L’Aula della Camera ha approvato in via definitiva il decreto legge con misure in materia di giustizia, con 163 sì, 103 astenuti e nessun contrario. Il provvedimento, nel testo identico a quello licenziato da Palazzo Madama, è formato da 11 articoli e detta in particolare misure in materia di organizzazione della magistratura, gestione dell’edilizia penitenziaria e uso dei braccialetti elettronici. Tra le novità introdotte figurano anche modifiche alle norme che regolano la gestione delle crisi d’impresa, il rinvio al 2025 delle elezioni per i consigli giudiziari, l’eliminazione del requisito di servizio residuo per incarichi direttivi e l’estensione della copertura Inail ai lavori di pubblica utilità.
Israele avvia l’operazione “muro di ferro” in Cisgiordania, con la benedizione di Trump
Al terzo giorno di tregua a Gaza, la guerra silenziosa in Cisgiordania riesplode con nuova violenza. Questa mattina, le forze dell’IDF, insieme allo Shin Bet e alla Border Police, hanno lanciato l’Operazione “Muro di Ferro”, attaccando il campo profughi di Jenin, uno dei bastioni della resistenza palestinese in Cisgiordania. Al momento si contano nove morti e almeno 40 feriti in quello che appare già come uno degli attacchi più sanguinari degli ultimi mesi, destinato a durare diversi giorni. Droni ed elicotteri Apache militari sorvolano i cieli di Jenin, sganciando bombe e sparando con armi pesanti in varie zone della città e del campo profughi. Numerosi cecchini, appostati sui tetti, prendono di mira chiunque si muova per le strade del campo, mentre i militari assediano sia l’ospedale al-Amal che l’ospedale governativo di Jenin. Tra i feriti si contano anche tre medici e due infermiere, mentre un gruppo di paramedici ha rischiato di essere colpito da due missili che hanno centrato un sito vicino a dove stavano operando all’interno del campo profughi. Le forze militari bloccano tutti gli accessi al campo, impedendo alle ambulanze di raggiungere i feriti. Anche i giornalisti denunciano gravi difficoltà a svolgere il proprio lavoro a causa delle restrizioni e delle azioni dell’IDF.
L’obiettivo dichiarato dell’operazione sarebbe quello di «sradicare il terrorismo» e rafforzare la sicurezza, prevenendo attacchi in «Giudea e Samaria». Si tratta dei termini biblici, e in buona sostanza coloniali, con i quali i politici israeliani sono soliti chiamare – rivendicandone la sovranità – i territori della Cisgiordania occupata, che secondo le Risoluzioni ONU è parte dello Stato di Palestina. «Oggi il concetto di sicurezza in Cisgiordania sta cambiando, dopo Gaza e il Libano, come parte dei nostri obiettivi più ampi per eliminare il terrorismo nella regione», ha dichiarato il Ministro delle Finanze, Bezalel Smootrich. Il movimento Jihad Islamico Palestinese ha condannato l’attacco israeliano definendolo un «atto brutale e barbaro», descrivendolo come il risultato del fallimento di Israele nel raggiungere i suoi obiettivi a Gaza. Secondo il movimento, l’operazione rappresenta un tentativo disperato di salvare la coalizione di governo guidata da Netanyahu. «L’obiettivo è quello di disturbare l’atmosfera di gioia tra la popolazione della Cisgiordania, che ha costretto Israele a rilasciare un gran numero di prigionieri», si legge nella dichiarazione del movimento.
Hamas ha invocato una mobilitazione generale contro quella che ha definito la «diffusa aggressione dell’occupazione» a Jenin, esortando a sostenere i combattenti della resistenza per affrontare l’esercito israeliano. Nel comunicato stampa, Hamas ha anche espresso sorpresa – forse con tono ironico – per il comportamento dell’Autorità Palestinese (ANP), che si è ritirata dalle vicinanze del campo di Jenin proprio all’inizio dell’operazione militare israeliana, dopo un assedio durato più di 48 giorni. È infatti consuetudine che la polizia dell’ANP scompaia durante gli assedi dell’esercito israeliano.
