giovedì 11 Settembre 2025
Home Blog Pagina 143

Il sudest asiatico risponde alla guerra commerciale di Trump facendo fronte comune

1

Si è svolta a Milano la 28° riunione dei ministri delle Finanze del cosiddetto ASEAN+3, composto dai 10 Paesi membri dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico) più Cina, Giappone e Corea del Sud. Nel corso dell’incontro, è stato raggiunto un accordo per migliorare la cooperazione finanziaria e commerciale, al fine di stabilizzare l’area e incentivarne la crescita economica. Pur non nominando mai gli Stati Uniti, la dichiarazione finale cita l’instabiità internazionale prodotta da protezionismo e unilateralismo come motivo di tale accordo – un chiaro riferimento alla guerra commerciale mondiale lanciata da Trump. Nel fare fronte comune, i Paesi dell’ASEAN+3 hanno quindi decretato il rafforzamento della propria rete di sicurezza finanziaria regionale, lanciando una nuova linea di prestito volta a rispondere rapidamente alle crisi causate da pandemie e disastri naturali. Si sono inoltre impegnati nel portare a termine una maggiore cooperazione finanziaria e commerciale, per la stabilizzazione e la crescita di tutto il sud-est asiatico.

Alla riunione erano presenti anche il direttore dell’Ufficio di Ricerca Macroeconomica ASEAN+3, il presidente della Banca Asiatica di Sviluppo, il vice segretario generale del Segretariato ASEAN e il vice direttore generale del Fondo Monetario Internazionale. I ministri delle Finanze di questi tredici Paesi hanno concordato di istituire una nuova struttura nell’ambito del loro accordo di swap valutario, noto come Chiang Mai Initiative Multilateralization (CMIM). Il CMIM, creato dopo la crisi finanziaria asiatica del 1997-98, è progettato per sostenere la stabilità finanziaria regionale in situazioni di shock improvvisi. La nuova struttura di finanziamento rapido consentirà ai membri di accedere ai finanziamenti di emergenza senza condizioni. Oltre a questa importante decisione, dalla riunione è emersa la volontà unanime di creare una maggior cooperazione economico-finanziaria, al fine di stabilizzare e aumentare la crescita regionale. La dichiarazione congiunta, che non menziona direttamente gli Stati Uniti, è arrivata mentre le nuove tariffe statunitensi minacciano di colpire duramente il sud-est asiatico.

Nella dichiarazione si osserva che «l’escalation del protezionismo commerciale pesa sul commercio globale, portando alla frammentazione economica, influenzando il commercio, gli investimenti e i flussi di capitale in tutta la regione. Le prospettive a breve termine possono anche essere influenzate da altri rischi esterni, tra cui condizioni finanziarie globali più rigide, rallentamento della crescita nei principali partner commerciali e flussi di investimenti ridotti». Inoltre, la dichiarazione ha anche evidenziato che «tra le crescenti incertezze e i cambiamenti strutturali a lungo termine, riaffermiamo il nostro pieno impegno per il multilateralismo e un sistema commerciale multilaterale basato su regole, non discriminatorio, libero, equo, aperto, inclusivo e trasparente con l’Organizzazione mondiale del commercio al centro». I membri dell’ASEAN sono tra i più minacciati dai dazi di Trump. Alle fine dei 90 giorni di tregua concessi dal presidente statunitense, per cui tutti pagano soltanto il 10%, la Cambogia rischia essere colpita con il 49% e il Vietnam con il 46%. Oltre alla Cina poi (bersaglio principale di questo conflitto mondiale innescato da Trump), anche Giappone e Corea del Sud sono stati colpiti da parte dell’alleato, rispettivamente con dazi del 24% e 25%.

