Ci risiamo. Nonostante le belle parole, la transizione energetica italiana non ne vuole sapere di lasciarsi il gas naturale alle spalle. Il Ministro Roberto Cingolani, di concerto con il Ministro della Cultura, ha infatti approvato un progetto di modifica della centrale termoelettrica A2A-Energie future di Monfalcone (GO). Nel documento si esprime parere positivo di compatibilità ambientale, ma le associazioni ambientaliste già da tempo evidenziano le criticità di tale progetto. Dagli attuali 330 MW si passerà a una potenza complessiva di 860 MW, articolata in un impianto base a turbogas a cui si affianca un generatore di vapore a recupero che alimenta una turbina. Per la centrale friulana, quantomeno si potrebbe trattare di un passo avanti rispetto al carbonefinora utilizzato come fonte energetica principale. Tuttavia, valutazioni indipendenti da parte dell’Associazione “Eugenio Rosmann” sottolineano come le cose non cambiarebbero affatto.
«La CO2 – scrivono in un comunicato – si ridurrà dalle attuali 2.400.738 tonnellate annue (t/a) a 2.362.726 t/a, con ben poco beneficio ambientale complessivo, pur tenendo conto dell’aumento di produzione energetica». Inoltre, considerando l’estrema vicinanza della centrale al centro abitato, il dato più preoccupante riguarda l’emissione di ammoniaca (NH3): «45 t/a che saliranno a 108 t/a nel ciclo combinato e a 95 t/a nel mix ciclo aperto/combinato». L’ammoniaca che è un cosiddetto inquinante primario, già di per sé tossico, si fa poi da precursore nella formazione di particolato fine con dirette conseguenze sulla salute pubblica. Eppure, nel testo ministeriale si legge che «le azioni di rigenerazione ecologica porteranno forti benefici alla popolazione nonché – in relazione ai limitrofi siti protetti Natura 2000 – alle altre specie». Ma anche in quest’ultimo caso gli ambientalisti fanno notare carenze e possibili rischi. «Riguardo al metanodotto di collegamento, per quanto riguarda l’attraversamento del canneto in cui è nota una stazione del grillo endemico in pericolo di estinzione Zeuneriana marmorata, preoccupa l’incidenza sulla specie e sugli habitat di interesse sia nella fase di cantiere e sia per la possibilità di alterazione del reticolo idrografico sotterraneo superficiale dato dalla messa in posa delle tubazioni».
Inutile dire che – riguardo a tutti questi dubbi espressi dall’Associazione – le risposte della multinazionale A2A fanno invece sembrare il progetto rose e fiori. Ma anche fosse – come dicono – che in realtà le emissioni di carbonio si ridurranno, così come l’impatto ambientale e paesaggistico, il gas, comunque, non è la soluzione alla crisi climatica, nemmeno in un’ottica di transizione. Presto o tardi anche questo andrà abbandonato, quindi, perché perdere del tempo che – come ci ricordano fino alla nausea gli esperti climatici – non abbiamo più?
Il Consiglio dei ministri ha dato l’ok al decreto legge che proroga di un mese i termini di scadenza per i referendum, l’assegno unico e l’Irap. Esso, dunque, salva la raccolta firme per il referendum sulla cannabis, che avrebbe potuto non andare a buon fine a causa dei molti Comuni che non hanno consegnato nei tempi previsti la certificazione delle firme. Al voto, però, non hanno partecipato i ministri della Lega, perché contrari alla proroga della raccolta firme in particolare per il referendum sulla cannabis. Ad ogni modo, come sottolineato dal co-promotore dello stesso, Marco Cappato, ora è fondamentale che ci sia «la pubblicazione immediata in Gazzetta ufficiale, perché alle 13:00 di domani ci sarebbe la scadenza in Cassazione».
Non si arresta l’escalation di proteste e violenta repressione in Australia, principalmente sulle strade di Melbourne. Le proteste sono iniziate il venti settembre, quando gli operai del settore edile erano scesi in piazza per protestare contro l’obbligo di vaccinazione imposto dal governo al loro settore. Da subito la polizia ha assunto un deciso atteggiamento repressivo nei confronti delle proteste contro il lockdown ancora in vigore nel paese.