Le Brigate di Jenin e le forze dell’ANP avevano raggiunto un accordo di tregua la settimana scorsa, dopo gli attacchi aerei israeliani che avevano provocato 12 vittime in soli due giorni. L’assedio della polizia palestinese era stato interrotto. Tuttavia, meno di una settimana dopo, è iniziata una nuova operazione, seguita da un assedio israeliano.
Jenin è la città della Cisgiordania che ha subito il maggior numero di vittime: almeno 245 morti dal 7 ottobre a oggi, su un totale di circa 866 in tutta la regione. Le strade e gran parte delle infrastrutture del campo profughi rimangono gravemente danneggiate a causa dei ripetuti raid militari.
La violenza di Israele in Cisgiordania continua ad aumentare. In tutto il territorio si sono registrati numerosi attacchi da parte di coloni contro civili e proprietà palestinesi, oltre a decine di arresti effettuati dalle forze dell’IDF. Solo questa notte, con la protezione dell’esercito, i coloni hanno incendiato case, automobili e negozi nella città di al-Funduq e devastato 150 alberi di ulivo a Masafer Yatta. Arresti di massa sono stati segnalati ad Azzun e Beit Furik.mNel frattempo, Donald Trump, appena tornato alla presidenza, ha firmato un ordine esecutivo per revocare le sanzioni contro i coloni israeliani in Cisgiordania. «L’abolizione delle sanzioni ai coloni estremisti li incoraggia a commettere altri crimini contro il nostro popolo», ha dichiarato il ministero degli Esteri palestinese in un comunicato. Intanto, droni militari sorvolano i cieli di Tulkarem, segno che la guerra in Palestina è tutt’altro che finita. E la Cisgiordania è nel mirino.
[di Moria Amargi, corrispondente dalla Palestina]
I poteri occulti che controllano l’Italia: intervista a Luigi de Magistris
Quali forze oscure influenzano i meccanismi dello Stato italiano? Una rete di poteri criminali, politici, economici e mediatici interconnessi, indagati e raccontati dall’ex magistrato e sindaco di Napoli Luigi De Magistris nel suo ultimo libro, Poteri occulti. Dalla P2 alla criminalità istituzionale: il golpe perenne contro Costituzione e democrazia (Fazi Editore). De Magistris, già sostituto procuratore a Catanzaro e Napoli, ha condotto indagini di rilevanza nazionale su corruzione e criminalità organizzata. Nel 2009 è stato eletto europarlamentare con L’Italia dei Valori e, nel 2011, ha conquistato la carica di sindaco di Napoli,città che ha guidato per due mandati consecutivi, fino al 2021. Alle elezioni politiche del 2022 ha promosso la lista Unione Popolare, che però non è riuscita a superare la soglia di sbarramento del 3%. Con il suo libro, De Magistris propone una riflessione profonda sul ruolo di queste forze occulte nella storia politica e istituzionale italiana, gettando luce sul sistematico quanto silenzioso attacco contro i principi della Costituzione e della democrazia.
Luigi De Magistris, nel suo libro lei denuncia la presenza di «poteri occulti» talmente potenti da operare quello che definisce un «golpe perenne» contro la Costituzione e la democrazia. Quali sono questi poteri occulti?
Quando parlo di «poteri occulti» mi riferisco a una rete di persone – i cosiddetti «colletti bianchi» – che, nel corso degli anni, hanno ricoperto e ricoprono ruoli rilevanti all’interno della politica e delle istituzioni, ma anche nel mondo delle professioni e dell’economia. Soggetti che hanno la forza e l’influenza per portare a formale ratifica decisioni che perseguono interessi lobbistici, affaristici, privati e, non di rado, anche criminali. Azioni che, negli anni, hanno portato a comprimere, calpestare, svuotare la parte più importante della Costituzione repubblicana, cioè quella della democrazia sostanziale e dei diritti più profondi. Il loro obiettivo primario è quello di evitare che si possano creare le condizioni per un mutamento dei rapporti di forza nel nostro Paese tale per cui emerga un’alternativa improntata sulla giustizia sociale la democrazia sostanziale.
