giovedì 11 Settembre 2025
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Lituania, chiuso lo spazio aereo a leader esteri in visita a Mosca

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La Lituania ha chiuso il suo spazio aereo ai voli che trasporteranno i leader di Slovacchia e Serbia a Mosca il prossimo 9 maggio. A dare l’annuncio è il presidente lituano, Gitanas Nauseda, rispondendo a una domanda sulle richieste di sorvolo avanzate dai due Paesi. La richiesta è arrivata in occasione delle commemorazioni del Giorno della Vittoria nella Seconda Guerra Mondiale nella capitale russa, evento a cui, tra gli altri, dovrebbero partecipare anche il primo ministro slovacco Robert Fico e il presidente serbo Aleksandar Vučić.

Gli scienziati hanno creato un nuovo colore sfruttando la tecnologia laser

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È stato chiamato “olo”, è simile al cosiddetto verde acqua o blu pavone ma ha una intensità fuori scala che lo rende ineguagliabile dai colori tradizionali: è la nuova tonalità che non esiste nel repertorio naturale dell’occhio umano, percepita da ben cinque persone che si sono sottoposte ad una particolare tecnica innovativa. È quanto emerge da un nuovo studio guidato da scienziati dell’Università della California, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Science Advances. Attraverso l’utilizzo di laser adibiti allo stimolo delle cellule della retina, i ricercatori sono riusciti a riprodurre segnali mai percepiti prima, il che dimostrerebbe che “creare nuovi colori” è possibile. Secondo gli autori, inoltre, non si tratta semplicemente di una curiosità scientifica: la tecnica potrebbe aprire nuove strade nella comprensione della percezione visiva e, con ulteriori sviluppi, essere utile anche per chi soffre di daltonismo. «È un lavoro sorprendente dal punto di vista tecnico» e rappresenta «un traguardo straordinario» secondo Kimberly Jameson, scienziata specializzata nella visione dei colori presso l’Università della California non coinvolta nello studio.

I colori osservati ed elaborati dal nostro organismo sono il risultato dell’attività combinata di tre particolari tipi di cellule sensibili alla luce, situate nella retina: si tratta dei cosiddetti coni S, M e L, ciascuno ottimizzato per captare rispettivamente la luce blu, verdastra e rossa. È il confronto tra le loro risposte che permette al cervello di distinguere i colori. Finora, spiegano i ricercatori, ogni colore visibile rientrava entro uno spettro determinato da questa combinazione, ma rimanevano interrogativi circa la possibilità di isolare completamente l’attivazione di un singolo cono senza coinvolgere altri. Tale lacuna ha trovato spazio nello studio recentemente pubblicato, realizzato grazie all’utilizzo di una particolare tecnica controllata da un software che ha permesso di inviare microdosi di luce laser a specifici coni, manipolando così il segnale inviato al cervello. Grazie a tale metodo, gli autori sono riusciti non solo a ingannare la percezione visiva, ma anche a produrre stimoli completamente nuovi, mai visti prima.

In particolare, i partecipanti allo studio – tra cui il coautore Ren Ng – hanno riferito di aver visto un colore intenso e insolito, che non trovava corrispondenza tra quelli generabili con una sola lunghezza d’onda: lo hanno denominato “olo”, e, secondo i sottoposti, risultava così saturo che, per renderlo confrontabile con le tonalità normali, era necessario diluirlo con luce bianca. «Un simile tipo di stimolazione della retina non era mai stato ottenuto prima», afferma Anya Hurlbert, mentre Kimberly Jameson parla di «traguardo straordinario», pur avvertendo al contempo che la tecnica funziona solo su un’area molto limitata del campo e richiede strumenti sofisticati disponibili in pochi laboratori. Tuttavia, secondo gli autori le potenzialità sono tutt’altro che indifferenti: oltre alla creazione di nuovi colori, il sistema potrebbe essere applicato in futuro per restituire una visione a colori a chi è affetto da daltonismo. In esperimenti passati – aggiungono – le scimmie scoiattolo daltoniche hanno dimostrato che la terapia genica può conferire una visione cromatica completa, e ora gli scienziati sperano di raggiungere un risultato simile usando i laser per simulare un terzo tipo di cono nei pazienti. «La domanda ora è: il cervello saprà usare queste nuove informazioni per vedere tutti i colori?», concludono, aggiungendo che in tutti i casi la tecnica fornirà probabilmente una nuova chiave per comprendere in che modo i segnali retinici si trasformino in percezione visiva.

