venerdì 29 Marzo 2024

Lo scandalo del caporalato arriva fin dentro il ministero dell’Interno

Tra le persone indagate in un’inchiesta per caporalato dei Carabinieri e della procura di Foggia vi è anche Rosalba Livrerio Bisceglia, la moglie di Michele di Bari, già prefetto di Reggio Calabria nonché ormai ex capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale. Quest’ultimo dopo aver appreso la notizia ha infatti abbandonato tale incarico dando le sue dimissioni – che sono state accettate dal ministro dell’Interno Luciana Lamorgese – ed ha affermato di essere «dispiaciuto moltissimo» per la vicenda legata alla moglie ma altresì certo della sua «totale estraneità ai fatti contestati». Al momento però Livrerio Bisceglia, socia amministratrice di una delle dieci aziende agricole coinvolte nell’indagine, è indagata per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, accusa ipotizzata a vario titolo per tutti i 16 individui al centro dell’inchiesta. Tra questi, 5 sono stati arrestati (due in carcere e 3 ai domiciliari) mentre per i restanti 11 – tra cui appunto Livrerio Bisceglia – è scattato l’obbligo di firma.

A finire in galera sono stati precisamente due cittadini stranieri, un 33enne gambiano e un 32enne senegalese, secondo gli investigatori colpevoli di essere l’anello di congiunzione tra i rappresentanti delle aziende e i braccianti. I due infatti vivevano nel ghetto di Borgo Mezzanone (Foggia) – dove si trova un accampamento che ospita circa 2000 persone – e grazie a loro veniva reclutata la manodopera per le aziende del territorio, che l’avrebbero successivamente impiegata nei campi del Foggiano. Si tratta di attività svolte tra luglio ed ottobre 2020, che venivano portate a termine grazie ad un modus operandi ben collaudato. Secondo gli investigatori, non appena le aziende richiedevano di trovare lavoratori i due si attivavano selezionando i braccianti, trasportandoli presso i terreni e sorvegliandoli poi durante il lavoro. Chiedevano inoltre 5 euro per il trasporto e 5 euro da ogni lavoratore per aver fatto da tramite. Per quanto riguarda le buste paga riservate ai braccianti, invece, esse sono risultate non veritiere: al loro interno, infatti, venivano indicate un numero di giornate lavorative inferiori a quelle realmente effettuate, senza tener conto dei riposi e delle altre giornate di ferie spettanti. A tutto ciò si aggiunga che i lavoratori non venivano nemmeno sottoposti alla prevista visita medica.

Insomma, un sistema ben dettagliato in cui sarebbe coinvolta Rosalba Livrerio Bisceglia, «consapevole delle modalità delle condotta di reclutamento e sfruttamento». È questo ciò che, come riportato dall’agenzia di stampa Ansa, è stato scritto dal gip di Foggia nell’ordinanza nei confronti degli indagati per l’inchiesta sul caporalato. La moglie del ex capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale secondo gli inquirenti impiegava nella sua azienda «manodopera costituita da decine di lavoratori di varie etnie» per la coltivazione dei campi, «sottoponendoli alle condizioni di sfruttamento» desumibili anche «dalle condizioni di lavoro (retributive, di igiene, di sicurezza, di salubrità del luogo di lavoro)» ed «approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie». Non solo, secondo quanto emerso dall’ordinanza Bisceglia trattava direttamente con Bakary Saidy – uno dei due caporali sopracitati – il quale si occupava di condurre nei campi i braccianti dopo averli selezionati «in seguito alla richiesta di manodopera di Livrerio Bisceglia, che comunicava telefonicamente il numero di lavoratori necessari sui campi». Questi ultimi, venivano «assunti tramite documenti forniti dal Saidy» che per tale motivo «riceveva il compenso da Livrerio Bisceglia».

[di Raffaele De Luca]

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