Volendo cercare di identificarli, viene immediatamente da pensare a poteri economici, magari di stampo mafioso. Oppure occorre volgere lo sguardo ad altri tipi di potere che si muovono con obiettivi politici e massonici?
Le massonerie deviate, che non sono deviazioni “occasionali”, ma sono diventate deviazioni talmente forti da identificarle in alcuni casi con i veri e propri centri massonici più importanti, sono il collante dei «poteri occulti». Grazie in particolare a quello che ho constatato nella mia esperienza da magistrato in Calabria, posso dire che si cade in errore quando si ritiene che siano solo le mafie a operare nelle trame di questo sistema. La criminalità organizzata è un tassello, e nemmeno il più rilevante. Ciò che davvero rende forti i «poteri occulti» è la presenza di settori importanti della vita pubblica, soprattutto di pezzi della politica e delle istituzioni a tutti i livelli – forze di polizia, servizi, magistratura, pubblica amministrazione – e del mondo dell’economia. Negli questo potere ha optato per una strategia di “mimetizzazione”, tanto è vero che nel libro parlo in maniera chiara e diffusa di “criminalità istituzionale”. Non è un caso che il crimine organizzato, negli ultimi trent’anni, abbia cambiato la sua strategia politico-operativa, attaccando sempre meno militarmente quella parte dello Stato che opera in ossequio alla Costituzione. In questo quadro, la lotta che comunemente chiamiamo «tra il bene e il male» appare sempre più difficile da discernere.
Dal quadro che dipinge viene da immaginarsi la P2 non come una realtà soltanto relegata alla storia. È corretto pensare che questo fenomeno possa essersi adeguato all’attualità?
È corretto, ovviamente tenendo conto delle mutazioni che l’hanno segnato. Quando la P2 fu scoperta, negli anni Ottanta, era proprio l’apice di questo sistema, vedendo al suo interno pezzi di tutte articolazioni dello Stato: vertici delle forze armate, delle forze di polizia, dei servizi, magistrati, ambasciatori, politici, ministri, uomini del Vaticano. Ai tempi vi erano forte caratterizzazioni simboliche che richiamavano un certo esoterismo che poi, col tempo, sono venute meno. Non solo per una fisiologica evoluzione della società, ma anche perché ogni simbolo e ogni elemento estetico era a quel punto più facilmente individuabile. È attualissimo anche il progetto politico della P2: se osserviamo i punti cardine del Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli, ci troviamo di fronte a un assetto verticistico del potere: si ambiva a una Repubblica presidenziale o al premierato e si puntava a un forte ridimensionamento della centralità del Parlamento. Finalità importante era il controllo dei mezzi di comunicazione pubblici e privati, nonché l’eliminazione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, in particolare attraverso la separazione delle carriere. Si voleva inoltre ridurre l’azione di contrasto delle organizzazioni sindacali e criminalizzare il dissenso. Quel tipo di sistema ha attraversato la storia della Repubblica al punto tale che noi ci siamo trovati e ci troviamo ancora di fronte a dei veri e propri “golpe” e depistaggi che non dovrebbero appartenere alla storia di uno Stato democratico.
Per esempio?
Cito tre casi in epoche storiche diverse. Piazza Fontana, 1969, dove lo Stato cerca di attribuire agli anarchici, agli antagonisti, per arginare la lotta di classe, la paternità della strage, quando invece è opera di neofascisti coperti dai servizi. Caso Moro: è evidente che Moro non viene salvato, non viene cercato e ci sono convergenze chiare che puntavano alla fine di Aldo Moro per interrompere il pericolo che un compromesso storico tra la Democrazia cristiana e il Partito Comunista rappresentava, soprattutto per la tenuta del patto euro-atlantico. Per arrivare al depistaggio di Stato sulla strage di via D’Amelio, con la morte di Borsellino e il furto dell’agenda rossa. Non siamo per nulla una democrazia sostanziale ed effettiva, perché questi poteri hanno condizionato in maniera determinante la vita della Repubblica: basti vedere come sono cambiati gli equilibri nel nostro Paese dopo il caso Moro e le stragi del ’92 e ’93.