Come riportato da Global Times, il ministro delle Finanze cinese Lan Fo’an ha condannato l’unilateralismo e il protezionismo, con l’aumento dell’instabilità e delle incertezze. Secondo il ministro, le economie regionali (10+3) dimostrano una forte resilienza e hanno un significativo potenziale di crescita. E la Cina, spiega Lan Fo’an, è disposta a «lavorare con tutte le parti nel quadro 10+3 per sostenere l’apertura e l’inclusività, promuovere la solidarietà e la cooperazione e approfondire continuamente la collaborazione finanziaria regionale, al fine di affrontare l’instabilità globale e l’incertezza con la stabilità e la certezza di questa regione».

Significativa la posizione di Giappone e Corea del Sud, alleati di ferro degli USA nella regione. D’altronde (lo abbiamo scritto nel mensile de L’Indipendente appena uscito), Cina, Giappone e Corea del Sud si erano già incontrati qualche giorno prima della dichiarazione di guerra commerciale di Trump, per riaprire un vecchio discorso morto: l’istituzione di una zona di libero scambio. E il Giappone ha recentemente minacciato gli Stati Uniti con l’arma dei titoli di Stato, detenendo più di mille miliardi in titoli del Tesoro USA. Il ministro delle Finanze, Katsunobu Kato, intende utilizzare quest’arma di pressione nei confronti degli Stati Uniti, sebbene una massiccia vendita di titoli sarebbe poi un problema anche per lo stesso Giappone. Una reazione molto probabilmente non messa in conto dalle politiche muscolari USA, che sembrano perdere sempre più il loro controllo solitario del mondo.

USA, sospese le future sovvenzioni ad Harvard

0

L’amministrazione Trump ha annunciato di avere sospeso tutte le future sovvenzioni federali all’Università di Harvard. La scelta arriva dopo la sospensione di 2,2 miliardi di fondi stanziati per l’ateneo, congelati dopo che Harvard si era rifiutata di soddisfare le richieste di Trump, che chiedeva di adeguare le politiche interne all’ateneo alle linee governative. A favore dell’università e contro la scelta di Trump si sono schierate oltre 260 rettori delle università statunitensi, mentre Harvard ha fatto causa all’amministrazione del presidente.

Tunnel del Brennero: l’altra TAV di cui non si parla

3

Fine lavori nel 2015. Nel 2019. Nel 2028. Ora, forse, nel 2032. Con 17 anni di ritardo, è questo il nuovo obiettivo per il tunnel di base del Brennero, una galleria ferroviaria cominciata nel 2007 per rafforzare i collegamenti tra Italia e Austria. Cinquantacinque chilometri dentro la montagna a unire Innsbruck e Fortezza, il tunnel del Brennero è l’opera più ambiziosa del corridoio merci Scan-Med, destinato a unire la Scandinavia al Mediterraneo, all’interno della rete Trans European Network-Transport (TEN-T), che mira a rinnovare l’infrastruttura di collegamento ferroviaria europea. L’impone...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Germania, il governo Merz non ottiene la fiducia

0

Con 310 voti favorevoli su 316 necessari, il governo di coalizione tra i socialdemocratici e i conservatori tedeschi, guidato dal vertice di questi ultimi, Friedrich Merz, non ha ottenuto la fiducia. «Merz è il primo candidato alla carica di cancelliere della Repubblica Federale di Germania a non essere promosso al primo turno elettorale», ha affermato la leader di Alternativa per la Germania, Alice Weidel. «Ciò dimostra la debole base su cui è costruita la piccola coalizione tra CDU/CSU e SPD, bocciata dai cittadini». Al momento non risulta ancora chiaro se si terrà subito un’altra votazione.

Venezuela, liberato Alfredo Schiavo

0

Il Venezuela ha liberato Alfredo Schiavo, il cittadino italo-venezuelano in carcere a Caracas da cinque anni con l’accusa di avere partecipato a un tentativo di colpo di Stato nel 2019. Schiavo, 67 anni, è stato liberato con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio per motivi di salute. Arriverà in Italia oggi pomeriggio.

