale – promosso dalle Associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Società della Ragione, Antigone e dai partiti +Europa, Possibile e Radicali italiani – ha raggiunto e superato quota 500mila, cifra limite che consentirà al quesito di andare al voto nella primavera del 2022. Il tutto ad una settimana dal lancio della piattaforma: si tratta infatti della prima raccolta firme italiana per un referendum avvenuta interamente online sul sito referendumcannabis.it. Gli organizzatori, però, invitano ad andare avanti ed a raccogliere almeno un altro 15% di firme in più per sicurezza.
Musiche di strada, al tempo del distanziamento
Ci sono parole, suoni che superano i muri, reali e virtuali, senza fare troppo rumore. Ogni viaggio lascia mille punteggiature: orizzonti improvvisi, strascichi di venti e profumi, scorci come flash, lampi di sguardi.
Di un mese in Germania, ora che sono tornato, trattengo anche le soste dai musicisti di strada: i tre bielorussi con balalaika che ci omaggiano con arie napoletane, il maestro ucraino di fisarmonica che alterna Vivaldi e Bach con coloriture dodecafoniche, l’andino con la sua noiosissima arpa che a tratti sa di rivoluzione, i due slovacchi, improbabili saints marching in, glabri e insieme paonazzi alle trombe, il vecchietto sul ponte che soffia sotto tono nel suo strumento, la giovane violinista fresca di studi.
I gruppi degli ascoltatori itineranti allestiscono scenografie improvvisate, dicono che la strada è luogo creativo, come nelle commedie di Goldoni o nelle passeggiate romantiche, come nelle vicende narrate da Kerouac o nei film del nostro neorealismo.
Incontri di un mondo capovolto, nelle vie e nelle piazze, che va su e giù e che mangia sempre di più all’aperto, anche se piove, perché evidentemente non ha gli adeguati titoli sanitari per entrare nei locali.
Street food e musica: è vero, si tengono le distanze ma tutti, se siamo qui, è perché amiamo gli orizzonti marini, i panini di pesce, la vita all’aperto, le voci alte e chiassose. Che superano appunto i muri, gli artifici di un periodo storico che ci obbligherebbe a sentirci tutti estranei se non nemici.
Compagni invece di due minuti di festa sonora, l’inno variegato di una umanità che ha bisogno di fantasie ma che non vuole rinunciare ad ascoltare e a capire.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]
Usa: esperti Fda dicono no a terza dose Pfizer sotto i 65 anni
Il panel di esperti indipendenti della Fda (Food and Drug Administration), l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici, ha respinto la proposta di offrire una terza dose del vaccino anti Covid Pfizer a tutti i cittadini di età superiore ai 16 anni. Via libera, invece, al richiamo per le persone dai 65 anni in su e per i più vulnerabili, a partire dal sesto mese dopo la seconda dose. Adesso dunque la decisione finale, la prossima settimana, dovrà prenderla la Fda, che generalmente però segue le raccomandazioni dei propri esperti indipendenti.
Italia: 3,4 milioni di over 50 non si sono ancora vaccinati
Sono 3,4 milioni (3.424.070) gli over 50 italiani che non si sono sottoposti alla vaccinazione anti Covid (nemmeno alla prima dose). Lo si apprende dal rapporto settimanale della struttura del commissario Francesco Figliuolo. Tale numero corrisponde al 12,3% della popolazione over 50. Più della metà dei non vaccinati, inoltre, rientra nella fascia di età tra i 50 ed i 59 anni, con 1,7 milioni di persone che non si sono sottoposte ad alcuna somministrazione: si tratta del 17% di tale fascia.
Il Parlamento europeo ha votato per i diritti dei riders
I deputati del Parlamento europeo nella giornata di ieri hanno approvato, con 524 voti a favore, 39 contrari e 124 astensioni, una risoluzione avente ad oggetto i diritti dei «lavoratori delle piattaforme digitali», riferendosi con tale espressione soprattutto ai riders e agli autisti. La richiesta degli eurodeputati è la seguente: essi devono «avere la stessa protezione e remunerazione dei dipendenti tradizionali», dato che «sono spesso erroneamente classificati come lavoratori autonomi, il che non garantisce loro diversi diritti dei lavoratori, tra cui la protezione sociale». Con essa, i membri del Parlamento fanno riferimento precisamente ai «contributi di sicurezza sociale, alla responsabilità per la salute e la sicurezza e al diritto alla contrattazione collettiva».