Lei crede che questi poteri occulti abbiano delle preferenze elettorali? Negli ultimi anni abbiamo visto alternarsi in Italia governi del più vario indirizzo. Tutti hanno in qualche modo dovuto fare i conti con questi poteri o ne hanno addirittura rappresentato gli interessi?
Per quello che ho appurato dalla mia esperienza diretta, il settore politico delle destre e l’universo di parte del PD, perché c’è una medesima consonanza di metodi e di visioni. In generale, però, nessuna forza politica che ha governato ha messo al centro l’obiettivo di ostacolare efficacemente i «poteri occulti», che hanno molte ramificazioni. L’esempio più eloquente è quello della fazione andreottiana della Democrazia Cristiana, referente solida non solo di entità sovranazionali – parliamo degli Stati Uniti e del patto euro-atlantico – ma anche alla mafia. Questi schemi hanno segnato anche il centrosinistra, in particolare il principale partito che ne ha preso le redini dopo la caduta di Berlinguer. Lo prova ad esempio il ruolo avuto in varie vicende cruciali l’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano. Diverso è invece il discorso per le forze estranee a questo sistema, che dovrebbero però avere una propulsione più “antisistema”, che ancora non hanno. Cito in particolare il M5S, che magari, per assenza di conoscenza profonda di queste dinamiche, non ha intrapreso un’azione forte ed efficace nel contrastare quei poteri. Tant’è che ha anche governato con partiti organici a quel sistema (pensiamo al governo Draghi, dove c’era Berlusconi, tessera P2, che ha fondato un partito insieme a Marcello Dell’Utri, condannato per mafia). Siamo molto lontani dal vedere in Parlamento forze che pongono all’ordine del giorno l’obiettivo del contrasto ai «poteri occulti» e quindi la questione morale nella sua esplicitazione più forte.
Quali ritiene siano gli esempi di specifici provvedimenti su cui di recente potrebbe essere stata esercitata l’influenza dei poteri occulti?
Potrei fare molti esempi. Due caratterizzano l’attuale maggioranza: il primo è la cancellazione dell’abuso d’ufficio, gradita più o meno a tutte le forze politiche, perché si toglie un’arma efficace per scardinare gli abusi del potere. E poi il DDL Sicurezza, che in realtà con la sicurezza del popolo non ha nulla a che vedere. È invece un disegno di legge fortemente autoritario, di impronta neofascista, atto a criminalizzare il dissenso, contrastare le opposizioni sociali e rafforzare la sicurezza dell’ordine costituito. E poi la creazione di un modello di magistratura caro pressoché a tutte le forze politiche: ci metto tutte le riforme che si sono succedute negli anni, da quella di Mastella nel 2007 passando per quelle del centro-sinistra, per arrivare alla riforma Cartabia e alla riforma Nordio. Obiettivo comune è la costruzione di un magistrato conformista e burocrate, attento più alla forma che alla sostanza. Insomma, una magistratura indebolita, gerarchizzata, tendenzialmente attenta a non essere sgradita al potere e non disturbare il manovratore. Quel tentativo strisciante di impedire la ricerca della verità e della giustizia il nostro Paese ha attraversato un po’ tutti gli esecutivi, sicuramente dalla scoperta della P2 fino ad oggi.
Questa stretta, che vede nel DDL Sicurezza il suo ultimo tassello, è in atto ormai da tempo e trasversale ai governi che si sono alternati. La repressione nei confronti di chi manifesta, anche in maniera organizzata, il dissenso, è al centro di un progetto?