Napoli: migliaia in piazza per la Taverna Santa Chiara e il popolo palestinese

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Una manifestazione in sostegno alla Taverna Santa Chiara a Napoli. Maggio 2025

Il popolo napoletano è al fianco della Palestina e condanna l’ambiguità dell’amministrazione guidata da Gaetano Manfredi. È questo il messaggio che ieri, in migliaia, hanno lanciato da Piazza Municipio, nei pressi di Palazzo San Giacomo, sede del Comune di Napoli. Il presidio – dal titolo Not in my name – è stato organizzato dal basso, su iniziativa di alcuni abitanti, per esprimere solidarietà alla Taverna Santa Chiara e alla ristoratrice Nives Monda, finita negli ultimi giorni alla gogna mediatica per la sua esposizione pubblica contro l’apartheid e il genocidio del popolo palestinese. Il confronto tra Nives Monda e due turisti israeliani – Geula e Raul Moses – che negavano i crimini del proprio Paese ha fatto il giro del web, cavalcando la disinformazione della stampa filo-israeliana. Subito dopo l’accaduto, l’amministrazione Manfredi, nella figura dell’assessora al Turismo Teresa Armato, si è affrettata a incontrare i due turisti per manifestare la vicinanza del Comune. Le decine di migliaia di messaggi di solidarietà alla Taverna Santa Chiara e la piazza partecipata di ieri hanno invece precisato da che parte sta il popolo napoletano.

La Taverna Santa Chiara non è soltanto un ristorante. Negli anni si è ritagliata un ruolo sociale, di attivismo, all’interno di una città sempre più turistificata e svuotata dunque della propria identità. Storica è l’avversione all’overtourism così come la solidarietà al popolo palestinese, che tra le altre cose ha portato la taverna ad aderire alla campagna Spazi liberi dall’apartheid israeliana (SPLAI). Promossa dal movimento BDS, la campagna SPLAI promuove spazi liberi da razzismo e da rapporti con entità complici dell’occupazione israeliana. Non il luogo migliore per difendere i crimini di Tel Aviv e dipingere il proprio Paese come un’oasi di pace, cosa che, a fine pasto, due turisti israeliani, hanno fatto parlando con una coppia spagnola seduta in sala. A quel punto è intervenuta Nives Monda, ribadendo la posizione della Taverna Santa Chiara di condanna verso il genocidio palestinese in atto. Geula e Raul Moses hanno dunque iniziato a riprendere col proprio smartphone, accusando ripetutamente la titolare di antisemitismo e di «supportare i terroristi». Una mistificazione ripresa dalla stampa filoisraeliana e volta a confondere – per delegittimare la causa palestinese e il suo sostegno – antisemitismo e avversione al sionismo, ideologia colonizzatrice che sta esprimendo il meglio di sé a Gaza, col massacro di oltre cinquantamila persone, e con l’erosione continua dei diritti dei palestinesi residenti nella Cisgiordania occupata.

I coniugi Moses non sono stati cacciati perché ebrei. «Potete andare, non voglio i vostri soldi», ha detto Nives Monda dopo la discussione avvenuta a fine pasto. I turisti hanno così lasciato il locale senza pagare, caricando il video – ritraente lavoratori e clienti senza consenso – in rete, il che ha dato il via a una campagna d’odio senza precedenti, tra minacce di spedizioni punitive, distruzione del locale e violenza fisica, anche sessuale. Presto si è messa in moto anche la macchina della solidarietà verso la Taverna Santa Chiara e il suo staff, culminata nella manifestazione di ieri. Diverse le personalità, politiche e non solo, che si sono esposte a difesa della storica attività napoletana. Sulla questione è intervenuta anche Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, che ha dichiarato: «Sono contro la discriminazione di ogni tipo, ma dirsi contro l’apartheid è un diritto ed un dovere. Siano ben accolti ovunque gli israeliani che lottano contro apartheid e genocidio. Nel frattempo, possano tanti esercenti seguire l’esempio della Taverna Santa Chiara».