Per affrontare tali problemi, però, il Parlamento propone alcune soluzioni: in primis si dovrebbe attuare un’inversione dell’onere della prova, con i datori di lavoro che dovrebbero essere tenuti a dimostrare che effettivamente non ci sia un rapporto di lavoro, e non viceversa. Questo infatti permetterebbe di fornire maggior certezza giuridica a queste figure professionali. Ad ogni modo, però, ciò non significa che i deputati siano a favore di una classificazione automatica di tutti i lavoratori delle piattaforme, anzi, secondo questi ultimi «coloro che sono veramente lavoratori autonomi dovrebbero essere autorizzati a rimanere in tale posizione».
Oltre a ciò, poi, per quanto concerne la salute e la sicurezza, i deputati sottolineano che, siccome i lavoratori delle piattaforme sono spesso soggetti a maggiori rischi in tal senso, dovrebbero «essere dotati di adeguati dispositivi di protezione personale, e quelli attivi nei servizi di trasporto e consegna dovrebbero avere un’assicurazione contro gli infortuni garantita».
Infine, ad essere menzionati sono anche gli algoritmi dai quali dipendono, tra l’altro, l’assegnazione dei compiti, le valutazioni e i prezzi. Ebbene, la richiesta dei deputati è che essi siano «trasparenti, non discriminatori ed etici». Nello specifico, inoltre, i lavoratori dovrebbero «avere la possibilità di contestare le decisioni prese dagli algoritmi e dovrebbe sempre esserci una supervisione umana del processo».
Detto ciò, la risoluzione può essere definita come una sollecitazione nei confronti Commissione, alla quale, in maniera neanche troppo indiretta, si chiede di affrontare adeguatamente tale tema. Quanto votato dagli europarlamentari va infatti contestualizzato: come si legge nel comunicato stampa del Parlamento, «l’attuale quadro legislativo europeo non copre le nuove realtà di questo tipo di lavoro, rendendo necessario un aggiornamento delle regole. Nel suo Piano d’azione sul Pilastro europeo dei diritti sociali, la Commissione europea ha annunciato che entro la fine di quest’anno presenterà un’iniziativa legislativa per migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme. Questa risoluzione rappresenta dunque il contributo del Parlamento a tale proposta».
Contributo che, stando ai fatti, era d’obbligo. Una regolamentazione di questo settore infatti sembra essere davvero necessaria dato che, oltre a quanto sopracitato, bisogna anche tenere conto del fatto che, secondo le stime della Commissione europea, l’economia delle piattaforme digitali è quasi quintuplicata negli ultimi anni all’interno dell’Unione, passando da un valore di «circa 3 miliardi di euro nel 2016 a circa 14 miliardi di euro nel 2020».
[di Raffaele De Luca]
Farm to Fork: in Europa lo scontro tra interessi ambientali e agrobusiness
Nell’ultimo periodo le politiche europee che hanno a che fare con la sostenibilità ambientale stanno generando un vero e proprio scontro tra coloro che fanno parte del mondo agricolo e gli ambientalisti, con i primi che cercano di porre un limite al perseguimento della tutela dell’ambiente a tutti i costi ed i secondi che, invece, non sono disposti ad accettare mezze misure.
A tal proposito, innanzitutto bisogna ricordare che dopo il primo ok del Parlamento Ue alla riforma della politica agricola comune (PAC), con la Commissione parlamentare Agricoltura che ha approvato l’accordo di giugno del trilogo (Parlamento, Commissione, e Consiglio Ue) sui tre regolamenti che disciplineranno la PAC 2023-2027, la stessa Commissione Agricoltura (AGRI) e la Commissione Ambiente (ENVI) hanno approvato con un voto congiunto la relazione sulla Strategia Farm to Fork, presentata dalla Commissione europea nel maggio del 2020. Essa, così come la PAC, rappresenta un tassello fondamentale del Green Deal europeo (piano con cui si mira a raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050) e in tal senso con l’adozione della relazione, che «dovrebbe essere discussa e votata in plenaria ad ottobre», gli eurodeputati hanno sostenuto l’obiettivo della Farm to Fork di rendere sostenibili i sistemi alimentari dell’Ue, riducendo la loro impronta ambientale e climatica, pur continuando a garantire la sicurezza alimentare e l’accesso ad un’alimentazione sana.