Assolutamente sì. Io credo che il DDL Sicurezza sia uno dei provvedimenti legislativi più pericolosi che siano stato concepiti dagli anni del terrorismo. È esplicativo il fatto che il sistema occulto consideri come elementi di maggiore preoccupazione la mobilitazione dal basso, il dissenso e le lotte sociali dei giovani movimenti. Essendo stato svuotato il Parlamento di centralità con leggi profondamente antidemocratiche, è chiaro che l’unico pericolo per i rapporti di forza che strutturano l’ordine costituito viene da là.
Nella sua esperienza da magistrato e poi anche da politico – in particolare da sindaco di Napoli – ha subito pressioni da parte di gruppi di potere non democratici?
Certamente. Da PM, le prime indagini sulle massonerie deviate e questo tipo di sistema le ho iniziate quando non avevo ancora 30 anni. Io sono diventato un bersaglio di questi poteri, che hanno agito con “proiettili istituzionali” per fermarmi. Se non faccio più il PM, se fui trasferito dalla Calabria, non è certo per responsabilità diretta della ‘ndrangheta con la coppola e con la lupara, ma esattamente di questo sistema criminale occulto. Da sindaco di Napoli – dove ho messo in campo azioni alternative rispetto al sistema, all’insegna della valorizzazione dei beni comuni – ho trovato nella connessione con le masse popolari un elemento di convergenza, di forza e di unione che ha impedito a quel sistema di isolarmi. Esso ha però agito come agisce con i non allineati, cioè con leggi ad personam. Ci hanno tolto le risorse economiche. Questi poteri hanno agito con violenza: non una violenza fisica, ma istituzionale, politica ed economica. La mia esperienza mi dice che questo sistema si può scardinare solo se si crea una convergenza forte tra le masse popolari che ne prendono coscienza.
Durante il suo mandato, lei ha agito in forte connessione con i movimenti organizzati dell’antagonismo e con i centri sociali. Per questo venne aspramente criticato. Tuttavia, alla luce di quanto sta emergendo in questa intervista, mi sto facendo l’idea che la sua stia stata una scelta politica ragionata e deliberata, come se proprio nell’alleanza tra poteri municipali democratici e i tanto criminalizzati movimenti antagonisti ritenga sia da trovare la chiave per potersi opporre, con forza, ai disegni antidemocratici dei gruppi di di potere che muovono la politica. È così?
In parte sì, ma Napoli è stato anche molto di più. A Napoli riuscimmo a fare emergere un vero e proprio movimento popolare che ha compreso sicuramente i centri sociali, con una convergenza in tanti obiettivi, ma mantenendo ognuno la propria autonomia e non instaurando un rapporto di opaca interdipendenza. Ma hanno partecipato anche i ceti popolari delle periferie e la media borghesia. La nostra è stata un’operazione politica in forte contrapposizione ai poteri forti. Sono stato il sindaco più longevo della storia di Napoli, nonostante avessi all’opposizione PD, 5 Stelle, Italia Viva, Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, insieme a tutti i grandi mezzi di comunicazione e alle più grandi istituzioni regionali e nazionali. Questa connessione con il popolo è però stata talmente forte che non solo ha retto, ma ha trasformato completamente Napoli dalla città della spazzatura e dell’umiliazione alla città del riscatto, dell’orgoglio, dei beni comuni, dei giovani, dei movimenti. È stato un laboratorio costituzionale enorme, dall’acqua pubblica ai porti aperti contro il diktat di chiudere i porti del governo “giallo-verde”, contro l’austerità e a pieno favore dei diritti civili. È il motivo per cui questa esperienza non è stata raccontata, se non da pochi. Perché? Non solo perché non aveva il gradimento di nessun potere, ma perché era considerata potenzialmente “contagiosa”: se Napoli è riuscita a creare tutto questo, si sarebbe potuta realizzare anche in molte altre grandi città.
Quanto crede che sia pervasiva l’influenza dei «poteri occulti» sul sistema informativo, con tutte le conseguenze che possiamo immaginare in Italia?