Grande assente è stata l’amministrazione Manfredi, che solo oggi ha deciso di incontrare Nives Monda. Il 3 maggio, invece, l’assessora al Turismo si è precipitata a conoscere la coppia di turisti in una caffetteria del centro, in compagnia del presidente onorario della Associazione Italia-Israele di Napoli, Giuseppe Crimaldi. Poco dopo l’incontro, il Times of Israel ha scritto che ai due turisti sarebbero stati offerti due giorni di escursioni guidate per la città, a spese dei contribuenti. Dettagli che il Comune di Napoli ha negato.

Nel frattempo, vedendo le immagini del caso mediatico, il gruppo Donne in nero ha riconosciuto Geula Moses come la donna che il 26 aprile scorso «si è fermata davanti a noi e iniziato a provocare apostrofandoci con offese e parolacce. Ci ha chiamate terroriste e amiche di Hamas. Noi abbiamo mantenuto il silenzio ma non è servito a fermarla. Lo schema è lo stesso: lei provoca e il marito riprende col telefono». Il gruppo, come ogni sabato da venti mesi a questa parte, era in presidio a Bari vestito a lutto e in silenzio per chiedere la fine del massacro in Palestina.

Quanto accaduto a Napoli accende l’ennesima luce sullo stato della disinformazione che dilaga nel nostro Paese, spesso associata a campagne d’odio verso chi dissente. In questo caso, una ristoratrice che nel suo piccolo esprime solidarietà al popolo palestinese viene fatta passare per antisemita, diffamata da chi può liberamente viaggiare e decidere cosa e dove mangiare – due diritti basilari che in questo momento vengono negati a Gaza, con un popolo costretto alla fame e rinchiuso nel campo di sterminio più grande al mondo. Una situazione intrisa di impunità, arroganza e suprematismo, resa possibile soltanto da un ampio spettro di complicità umana, che di certo include anche propaganda e indifferenza.

Emissioni auto: l’UE approva la procedura d’urgenza che rimanda la transizione ecologica

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Il Parlamento europeo ha deciso di applicare una procedura d’urgenza per modificare la legislazione che regola le emissioni di CO2 delle auto, rimandando così gli obiettivi della transizione ecologica, in seguito alla crisi economica che ha colpito il settore automobilistico europeo. La legislazione comunitaria attuale stabilisce che già quest’anno i produttori di auto debbano ridurre del 15% le emissioni rispetto al 2021, con multe salate per le aziende che non si adeguano. Con le modifiche che si vogliono applicare d’urgenza, invece, il calcolo elle emissioni verrà distribuito sul triennio 2025-2027 per dare più tempo alle case automobilistiche di adeguarsi ai nuovi standard. La normativa non modificata partiva dal presupposto che con il diffondersi delle auto elettriche sul mercato, si sarebbero ridotte anche le emissioni. Tuttavia, la mancanza di un piano industriale adeguato, di programmazione e di incentivi statali ha fatto fallire la sostituzione dei motori endotermici con quelli elettrici, gettando le più grandi casi automobilistiche europee, come Volkswagen, in una crisi profonda da cui non si sono ancora riprese.