Gli stessi eurodeputati che hanno dato il via libera al testo sulla strategia, hanno però anche adottato 48 “emendamenti di compromesso” ed hanno chiesto, tra l’altro, di imporre un tetto massimo nei confronti delle emissioni del settore agricolo e di «ripristinare e migliorare i pozzi di carbonio naturali». Tuttavia, proprio in seguito alle proposte dei membri delle commissioni si sono palesate le tendenze conservatrici dell’agrobusiness. Critiche sono infatti arrivate da parte di “Copa-Cogeca”, il più forte gruppo di interesse per gli agricoltori europei che esprime la voce unanime di questi ultimi e delle cooperative agricole dell’Ue, il quale tramite un comunicato ha precisato che gli eurodeputati «hanno deciso di andare oltre la strategia proposta dalla Commissione e di rendere la necessaria transizione insostenibile per gli agricoltori». Ciò poiché sono state fatte «proposte che superano il limite e mettono in pericolo la nostra sovranità alimentare, il futuro della nostra agricoltura e delle nostre zone rurali». Perciò, si legge ancora nel comunicato, Copa-Cogeca chiede a «tutti gli eurodeputati, che dovranno prendere posizione in plenaria, di sostenere la riformulazione delle proposte più penalizzanti approvate da AGRI ed ENVI così da garantire la fattibilità della transizione verso un sistema alimentare più sostenibile».
Diversa invece la posizione di Paolo De Castro, coordinatore del gruppo socialisti e democratici (S&D) alla commissione AGRI, secondo cui gli emendamenti costituiscono una «robusta correzione di rotta verso la dimensione economica e sociale». La sua visione, però, è stata criticata dal responsabile Agricoltura del Wwf Italia, Franco Ferroni, che ci ha rilasciato un commento in merito. Egli, dopo aver premesso che «le Strategie UE non sono vincolanti per gli Stati membri e devono tradursi in Direttive o norme regolamentari» e che «con l’approvazione dei nuovi Regolamenti della PAC si è persa l’occasione di recepire gli obiettivi delle due Strategie UE Farm to Fork e Biodiversità 2030, motivo per cui ora lo strumento più importante per l’attuazione di tali strategie è il Piano Strategico Nazionale della PAC (la cui redazione in Italia è in grave ritardo)», ha criticato «l’uso strumentale che alcuni parlamentari italiani (Paolo De Castro in particolare) hanno fatto con le loro dichiarazioni sul voto delle Commissioni Ue AGRI e ENVI in relazione al dibattito in corso a livello nazionale sulle due Strategie UE, con la contrapposizione della sostenibilità ambientale alla sostenibilità economica delle aziende agricole».
A tal proposito, continua Ferroni, per il Wwf e la Coalizione Cambiamo Agricoltura (lanciata in Italia da diverse associazioni tra cui il Wwf) è «un grave errore contrapporre ambiente ed economia e subordinare la sostenibilità ambientale a quella economica: entrambe sono collegate e dipendenti l’una dall’altra, e tale contrapposizione ha la sola finalità di condizionare la redazione del Piano Strategico Nazionale della PAC post 2022 riducendo al minimo gli impegni ambientali degli agricoltori pur garantendo comunque i sussidi della PAC». Dunque in questo contesto, precisa il responsabile Agricoltura del Wwf Italia, «si collocano le dichiarazioni di De Castro». Ma, aggiunge, «gli effetti dei cambiamenti climatici e della perdita di biodiversità sull’agricoltura europea e italiana sono evidenti, e continuare a rinviare l’adozione di provvedimenti efficaci per contrastare queste emergenze ambientali in nome della tutela del reddito delle aziende agricole è un grave errore. La nostra posizione critica – conclude Ferroni – non è quindi sul voto in sé del Parlamento ma sull’uso strumentale di esso da parte di alcuni Parlamentari Ue italiani, gli stessi parlamentari che hanno votato una pessima riforma della PAC post 2022».
[di Raffaele De Luca]
Missione spaziale da record per la Cina: tornati oggi sulla Terra gli astronauti protagonisti
Nie Haisheng, Liu Boming e Tang Hongbo sono tornati oggi sulla Terra; i tre astronauti dell’Agenzia Spaziale Cinese (Cnsa) sono rimasti in orbita per tre mesi e la loro missione (Shenzhou-12) è partita il 17 giugno, quando i tre sono partiti dal deserto del Gobi (al Nord-ovest del Paese) verso la stazione spaziale Tiangong. La suddetta missione è stata per la Cina la più lunga mai effettuata e oggi è stato confermato il corretto atterraggio della capsula takonauti, avvenuto con successo alle 7:35 (ora italiana).