Sovraffollamento grave e ritardi: la Corte dei Conti dettaglia la crisi delle carceri

0

Un Piano Carceri in Italia esiste, ma a dieci anni dalla fine della gestione commissariale la sua attuazione risulta ancora in alto mare. È quanto riferisce la relazione Infrastrutture e digitalizzazione: Piano Carceri, nella quale la Corte dei Conti torna a porre l’attenzione sul grave problema di sovraffollamento che affligge le carceri italiane. Un problema ormai strutturale, al punto che, nel 2024, il tasso di sovraffollamento delle strutture era del 120% (61.861 detenuti per 51.312 posti disponibili). Le regioni messe peggio sono Lombardia, Puglia, Campania, Lazio, Veneto e Sicilia. I ritardi attuativi sono dovuti a diversi fattori, che spaziano dalle inadempienze degli esecutori fino alla mancanza di finanziamenti adeguati. La Corte rimarca dunque «la necessità ed urgenza» di portare a termine gli interventi programmati ormai oltre un decennio fa, nonché a migliorare le condizioni ambientali, igienico-sanitarie e trattamentali all’interno degli istituti.

Il Piano Carceri era stato inaugurato nel 2010, quando il governo Berlusconi dichiarò un’emergenza nazionale per gli istituti penitenziari, affidandone la gestione a un commissario. Esso prevedeva, ricorda la Corte dei Conti, «la programmazione dell’impiego di risorse finanziarie per 675 milioni di euro, destinate alla costruzione di 11 nuovi istituti penitenziari (4.750 posti) e 20 padiglioni in ampliamento di istituti esistenti (4.400 posti), per un totale complessivo di 9.150 nuovi posti detentivi». Gli interventi diretti sulle strutture previsti dal Piano sono molteplici: ammodernamento delle strutture, ampliamento degli spazi trattamentali e dei luoghi destinati a iniziative rieducative quali laboratori, miglioramento dell’attrezzatura destinata al lavoro dei detenuti, misure per attuare la digitalizzazione degli istituti, oltre che a lavori di manutenzione ordinaria. Con gli anni e le successive rimodulazioni, nel 2013 il Piano finì per prevedere un totale di oltre 12.000 nuovi posti per detenuti. Nel 2014, sotto il governo Renzi, la gestione del Piano tornò ai ministeri delle Infrastrutture e della Giustizia e iniziarono a emergere i problemi nella sua attuazione.

I motivi dei ritardi sono svariati. La Corte parla delle «frequenti inadempienze contrattuali delle ditte esecutrici», dell’evoluzione del quadro esigenziale delle strutture, «più rapida rispetto ai tempi di avanzamento dei lavori», nonché della «mancanza dei finanziamenti per dare seguito alle varianti progettuali». Per questi e altri fattori, il problema dello stato delle strutture carcerarie è ancora lontano dall’essere risolto. Da quanto riporta la Corte dei Conti, attualmente in Italia esistono 190 strutture carcerarie, di cui oltre il 74% risulta sovraffollato. Su scala regionale, contando i detenuti di tutte le strutture di ciascuna regione, solo Sardegna, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta non risultano sovraffollate. Le regioni a patire di più sono: Lombardia, con 8.918 detenuti a fronte di 6.149 posti disponibili (con un tasso di sovraffollamento del 145%); Puglia, con 4.282 detenuti su 2.943 posti (tasso del 145,4%); Campania, con 7.584 detenuti su 5.927 posti (127,9%); Lazio, con 6.879 detenuti e 5.281 posti (130,2%); Veneto, con due strutture sopra il 169% del tasso di sovraffollamento; e Sicilia, che presenta strutture con tassi superiori al 160%.