L’imposizione di sanzioni alle case automobilistiche per via delle emissioni aveva suscitato il disappunto di alcuni governi, oltre che delle stesse associazioni dell’automotive, mentre i lavoratori europei lo scorso febbraio avevano manifestato a Bruxelles, chiedendo all’esecutivo comunitario di intraprendere azioni concrete per arginare la deindustrializzazione europea. Lo stesso governo italiano, in un non-paper del novembre 2024, aveva sottolineato, insieme alla Repubblica Ceca, come le sanzioni sulle emissioni limitassero gravemente la capacità del settore di reinvestire in innovazione e sviluppo, danneggiando così la competitività dell’Europa sulla scena globale, chiedendone quindi la revisione. Il documento sottolineava anche l’importanza della cosiddetta neutralità tecnologica, che implica la possibilità di adottare una gamma più ampia di soluzioni per l’alimentazione a basse emissioni dei veicoli, compresi i motori a combustione interna alimentati in modo sostenibile, che dovrebbero essere presi in considerazione attraverso il corretto utilizzo di propulsori alternativi.

Pare, dunque, che la Commissione europea si sia adeguata alle richieste di diversi governi, compreso quello italiano, sulla necessità di rivedere i tempi necessari per la transizione, senza però metterla in discussione. La normativa europea prevede infatti che, entro il 2030, la riduzione delle emissioni debba arrivare al 55% (emissioni medie per veicolo sotto i 49,5 g di CO₂/km), per poi arrivare entro il 2035 all’obiettivo finale di zero emissioni nette. Nel frattempo, ha permesso una dilazione spalmata su tre anni per ridurre la quantità emessa di CO2, mentre tutti gli altri obiettivi della normativa vigente dovrebbero rimanere invariati. L’unica eccezione alla modifica della normativa riguarda i veicoli pesanti. Il che ha suscitato il disappunto del capo delegazione di Fratelli d’Italia/ECR al Parlamento Europeo, Carlo Fidanza, secondo cui la procedura d’urgenza approvata dall’europarlamento è «un passo che va certamente nella giusta direzione ma rimane insufficiente per rispondere al problema delle multe, che peraltro continuerà a riguardare – e questo è davvero incomprensibile – il settore dei veicoli pesanti, nonostante la quota di immatricolazioni di veicoli pesanti a zero emissioni sia stata appena del 2,3% a livello europeo».

La modifica della legislazione vigente sulle emissioni fa parte di un più ampio ripensamento da parte della Commissione sui tempi e i modi per raggiungere gli obiettivi della transizione, considerate, da un lato, la crisi industriale in cui versa l’Europa e, dall’altro, le proteste dei lavoratori che chiedono che i costi della conversione energetica non vengano scaricati sulla classe media e sulle fasce meno abbienti. Un ripensamento che ha coinvolto anche il settore agricolo, dopo le proteste massicce degli agricoltori che si sono verificate a livello europeo nel 2024. Già a febbraio, il vicepresidente esecutivo della Commissione europea con delega all’Industria, Stéphane Séjourné aveva promesso un Clean Inustrial Deal che doveva essere prima di tutto un «patto sociale» con l’obiettivo di «mantenere i posti di lavoro in Europa». La modifica della normativa delle emissioni sarà votata giovedì 8 maggio in sessione plenaria e, come riferisce il Sole 24 Ore, secondo alcuni funzionari di Bruxelles, è possibile che l’emendamento non debba nemmeno essere discusso con il Consiglio, in quanto entrambi i legislatori sembrano allineati sulla proposta della Commissione europea. La deindustrializzazione europea e i rapidi mutamenti geopolitici se non hanno fatta fallire, hanno quantomeno inferto una dura battuta d’arresto all’agenda climatica della von der Leyen, pilastro della sua prima legislatura, ora sostituito con il riarmo e il rilancio dell’industria bellica, in radicale contraddizione con gli obiettivi di neutralità climatica.

Inizia il Conclave: prima fumata dopo le 19

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È ufficialmente iniziato il Conclave che porterà alla nomina del nuovo Papa, dopo la morte di Francesco. Nella Basilica di San Pietro si è tenuta la messa “Pro Eligendo Pontifice”, celebrata dal cardinale Giovanni Battista Re alla presenza dei 133 cardinali elettori, che nel pomeriggio si recheranno in processione verso la Cappella Sistina. Qui, una volta pronunciato l’Extra Omnes, si svolgeranno le operazioni di voto. La prima fumata è attesa dopo le 19.