Nei giorni successivi alla prima manifestazione degli operai edili, la polizia ha messo in atto veri e propri soprusi, documentati diffusamente da video condivisi su Twitter. Tra le immagini più forti vi sono quelle di un gruppo di poliziotti che spruzza la schiuma urticante sul viso di una donna sui settant’anni, stesa e inerme a terra. Tra le vittime vi è anche il noto fotografo Luis Ascui, importante collaboratore del Daily Mail Australia e di diverse rilevanti testate internazionali. Nonostante Ascui fosse immediatamente riconoscibile come reporter, per via dei numerosi apparati fotografici che recava con sé, è stato avvicinato da un giovane poliziotto che, senza apparente motivo, ha spruzzato verso di lui la schiuma al peperoncino. Non è solo la polizia ad essere accusata delle violenze: alcuni video mostrano infatti come la folla di protestanti si sia almeno in un’occasione scagliata sulle file della polizia, causando diversi feriti.
Il crescente clima di violenza è legato alle politiche australiane nella gestione della pandemia da Covid-19. Mentre infatti durante l’estate 2021 le restrizioni sono state allentate in quasi tutto il mondo, l’Australia è andata controcorrente. Sono infatti bastati otto casi registrati a Melbourne per far cadere la città in un nuovo lockdown, il sesto dall’inizio della pandemia. Nelle intenzioni del governo, a meno di un abbassamento dei contagi, il blocco rimarrà attivo fino al 26 di ottobre: Melbourne diventerebbe così la città rimasta più a lungo in regime di lockdown al mondo.
It looks like we’re quickly entering a world where ‘police officers’ can do whatever they want to uphold ‘the law’. Everything is allowed to make people feel powerless. All in the name of ‘peace and safety’. #Australiapic.twitter.com/blFo2R3yG3
L’isolamento forzato sta causando lo sfaldamento della coesione sociale, esacerbando il malcontento e la violenza all’interno delle manifestazioni. Iniziative alquanto restrittive sono state messe in atto, come la combinazione di geolocalizzazione e identificazione facciale per tracciare le persone in isolamento. Il premier dello Stato di Vittoria, David Andrews, ha ammesso l’impossibilità di controllare la variante Delta, affermazione che aveva fatto sperare in un allentamento delle restrizioni. Tuttavia, questo non è accaduto. Verosimilmente, secondo il governo, gli australiani potranno sperare di togliere la mascherina all’aperto e poter ricominciare a frequentare i locali pubblici solamente quando verranno raggiunti gli obiettivi di vaccinazione, non prima di novembre. Attualmente è ancora in vigore il coprifuoco notturno a partire dalle ore 21.
Il presidente della Repubblica Tunisina, Kaïs Saïed, ha incaricato una donna, Néjla Bouden, di formare il governo. Come comunicato dai media locali, si tratta della prima volta che nel mondo arabo una donna viene incaricata premier. Si ha a che fare, dunque, con una scelta storica. Tale decisione, inoltre, è stata diffusa tramite un comunicato della Presidenza, nel quale è stato sottolineato che essa è stata presa in virtù dell’articolo 16 del decreto presidenziale 117 relativo alle misure eccezionali.
È ormai abitudine comune per tante famiglie recarsi al sabato al centro commerciale per fare la spesa alimentare di tutta la settimana. Per queste famiglie è stata inventata la verdura tritata, lavata e confezionata in busta, l’insalata che in gergo merceologico è classificata “di quarta gamma”. La gamma è un tipo di conservazione che fa riferimento a prodotti freschi per cui, nel caso delle verdure, la prima gamma comprende quelle fresche, la seconda gamma le verdure conservate in barattolo e sotto aceto, la terza gamma le verdure surgelate, la quarta gamma quelle confezionate già pronte al consumo ed infine, la quinta gamma, verdure sempre pronte al consumo ma già cotte. Ora pensiamo subito ad un fatto molto concreto, che potete anche verificare a casa con un piccolo esperimento: provate a prendete una foglia di insalata fresca, rompetela, posatela su della carta assorbente bianca. Prima perderà l’acqua di vegetazione e con essa molti nutrienti (vitamine e minerali che stanno dentro i liquidi della verdura). Dopo un paio di ore avrà perso il suo volume e sembrerà invecchiata (è invecchiata, in effetti). Se ripetete l’esperimento con una foglia di insalata in busta tutto questo non succederà. Perché non succede la stessa cosa a quella in busta? Che trattamenti ha subito?