La resistenza dei popoli indigeni contribuisce anche a salvare il Pianeta
I moti di resistenza guidati dalle popolazioni indigene sono salvifici per l’ambiente. Lo si specifica nel recente rapporto Indigenous Resistance Against Carbon di Indigenous Environmental Network (IEN) e Oil Change International (OCI): basti pensare che negli ultimi dieci anni, le lotte da parte degli indigeni contro ventuno diversi progetti di combustibili fossili negli Stai Uniti e in Canada, hanno fatto la differenza. La quantità di emissioni di gas serra ritardata o del tutto fermata grazie alla resistenza voluta e portata avanti dagli indigeni è infatti equivalente ad almeno un quarto delle emissioni totali annue degli Stati Uniti e del Canada.
Una lotta che riguarda il bene di tutti
Nonostante i violenti tentativi volti a contrastare l’azione degli indigeni – dall’incarcerazioni di manifestanti pacifici a ingenti multe, alla promulgazione di leggi anti-protesta fino all’uccisione di attivisti – questi ultimi hanno portato avanti la loro battaglia anche e soprattutto impedendo fisicamente alcuni lavori per progetti già approvati e avviati. Progetti, ovviamente, molto redditizi – motivo per cui spesso le compagnie petrolifere sono arrivate a ingaggiare dei vigilantes privati, i quali hanno compiuto svariate violenze – che avrebbero portato fino a 780 milioni di tonnellate di gas serra all’anno.
Il rapporto sopracitato vuole evidenziare quanto realmente positivo e particolarmente tangibile sia il risultato che deriva dall’impegno continuo dei popoli indigeni contro i devastanti progetti di combustibili fossili, e non solo. Quello delle popolazioni indigene – e di chi appoggia queste ultime – è un impegno quotidiano da parte di chi dedica la propria vita a difendere il Pianeta. Contro coloro intenti a distruggere il mondo con l’estrazione, la risposta degli attivisti è sempre molto decisa ma non violenta; c’è stata, però, una vera e propria demonizzazione degli attivisti, senza che ci siano basi reali. Come dimostra il rapporto redatto da Dallas Goldtooth e Alberto Saldamando (leader, rispettivamente, di IEN e OCI), le diverse battaglie avvenute non hanno fatto altro che del bene al mondo e rappresentano un reale contrasto alla devastazione ambientale in atto: con i dati raccolti analizzando nove diversi gruppi di regolamentazione ambientale e petrolifera, sono state fermate 1.587 miliardi di tonnellate di emissioni annuali di gas serra, nonché l’equivalente delle emissioni di circa 400 nuove centrali elettriche a carbone (un dato che dovrebbe far riflettere, considerando che recentemente il buco dell’ozono ha raggiunto una delle estensioni più grandi e profonde degli ultimi anni, pari per dimensione al territorio dell’Antartide).
“Difensori della Madre terra”
Non solo, l’importante resistenza indigena sta avendo – e ha avuto – un essenziale impatto sociale e politico. Oltre al fatto di quanto le proteste abbiano seriamente contribuito all’intensificazione del dibattito sui combustibili fossili, la battaglia per contrastare la crisi climatica è di matrice polisemica: è anche un flusso naturale volto a contrastare l’attuale società dei consumi schiava dell’avere e combattere i sistemi coloniali e neocoloniali.
Anche se continuano le razzie e le ingiustizie nei confronti degli indigeni, il ruolo che essi riescono ad avere come “difensori della Madre Terra” è reale e di grande importanza: lo dimostra anche un recente rapporto della Fao, dal quale si evince quanto le popolazioni indigene lasciate vivere liberamente abbiano letteralmente salvato le sorti delle foreste. Dove sono presenti le popolazioni indigene, le foreste si sono conservate in maniera eccellente rispetto al resto dei territori in cui gli indigeni non riescono a condurre la propria esistenza liberamente. Ovviamente, le grandi multinazionali e le aziende in generale sono ben coscienti di come le popolazioni indigene siano un vero e proprio “antidoto” per la devastazione ambientale. Non è dunque un caso se si continua a contrastare in più modi e a più livelli un modo di vivere naturale che – come dimostrato – aiuta a salvare il Pianeta. Come il caso del parlamento indonesiano, il quale non ha approvato un importante disegno di legge sui diritti degli indigeni, già ritardato da tempo. Il motivo è sempre relativo a interessi commerciali – dove gli stessi legislatori svolgono attività legate alle industrie estrattive – che verrebbero compromessi se ci fosse il riconoscimento dei diritti alla terra degli indigeni.
[di Francesca Naima]