Moltissimo. Questo nasce chiaramente dalla P2, che lo aveva proprio nel programma, in cui figurava il controllo dei mezzi di comunicazione pubblici e privati. Poi lo abbiamo visto con l’inizio dell’era di Berlusconi e del suo rapporto con Craxi, con la Democrazia Cristiana le leggi che furono approvate. Per arrivare fino ai giorni nostri, con un controllo sempre più forte dei mezzi di comunicazione. Ma vi è anche un’enorme questione che attiene al digitale e a una penetrazione che riguarda smartphone e canali social. Il sistema dei «poteri occulti» nazionali e sovranazionali ha l’interesse a controllare in maniera ferrea il pensiero individuale e collettivo. Un meccanismo che diventa ancor più rigido e pervasivo in questo momento storico, dove attraverso il clima di guerra si giustificano ancora di più tali strette.
Prima la fase pandemica, poi la guerra in Ucraina, viviamo una fase storica in cui sembra normale utilizzare ogni emergenza per giustificare un’ulteriore giro di vite nella criminalizzazione delle voci non solo di opposizione, ma anche solo vagamente dissonanti…
Questa è un’altra tecnica dei poteri che muovono la politica, cioè perpetrare all’infinito le emergenze, lo “stato d’eccezione”. Perché è vero che ci sono delle emergenze, ma se le emergenze le fai diventare croniche poi lo Stato si sente giustificato a utilizzare lo stato di emergenza impiegando poteri eccezionali e derogando alle norme ordinarie. Per dirla in maniera semplice, lo fa con l’obiettivo di avere le “mani libere”.
Risuona quello che ha teorizzato il filosofo Giorgio Agamben, parlando di come l’attualità sia caratterizzata dall’uso di uno stato di eccezione permanente, dove si passa di emergenza in emergenza per giustificare una sospensione del diritto. Ritiene che questo sia funzionale agli interessi criminali?
Assolutamente. È ideato e programmato ed è utile e necessario a quel sistema. Lo stato d’eccezione nel sistema criminale è controllo del denaro pubblico e corruzione che diventa sempre più ingegnerizzata e legalizzata. Per il sistema, esso rappresenta un elemento utilissimo, a vari livelli, per operare e portare avanti i suoi interessi. Lo vediamo anche con il fenomeno del commissariamento che con la scusa dell’emergenza viene assegnato ormai per la gestione di ogni calamità naturale o per la costruzione di opere pubbliche. Un sistema che, con il pretesto di contrastare la burocrazia e velocizzare le opere, si trasforma spesso in una grande abbuffata per il malaffare. Con una confusione indistinta tra controllori e controllati, consulenti, liberi professionisti e colletti bianchi. È un modo di agire proprio del sistema: dove arriva un fiume di denaro pubblico, le regole vengono chiaramente cancellate o affievolite. Si possono mettere “le mani in pasta”. Ma non si fa tutto questo per affrontare un’emergenza e risolverla in tempi brevi: lo si fa per perpetuarla all’infinito.
[di Andrea Legni]
Torino, arrestato il capo della polizia giudiziaria libica
Ieri a Torino è stato arrestato Njeem Osama Elmasry, capo della polizia giudiziaria libica sotto mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale. Secondo fonti mediatiche, l’uomo, accusato di crimini di guerra, sarebbe stato catturato in un albergo su segnalazione della polizia internazionale Interpol e si trovava a Torino in compagnia di altri libici. Elmasry gestiva un centro di detenzione per migranti nella capitale libica, Tripoli, ed era affiliato alle Forze speciali di deterrenza, unità della polizia militare islamica di Tripoli, accusata di violazioni dei diritti umani, specialmente nei centri di detenzione per migranti.