Beh, dipende dal fatto che quella in busta è stata trattata, ovvero ha subito dei processi industriali di lavorazione che ne hanno modificato la sua chimica. Durante la fase di lavaggio delle foglie, a livello industriale, l’acqua viene addizionata con cloro e anidride solforosa, due sostanze che eliminano i batteri dalla verdura sterilizzando il prodotto e . Accade infatti che i batteri presenti sul cespo di insalata si moltiplicano quando l’insalata viene raccolta e non consumata al momento. Pertanto le insalate in busta che devono essere conservate per giorni prima del consumo, viaggiare sui camion, sostare nei magazzini della frutta e poi essere trasportate nuovamente verso i supermercati, se non fossero trattate col cloro e anidride solforosa aumenterebbero la loro carica batterica a livelli eccessivi e pericolosi. Se andassimo invece ad acquistare l’insalata direttamente dai produttori o al mercato cittadino dove arriva in giornata dal campo di raccolta, questa insalata non avrebbe un carico pericoloso di batteri e potrebbe essere consumata entro poche ore senza alcun trattamento preventivo. Se ne deduce che sarebbe soltanto l’insalata a ciclo industriale quella pericolosa da un punto di vista batteriologico, se non venisse trattata. Cloro e anidride solforosa fungono quindi da conservanti per l’industria alimentare, oltre che da battericidi, in quanto consentono all’industria di far girare queste merci per giorni e settimane da un posto all’altro dell’Italia, aiutando l’insalata a rimanere verde e apparentemente intatta per diversi giorni. Dico apparentemente perché, sebbene le foglie appaiano turgide e brillanti, hanno perso circa la metà delle sostanze nutritive di origine.
Si tratta di un prodotto sicuro?
Sull’insalata in busta si sente dire tutto e il contrario di tutto. Certamente si tratta di una delle innovazioni del settore agroalimentare di maggiore successo degli ultimi anni, perché risponde all’esigenza forse più imperante della nostra società: risparmiare tempo. Anche il noto programma televisivo Le Iene si è interessato a questo prodotto concentrandosi sulla carica batterica contenuta nelle insalate pronte e scatenando moltissime reazioni e domande da parte dei consumatori, dopo che alcuni campioni fatti analizzare in laboratorio hanno presentato livelli di carica batterica elevatissima, molto più alta dell’insalata fresca raccolta in campo e non ancora lavata.
In generale possiamo dire che si tratta di un prodotto sicuro, secondo quanto dimostrato da recenti studi che ne hanno analizzato la qualità. Ma è bene precisare che questo avviene solo se a monte, quindi da parte dei produttori, sono state rispettate le regole di preparazione e di conservazione. In caso contrario l’insalata in busta può risultare un alimento dannoso e, in alcuni casi, pericoloso. Infatti, nonostante i trattamenti con cloro e anidride solforosa che vengono fatti a livello industriale il problema principale è rappresentato proprio dalla carica batterica. Se il prodotto non è ben preparato o conservato possono crearsi le condizioni ideali ad una proliferazione batterica, molto spesso ad opera di Escherichia coli e listeria, la cui ingestione può provocare un’intossicazione alimentare e seri disturbi gastrointestinali.
Qualunque sia il tipo poi, l’insalata in busta comporta sempre il rischio di imbattersi nella salmonellosi. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Applied and Environmental Microbiology, nelle buste che troviamo al supermercato il pericolo è particolarmente elevato. Quando parliamo di salmonella intendiamo quella grave infezione intestinale che può essere letale per gli anziani, i neonati e le persone con un sistema immunitario più vulnerabile. I ricercatori della University of Leicester hanno studiato il modo in cui il patogeno prolifica nelle insalate in busta attraverso quello che è stato definito un ‘fenomenale sviluppo del batterio”.
Tutta colpa del liquido rilasciato dalle foglie quando vengono tagliate, che si è dimostrato essere in grado di accelerare fino a 2400 volte la normale crescita del batterio della salmonella. Lo studio, spiega l’autrice principale Primrose Freestone, «sottolinea con forza la necessità per i produttori di insalata in busta di mantenere standard elevati di sicurezza alimentare, perché anche un paio di cellule di salmonella in un sacchetto di insalata al momento dell’acquisto potrebbero diventare molte migliaia nel momento in cui il prodotto raggiunge la sua data di scadenza, anche se conservato in luogo refrigerato».