USA: tagliati milioni di fondi ai progetti che indagano gli abusi di Stato contro i nativi

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L’amministrazione Trump ha tagliato un totale di 1,6 milioni di dollari destinati a progetti che indagano sugli abusi perpetrati dal governo statunitense nei confronti dei bambini nativi che nel corso del tempo sono stati violentemente strappati dalle proprie famiglie e inseriti nelle Boarding School, ovvero le “scuole” per l’assimilazione forzata. In più di 150 anni di esistenza di queste strutture, migliaia di bambini nativi hanno trovato la morte dopo aver subito pesanti violenze di ogni genere, da quelle fisiche a quelle psicologiche, in quello che era definito un processo di “civilizzazione”. Sono una trentina le entità che hanno visto tagliarsi i fondi per le proprie attività di ricerca sui terribili anni delle Boarding School, impedendo così il percorso di conoscenza e giustizia.

Ad essere colpito è, in particolare, il National Endowment for the Humanities, il quale a sua volta elargisce fondi anche a varie organizzazioni nativo-americane che si occupano di indagare gli orrori commessi a danno dei bambini nativi all’interno delle strutture conosciute come Boarding School. La sola National Native American Boarding School Healing Coalition (NNABSHC), una delle più importanti organizzazioni che si occupano di tale ricerca, si è vista tagliare 280.000 dollari di finanziamento per la digitalizzazione di più di 100.000 pagine di documenti inerenti riguardanti i soprusi commessi all’interno delle strutture per l’assimilazione forzata dei bambini nativi. Altre decine di migliaia di tagli hanno riguardato progetti di altre istituzioni, come l’Alaska Native Heritage Center. «Se stiamo cercando di Rendere l’America Grande di nuovo, allora penso che dovrebbe iniziare con la verità sulla vera storia americana», ha detto Deborah Parker, CEO della NNABSHC. Deb Haaland, ex Segretario dell’Interno, appartenete ai Laguna Pueblo, candidata alla carica di Governatore del New Mexico, ha descritto i tagli come l’ultimo passo nel «modello di cancellazione dell’intera storia del nostro Paese».

Nel corso degli ultimi anni, sia negli USA che in Canada, tombe non segnate e fosse comuni sono state scoperte nei pressi delle vecchie strutture portando alla luce corpi e ossa di centinaia, migliaia di bambini nativi. Questi ritrovamenti portarono il defunto Papa Francesco a porgere le proprie scuse ufficiali alle popolazioni indigene. Le Boarding School sono state un’istituzione religiosa e/o statale fulcro delle politiche di assimilazione forzata dei popoli indigeni. Infatti, sotto il giogo della guerra totale, nella seconda metà dell’Ottocento, in tutto il Nordamerica è stata allestita la politica assimilazionista che mirava a fare del nativo un soggetto integrato al sistema sociale moderno e cristiano. La più famosa Boarding School del Nordamerica è stata senz’altro quella di Carlisle, in Pennsylvania. Quest’istituto fu fondato dal capitano R.H. Pratt, nel 1879, il quale riteneva che tali scuole fossero funzionali ad una “educazione all’estinzione”. Il motto di Pratt era kill the indian, save the man, ovvero “uccidi l’indiano, salva l’uomo”. I corpi degli indigeni erano intesi come contenitori da svuotare per essere riempiti con la cultura dell’uomo bianco. Tra il 1871 e il 1969, il governo federale speso più di 23 miliardi di dollari in dollari per finanziare il sistema federale del “collegio indiano”.