Nella sua relazione, la Corte dei Conti sottolinea come «il principio costituzionale in forza del quale la pena deve tendere alla “rieducazione del condannato” rischia di essere disatteso» per problemi che, «in molti casi», da contingenziali sono diventati «sistemici». La situazione delle carceri italiane ha interessato anche istituzioni internazionali: nel 2013, la seconda sezione della Corte europea dei diritti umani emanava infatti la cosiddetta sentenzaTorreggiani”, con la quale concludeva che «le condizioni detentive alle quali i ricorrenti erano stati sottoposti valessero ad integrare il superamento del livello ammissibile di sofferenza inevitabilmente connesso alla detenzione penale», costituendo così una violazione dell’articolo 3 della CEDU. Il problema delle condizioni delle strutture carcerarie in Italia e del loro sovraffollamento è, dopo tutto, di lunga data, tanto che i primi interventi di natura normativa risalgono agli anni ’70 del secolo scorso. In parallelo, ricorda la Corte dei Conti, nel 2006 la grave situazione del sovraffollamento delle carceri e della loro gestione ha indotto il legislatore a intervenire con misure di diritto penale sostanziale per ridurre il numero di detenuti.

Mentre, ormai quasi vent’anni fa, si varavano misure di diritto penale per diminuire il numero di detenuti nelle carceri, l’attuale governo si muove in direzione opposta, spingendo sempre più persone al loro interno. Dal 2022 al 2023, in Italia, sono tornati a salire gli ingressi in carcere per reati relativi alla detenzione e allo spaccio di stupefacenti, ora più penalizzati; il Decreto Caivano smonta il sistema di rieducazione su cui si poggiava il nostro sistema penale minorile, tanto che ora i giovani, non appena compiuti i 18 anni di età, possono essere trasferiti nelle case circondariali insieme agli adulti; il nuovo DL Sicurezza, che ha assorbito la maggior parte delle misure dell’omonimo disegno di legge, inoltre, aumenta le pene detentive per reati già esistenti e ne introduce di nuovi.

Repubblica Democratica del Congo e Ruanda presentano proposta di pace

0

Repubblica Democratica del Congo e Ruanda hanno presentato una bozza di proposta di pace. La proposta arriva nell’ambito di un percorso di normalizzazione dei rapporti inaugurato lo scorso 27 aprile con la mediazione degli Stati Uniti. Con essa, i due Paesi intendono porre fine ai combattimenti nella RDC orientale tra l’esercito regolare e il movimento ribelle dell’M23, sostenuto dal Ruanda. Prima della firma definitiva, ha affermato il consigliere di Trump per l’Africa, Massad Boulos, i due Paesi devono finalizzare degli accordi economici bilaterali con Washington, che prevedono miliardi di dollari di investimenti nelle miniere della RDC da parte delle aziende statunitensi.

Tutela del mare: il Mediterraneo adotta nuovi limiti contro le emissioni navali

1

Il Mar Mediterraneo è entrato ufficialmente nella rete delle Emission Control Areas (ECA), diventando la quinta zona al mondo a prevedere standard più stringenti per le emissioni navali. Una svolta significativa per la tutela dell’ambiente marino e della salute pubblica, sancita dalla risoluzione MEPC.361(79) dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO), che impone un limite massimo dello 0,1% al contenuto di zolfo nei combustibili utilizzati dalle navi. Un inasprimento significativo rispetto al tetto globale dello 0,5%, il cosiddetto “sulphur cap”, introdotto nel 2020. 
La decisione arr...

Questo è un articolo di approfondimento riservato ai nostri abbonati.
Scegli l'abbonamento che preferisci 
(al costo di un caffè la settimana) e prosegui con la lettura dell'articolo.

Se sei già abbonato effettua l'accesso qui sotto o utilizza il pulsante "accedi" in alto a destra.

ABBONATI / SOSTIENI

L'Indipendente non ha alcuna pubblicità né riceve alcun contributo pubblico. E nemmeno alcun contatto con partiti politici. Esiste solo grazie ai suoi abbonati. Solo così possiamo garantire ai nostri lettori un'informazione veramente libera, imparziale ma soprattutto senza padroni.
Grazie se vorrai aiutarci in questo progetto ambizioso.