«Evitare prodotti freschi – commenta Kimon Karatzas, assistente professore di microbiologia degli alimenti presso l’Università di Reading – non è una soluzione, ma, se possibile, sarebbe preferibile acquistare prodotti freschi non tagliati o tritati, e lavarli sempre prima di metterli nel piatto, anche se sono già lavati».
Il lavaggio prima del consumo è sempre consigliabile
Imparare come leggere le etichette dei prodotti è molto importante anche nel caso delle insalate in busta per capire se si tratta di un prodotto di quarta gamma oppure no, poiché in caso contrario si tratta di un prodotto che prima del consumo deve essere lavato d’obbligo. È il caso, per esempio, delle insalate confezionate contenenti rucola o germogli di fieno greco, una tipologia ormai molto diffusa. La superficie rugosa della rucola, infatti, facilita il deposito e la conseguente proliferazione batterica, per cui è bene lavarla accuratamente, strofinando con forza le foglie, ripetendo l’operazione più volte. In sostanza è sempre preferibile lavare l’insalata in busta, di ogni tipo, compresa quella che sulla confezione è definita come “prodotto lavato e pronto per il consumo”, data la problematica dell’aumento di carica batterica di cui abbiamo detto sopra.
Il prezzo dell’insalata in busta
A questi fattori possiamo poi aggiungere il costo, in quanto l’insalata in busta già pronta costa circa sei volte di più dell’insalata fresca in cespo. Altri costi sono a carico dell’ambiente e della nostra salute: la filiera si allunga, si consumano acqua e luce elettrica per i macchinari industriali di lavaggio e pulizia dell’acqua, aumentano i costi degli imballaggi in plastica o carta, i viaggi di trasporto delle merci, con conseguenti emissioni di anidride carbonica e fumi inquinanti nell’ambiente, che sappiamo bene quali effetti abbiano sull’inquinamento atmosferico e sulla nostra salute. A questo punto chiediamoci: abbiamo ancora voglia di risparmiare quei 5 minuti di tempo per affettare e lavare la nostra insalata fresca?
Per rifarsi a un famoso slogan di una tifoseria calcistica, si potrebbe dire: Mario Draghi non si discute, si ama. Troppo evidente come l’attuale premier goda di ottima stampa, con pochissime voci critiche. Ancor più netta è l’assoluta stima di cui gode da parte del mondo dei grandi industriali. Quando il presidente del Consiglio ha parlato all’assemblea nazionale di Confindustria ha ricevuta una lunga ovazione.
Il sindacato degli industriali non ha mai mostrato particolari remore nell'esprimere perplessità sul capo del governo di turno. E siccome stavolta si intuisce che le lodi manifestate n...
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Il governo guidato da Pedro Castillo, il maestro elementare figlio di contadini che vinse a sorpresa le elezioni peruviane del giugno scorso, inizia rispettando le promesse di cambiamento fatte in campagna elettorale, attaccando le posizioni delle multinazionali estrattive che lavorano nel Paese. Il governo del Perù ha infatti formalizzato la volontà di rinegoziare il contratto e gli accordi con il consorzio che sfrutta il giacimento di gas di Camisea, una delle più grandi riserve del Sudamerica, nella regione di Cusco. La posizione esposta dal governo è netta: o le aziende che sfruttano il gas naturale in Perù accetteranno la modifica dei contratti e l’imposizione di tasse più elevate, o dovranno affrontare l’espropriazione e la nazionalizzazione di giacimenti e impianti.
Lunedì 27 settembre il primo ministro Guido Bellido, e il ministro dell’Energia e delle Miniere, Iván Merino hanno consegnando una lettera ufficiale con le richieste del governo agli uffici di Lima di Pluspetrol (una delle aziende del consorzio). L’intento primario è quello di rinegoziare la distribuzione degli utili a favore dello Stato peruviano, ma nel caso la posizione delle aziende dovesse mostrarsi troppo rigida la minaccia della nazionalizzazione forzata è sul tavolo. Il primo ministro aveva già espresso ad agosto l’intenzione di voler rinforzare il ruolo dello stato in economia, in particolare nel campo del gas naturale e di progetti idroelettrici, annunciando l’intenzione di creare nuove compagnie statali.