Spesso, il violento processo di svuotamento portava alla morte dei corpi che dovevano essere assimilati. Così, dalla seconda metà dell’Ottocento, fino ad una buona parte della seconda metà del Novecento, decine e decine di migliaia di bambini indigeni vennero strappati con la forza alle proprie famiglie per essere educati alla civilizzazione. Una volta che i bambini entravano in questi luoghi erano costretti a dimenticare tutto ciò che sapevano di sé stessi, della propria cultura e delle tradizioni: venivano tagliati loro i capelli e veniva affidato loro un nome cristiano scelto dalla Bibbia. Da quel momento in poi, avrebbero dovuto seguire i precetti della Bibbia e adottare usi e costumi degli uomini bianchi. Ogni volta che venivano infrante le regole i trasgressori venivano puniti severamente: digiuno forzato, frustate e abusi sessuali erano i più comuni metodi di annichilimento e indottrinamento forzato.

Dl Sicurezza: penalisti in sciopero contro il provvedimento

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Terzo giorno di sciopero dei penalisti contro il dl Sicurezza: gli avvocati termineranno la protesta oggi con un presidio a Roma, in piazza Santi Apostoli, dove si terranno anche interventi di docenti, giuristi, membri della società civile e politici. Gli avvocati denunciano «l’inutile introduzione di nuove ipotesi di reato, i molteplici sproporzionati e ingiustificati aumenti di pena, l’introduzione di aggravanti prive di alcun fondamento razionale e la sostanziale criminalizzazione della marginalità e del dissenso». Criticata anche la scelta del governo di fare ricorso alla misura del decreto legge, in linea teorica previsto solo in casi di emergenza.

Nella notte l’India ha bombardato il Pakistan: decine di civili uccisi

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Nella notte l’India ha bombardato il Pakistan, nella provincia orientale del Punjab e nella porzione di Kashmir controllato da Islamabad. Nonostante Nuova Delhi parli di un «attacco mirato e preciso», il bilancio delle vittime continua a crescere: 26 morti e decine di feriti, come riportato da autorità e media locali. L’Operazione Sindoor ha preso di mira nove siti che ospitavano, a detta delle autorità indiane, “infrastrutture terroristiche”. Tra i bersagli anche la moschea Subhan di Bahawalpur, distrutta nell’attacco più sanguinoso della notte, che al momento conterebbe 13 vittime civili tra cui due bambini. Dopo giorni di crescenti tensioni, l’India ha deciso di alzare il livello dello scontro e di mettere in campo una rappresaglia per l’attentato subito il 22 aprile scorso, quando 26 turisti sono stati uccisi nella porzione indiana del Kashmir da alcuni miliziani del Resistance Front (TRF), una sigla terroristica che secondo Nuova Delhi è sostenuta dalle autorità pakistane.

Pochi minuti dopo l’attacco subito, Islamabad ha lanciato colpi d’artiglieria lungo la linea di controllo che divide il Kashmir ed è di fatto il confine con l’India. Ne sono nati diversi scontri a fuoco tra le truppe pakistane e indiane che hanno causato morti e feriti in entrambi gli schieramenti. Secondo il governo del Pakistan, inoltre, il suo esercito ha abbattuto cinque aerei da combattimento nemici. «Il Pakistan ha tutto il diritto di rispondere con forza a questo atto di guerra sferrato dall’India», ha dichiarato il premier Shehbaz Sharif, che ha convocato per questa mattina una riunione del Comitato per la Sicurezza Nazionale per decidere la condotta militare da adottare. La tensione resta dunque alta tra India e Pakistan, due potenze nucleari. Dalle cancellerie di tutto il mondo è arrivato l’appello alla moderazione e a disinnescare il conflitto.

L’escalation militare della notte è stata preceduta nelle scorse settimane da una serie di ritorsioni. A seguito dell’attentato del 22 aprile, rivendicato dal TRF come la risposta al rilascio di più di 80mila permessi di residenza in Kashmir a cittadini indiani non kashmiri, il governo di Nuova Delhi ha espulso due diplomatici pakistani dichiarandoli persone non grate, e ha chiuso il confine di Wagah – la principale frontiera tra i due Paesi – impedendo ai pakistani di entrare in India. Successivamente, è stato sospeso il Trattato sulle acque dell’Indo, che dal 1960 disciplina il controllo delle acque provenienti da uno dei fiumi più importanti dell’Asia che sorge in territorio indiano. La sospensione comporta il rischio di una deviazione o di un blocco del flusso d’acqua, tutto a danno della popolazione pakistana.