Le emissioni delle aziende fossili avrebbero causato danni per 28 mila miliardi in 30 anni

0

Un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature afferma che le 111 aziende fossili più inquinanti del pianeta hanno causato circa 28 mila miliardi di dollari di danni a causa delle ondate di calore intenso. I ricercatori del Dartmouth College e della Stanford University hanno introdotto un nuovo modello di attribuzione climatica che consente di collegare specifici danni economici alle emissioni di singole imprese fossili. Così, hanno stimato che la sola Chevron, tra il 1991 e il 2020, avrebbe causato danni per una cifra che oscilla tra i 791 miliardi e i 3.600 miliardi di dollari, in base ai parametri economici. I due autori sostengo che il loro studio sia una base di partenza su cui poter poggiare in cause legali contro le aziende fossili chiamate in giudizio per riparare economicamente ai danni.

Il modello sul quale si basa lo studio è definito “but for” (espressione inglese traducibile in italiano con “se non fosse per”): ad esempio, un particolare evento climatico estremo si sarebbe verificato “se non fosse stato per” le emissioni di una determinata azienda? I dati raccolti sono quindi stati utilizzati per capire come la presenza di specifiche aziende abbia causato ondate di calore creando due modelli differenti, uno che includeva le emissioni dell’azienda e uno che non le includeva. Successivamente, i due modelli sono stati messi a confronto.

In questo modo i due ricercatori hanno stimato che le 111 aziende petrolifere più inquinanti hanno causato, per effetto delle ondate di calore da loro generate su scala locale, circa 28 mila miliardi di dollari di danni tra il 1991 e 2020. «Il nostro quadro di riferimento è in grado di fornire solide attribuzioni di danni climatici basati sulle emissioni delle aziende. Questo dovrebbe aiutare i tribunali a valutare meglio le richieste di risarcimento per le perdite e i disagi derivanti dai cambiamenti climatici causati dall’uomo», ha detto Mankin, uno degli autori dello studio. Utilizzando i dati sulle emissioni di ambito 1 (emissioni dirette) e ambito 3 (emissioni indirette) delle principali società di combustibili fossili, metodi di attribuzione peer-reviewed e progressi nell’economia climatica empirica, i due ricercatori hanno illustrato la quantità di perdite economiche attribuibili al calore estremo causato dalle emissioni delle singole società. L’azienda con le emissioni più elevate tra quelle analizzate è Chevron, la quale, in un ipotetico tribunale, potrebbe essere ritenuta responsabile di danni per un valore compreso tra 791 e 3.600 miliardi di dollari nel periodo considerato. Secondo i ricercatori, il loro metodo può stimare gli impatti di qualsiasi fonte di emissioni, che si tratti di una compagnia petrolifera, di un altro tipo di azienda, di un Paese o di un privato.

Il contenzioso sul clima negli Stati Uniti è in corso da oltre un decennio. Vari Stati, Paesi, città, cittadini e gruppi della società civile hanno presentato reclami contro le società di combustibili fossili, sostenendo che queste dovrebbero essere ritenute responsabili per i danni, diretti e indiretti, causati dalle loro attività. Le ricerche sull’attribuzione del danno applicata agli eventi estremi sono iniziate nel 2003, dopo la pubblicazione, su Nature, di un saggio che si poneva interrogativi molto simili a quelli ai quali oggi i ricercatori ritengono di aver dato una risposta. Sarebbero quindi le grandi aziende le principali responsabili dei cambiamenti del clima nelle località in cui hanno sede.

Romania, il primo ministro Ciolacu rassegna le dimissioni

0

Il primo ministro romeno Marcel Ciolacu, esponente del partito socialdemocratico, ha rassegnato le proprie dimissioni. L’annuncio arriva dopo la sconfitta elettorale del candidato unitario dei tre partiti di governo, George Crin Laurenţiu Antonescu, che non è riuscito ad accedere al ballottaggio. Il primo turno delle elezioni presidenziali in Romania si è tenuto ieri, domenica 4 maggio, ed è stato vinto dal candidato di destra George Simion. A seguire, il candidato indipendente e sindaco di Bucarest, Nicușor Dan, di orientamento moderato. Il ballottaggio tra i due è previsto per il prossimo 18 maggio.