Il presidente Castillo ha vinto le elezioni alla guida del partito di orientamento marxista Perù Libre, con un programma radicale che prometteva l’opposizione alla “dittatura del mercato” e un cambiamento profondo per invertire gli effetti che il Perù ha subito in decenni di liberismo sfrenato. In questa ottica da subito aveva posto nel mirino le multinazionali, denunciando che da quando le compagnie straniere avevano assunto il controllo dell’economia nazionale erano aumentati sfruttamento del lavoro e disuguaglianza sociale, facendo tornare il Perù a condizione di colonia. Con questa misura il suo governo cerca quindi di fare seguire i fatti alle promesse elettorali, ma la strada non sarà semplice: la maggioranza parlamentare è risicata e l’opposizione politica e le grandi aziende affilano le armi. Già prima di riuscire a insediarsi Castillo ha dovuto affrontare la minaccia del tentato colpo di stato della sua avversaria sconfitta alle elezioni, Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore liberista e filo americano Alberto Fujimori.
Per ora Pablo de la Flor – direttore esecutivo della National Society of Mining, Oil and Energy (SNMPE), ha affermato che la proposta del governo “è un messaggio terribile che spaventerà gli investimenti”. Resta da vedere come i mercati “spaventati” e i loro alleati politici reagiranno, visto che il sud America – da Cuba, alla Bolivia passando per il Venezuela – deve fare i conti con una lunga storia di tentati colpi di stato contro governi che hanno cercato di cambiare l’ordine delle cose in economia, rimettendo lo Stato e i cittadini davanti agli interessi delle grandi aziende multinazionali.
In Sud America, come in molte altre parti del mondo, esiste un fenomeno delineato da un termine ben preciso: estrattivismo. Anche se In Italia e più in generale in Europa non ne sentiamo spesso parlare, nei territori ricchi di risorse minerarie l’estrattivismo è una pratica che si continua a verificare: accade quando vengono prelevate risorse da quel territorio (e spesso esaurite) a vantaggio di luoghi e persone diverse da quelle di origine. Solitamente queste persone sono gli azionisti delle multinazionali e i grandi fondi di investimento globale, che si arricchiscono a discapito dell’ambiente e delle popolazioni locali.
Questo fenomeno porta con sé conseguenze più o meno visibili. Si passa dalla sottrazione (con la forza) di spazio pubblico a vantaggio di interessi privati, al soffocamento del dissenso della popolazione. Una vera e propria repressione dei diritti democratici e costituzionali. Il Perù, nel 2019, ha registrato il maggior numero di omicidi (50 attivisti) proprio nel settore minerario. Di fatto con “estrattivismo” non si intende solo l’estrazione in sé delle risorse. Attorno al fenomeno si genera una bolla tanto grande da riuscire a contenere espropriazione, criminalizzazione, violenza istituzionale, lavoro precario, aumento della prostituzione, patologie da inquinamento, contaminazione del cibo e dell’acqua, mancanza di rispetto dei valori culturali del luogo. Gli interessi che il governo Castillo dovrà riuscire a vincere sono enormi.
L’eruzione del Cumbre Vieja, iniziata il 19 settembre, prosegue con intensità crescente. Al momento sono quasi 600 gli edifici distrutti e 6000 gli evacuati. Le eruzioni proseguono in maniera discontinua e potrebbero protrarsi anche per alcuni mesi. La massa lavica è giunta al mare, causando emissioni di vapore e gas che possono essere per la salute di occhi, polmoni e pelle. Le autorità locali hanno per tale motivo intimato ad alcuni nuclei urbani sulla costa di rimanere chiusi in casa, e chiuso l’aeroporto di La Palma.
Nella zona sud-ovest dell’Ecuador sono esplosi violenti scontri all’interno di una struttura penitenziaria. Lo annuncia con un tweet il governatore della provincia di Guayas: a causare gli scontri una disputa tra bande. Immagini televisive mostrano spari dalle finestre, insieme a fumo ed esplosioni. In seguito all’escalation di violenza nelle carceri dell’Ecuador, che ha portato alla morte di più di cento detenuti, il presidente Guillermo Lasso ha decretato a luglio lo stato di emergenza nel sistema penitenziario.
Le aziende ospedaliere non possono rifiutarsi di assumere i sanitari che non si sottopongono al vaccino anti Covid: è il principio che emerge da una recente ordinanza del Tribunale di Padova con la quale è stato stabilito che una donna, che era stata inserita «nella graduatoria per l’assunzione di 190 posti di collaboratore professionale sanitario (infermiere di cat. D)», dovesse essere appunto assunta dall’Azienda Ospedaliera di Padova, la quale le aveva invece negato tale diritto.