Da Islamabad sono presto arrivate le contromisure: confine con l’India chiuso e permessi di soggiorno a cittadini indiani sospesi. Il governo pakistano ha inoltre impedito alle compagnie indiane di attraversare il proprio spazio aereo e sospeso i vari accordi bilaterali col Paese, chiudendo anche le rotte commerciali. Lungo la linea di controllo che divide il Kashmir si sono poi verificati diversi scontri a fuoco tra le truppe pakistane e indiane, fino all’escalation della notte appena trascorsa, che apre un nuovo sanguinoso capitolo della difficile convivenza tra i due Paesi.

Le foreste sono un filtro naturale contro la contaminazione da microplastiche dei laghi

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Le foreste non solo rappresentano un ambiente che promuove lo sviluppo della biodiversità, ma sarebbero anche una sorta di “filtro naturale” contro la diffusione delle microplastiche nei laghi. È quanto emerge da un nuovo studio scientifico condotto dall’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) in collaborazione con l’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia (Arpae) dell’Emilia-Romagna e presentato all’evento Progetto Life Blue Lakes, che mira a migliorare la gestione delle acque dolci attraverso un protocollo condiviso...

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Trump annuncia: “smetteremo di bombardare gli Houthi, si sono arresi”

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Nel corso di un incontro nello Studio Ovale con il neoeletto primo ministro canadese Mark Carney, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che il gruppo yemenita Ansar Allah, meglio noto come Houthi, si sarebbe arreso, chiedendo di non essere più bombardato. «Hanno detto “non bombardateci più e non attaccheremo le vostre navi”» ha dichiarato il presidente degli Stati Uniti, aggiungendo «io accetterò la loro parola, e fermeremo i bombardamenti sugli Houthi con effetto immediato». Le dichiarazioni arrivano dopo che, nella giornata di oggi, un massiccio bombardamento israeliano ha distrutto l’aeroporto di Sana’a, capitale dello Yemen.

Il gruppo non ha commentato le dichiarazioni del presidente statunitense, tuttavia oggi il media yemenita Masirah Tv, di proprietà degli Houthi, citando l’ufficio politico del gruppo ha riportato che «lo Yemen non abbandonerà la sua posizione a sostegno di Gaza e continuerà a fare pressione sull’entità sionista fino a quando l’aggressione non sarà fermata e l’assedio non sarà terminato». L’ufficio politico di Ansar Allah ha inoltre invitato i popoli delle nazioni arabe a «assumersi le proprie responsabilità e ad intraprendere azioni serie ed efficaci per affrontare l’arroganza sionista e statunitense», sottolineando che «il jihad e la resistenza sono l’unica opzione per respingere i complotti dei nemici che prendono di mira la nazione e i suoi luoghi sacri».

Il gruppo ha iniziato una pressante rappresaglia contro gli Stati Uniti e Israele attaccando le navi commerciali in transito nel Mar Rosso, dopo che Tel Aviv ha dato il via all’aggressione militare contro Gaza, il 7 ottobre 2023. A queste azioni, gli Stati Uniti hanno risposto con pesanti bombardamenti, che hanno causato centinaia di morti, ma non hanno, fino ad ora, spezzato il supporto del gruppo yermenita alla Palestina.

Secondo quanto riportato da Al Jazeera, l’Oman ha dichiarato, in un comunicato, di aver mediato un accordo di cessate il fuoco tra le due parti. Secondo il comunicato citato, «In futuro nessuna delle due parti prenderà di mira l’altra, comprese le navi americane, nel Mar Rosso e nello Stretto di Bab al-Mandab, garantendo la libertà di navigazione e il regolare flusso della navigazione commerciale internazionale». Al momento, tuttavia, non risulta che Ansar Allah abbia confermato la notizia.