La donna, in realtà, aveva già precedentemente presentato ricorso al Tribunale di Padova contro la decisione dell’azienda, ma non era riuscita ad ottenere la vittoria: c’era stata infatti l’ordinanza del giudice del lavoro con cui, come si legge in quella attuale, era stata rigettata la sua «domanda cautelare diretta ad ottenere una pronuncia che ordinasse all’amministrazione convenuta di assumerla in servizio». Tuttavia l’infermiera, che non si è arresa, ha proposto reclamo contro l’ordinanza ed esso è stato appunto accolto.
Detto ciò, nello specifico la ricorrente, assistita dallo Studio legale associato Sinagra – Sabatini – Sanci, ha fatto presente che «l’amministrazione richiedeva che si sottoponesse alla vaccinazione anti Sars-Cov 2 per la sottoscrizione del contratto», una condotta ritenuta illegittima dalla reclamante in quanto in contrasto con il suo diritto ad essere assunta. Di contro, l’azienda convenuta si è costituita in giudizio, chiedendo la conferma dell’ordinanza reclamata. Così, si legge nell’ordinanza, per pronunciarsi in merito si è dovuta valutare l’applicabilità alla fattispecie di quanto previsto dall’art. 4 del decreto-legge 44/21, ossia quello con cui è stato imposto l’obbligo vaccinale per i sanitari.
In tal senso, dunque, è stato rilevato che: «Tale disposizione è diretta ad incidere non sul contratto, ma sul rapporto, prevedendo a carico dell’esercente la professione sanitaria (non vaccinato) la sospensione del diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportino il rischio di diffusione del contagio». Inoltre, la norma mostra di «voler operare sul momento esecutivo del rapporto e non su quello costitutivo o risolutivo» dato che, tra l’altro, l’inadempimento all’obbligo di vaccinarsi appunto «non incide sul contratto» e ciò è comprovato dal fatto che «tale condotta non è assunta dalla legge come giusta causa di risoluzione del rapporto in essere». Perciò, «fermo restando il potere discrezionale dell’amministrazione convenuta di sospendere la ricorrente una volta assunta», non vi è nessuna norma di legge che «facoltizza l’amministrazione a derogare alla graduatoria degli idonei nella fase di assunzione».
Inoltre nell’ordinanza si legge che non può nemmeno desumersi l’assenza di «periculum in mora» – ossia del danno che vi potrebbe essere nei confronti del diritto soggettivo se esso rimanesse privo di tutela giuridica fino alla pronuncia di merito – derivante dalla facoltà di sospensione. Ciò perché «il periculum è attestato dalla perdita attuale di prerogative che alla ricorrente spettano in qualità di dipendente», come ad esempio il carattere temporaneo della sospensione (che per legge non va oltre la data del 31 dicembre 2021): si tratta infatti di «una data significativamente anteriore rispetto a quella presumibile di accertamento del diritto nel giudizio di merito». In più, tra le prerogative venute meno vi è anche quella riguardante la «possibilità, seppur residuale ma comunque da verificare, di assegnare la ricorrente a una mansione che non comporti rischio di diffusione di contagio».
Alla luce di ciò, quindi, il Tribunale ha ordinato all’Azienda Ospedaliera di «assumere la ricorrente» e ha condannato la stessa al risarcimento delle spese di causa relative sia alla prima fase del giudizio che alla fase di reclamo, oltre che delle «spese generali, cp e iva».
Si tratta di un’ordinanza degna di nota dato che, nonostante la legge parlasse chiaro, l’azienda si era arrogata l’inesistente diritto di non assumere la lavoratrice ed inizialmente tale modus operandi non era stato condannato dal Tribunale. Ma adesso, con tale pronuncia, la situazione si è praticamente ribaltata ed è stata dunque posta la lente di ingrandimento sul fatto che tale potere in capo all’azienda non sia stato istituito da nessuna legge. A tal proposito però, è interessante notare che ora, con la situazione che si è di fatto ribaltata, i giornali mainstream non hanno dedicato nemmeno una riga alla questione. Si tratta degli stessi quotidiani che tuttavia, in occasione della prima ordinanza, non esitarono ad informare i cittadini della vicenda.
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