Turchia, incendio in un albergo causa almeno 66 morti
Sono almeno 66 le persone rimaste uccise a causa di un incendio scoppiato nella notte in un hotel presso una stazione sciistica in Turchia, in provincia di Bolu, nell’Anatolia centrale. Lo ha reso noto il ministro dell’Interno turco, Ali Yerlikaya, riferendo che i feriti sono in tutto 51. Il rogo è scoppiato intorno alle 3.30 del mattino nel ristorante del Grand Kartal Hotel di 12 piani, nel resort di Kartalkaya. Le immagini delle televisioni locali hanno mostrato il tetto e gli ultimi piani dell’albergo in fiamme. Gli investigatori stanno indagando sulle cause dell’incendio.
Nell’ultimo provvedimento Biden ha graziato Anthony Fauci
Il presidente uscente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha concesso la grazia preventiva a una serie di persone non ancora oggetto di indagine, ma che il presidente in entrata, Donald Trump, aveva annunciato di voler perseguire una volta salito al potere. Tra questi spicca il nome di Anthony Fauci, ex responsabile della gestione del Covid alla Casa Bianca, che in una testimonianza rilasciata lo scorso anno nel corso di un’udienza aveva ammesso che buona parte delle misure adottate per contenere la pandemia negli Stati Uniti non fossero supportate da alcun criterio scientifico. Con le ultime elargizioni, Biden diventa il presidente che ha concesso più grazie nella storia degli USA, ma la lista delle persone perseguitate e condannate dalla giustizia statunitense rimane ancora lunga e, tra queste, figura ancora il nome di Julian Assange.
L’ultimo atto da presidente di Joe Biden sta già facendo discutere. Ad essere perdonati sono stati nomi particolarmente noti negli USA, che rientravano nella lista nera di Trump: nel corso della sua campagna dell’anno scorso, Trump ha minacciato di perseguire democratici, operatori elettorali, funzionari delle forze dell’ordine, funzionari dell’intelligence, giornalisti, ex membri del suo stesso staff e repubblicani che non lo sostenevano. Tra questi figurava il dottor Anthony Fauci, ex scienziato di riferimento e stretto collaboratore prima di Trump e poi di Biden. Durante la pandemia, Fauci era stato dipinto come una sorta di eroe dai democratici e fortemente criticato dai repubblicani a causa della gestione emergenziale del Covid (sebbene fosse stato proprio Trump, nel gennaio 2020, a nominarlo membro della task-force creata per analizzare e contrastare il diffondersi dell’infezione sul suolo americano). Proprio a Fauci si deve parte della strategia adottata dagli USA contro il Covid-19. E proprio lui, nel corso di un’udienza con la sottocommissione sulla pandemia da coronavirus della Camera statunitense (a guida repubblicana), che indaga sulle origini del Covid e sulla risposta del governo in merito, ha ammesso che le misure adottate per il contenimento della pandemia da Covid-19, quali distanziamento sociale e mascherine, non fossero supportate da alcun criterio scientifico. Nel corso della stessa audizione, Fauci aveva tentato anche di negare la teoria, più volte appoggiata in precedenza insieme al presidente Biden, sulla trasmissione naturale del virus.
Quello della grazia preventiva è un istituto che viene utilizzato raramente negli Stati Uniti, a cui i presidenti hanno fatto ricorso solo in particolari circostanze; con la decisione di Biden, scrivono analisti e commentatori politici, si inaugura l’utilizzo dello strumento come «scudo protettivo» nei confronti di coloro che potrebbero venire perseguiti per motivi di «vendetta politica». La decisione di concedere la grazia preventiva a persone che potrebbero venire perseguite da Trump ha infatti un forte valore politico, specialmente considerando che arriva proprio in occasione dell’Inauguration Day, e potrebbe costituire un precedente per sue future applicazioni.
Con questi ultimi perdoni, Biden ha stabilito il record per il maggior numero di grazie e commutazioni emesse come presidente. Dall’inizio del suo mandato, Biden ha graziato un totale di oltre 8.000 persone. Nelle ultime settimane, ha commutato 37 delle 40 persone pene capitali, trasformandole in ergastoli. La lista di persone che in tanti ritengono essere state punite ingiustamente o in maniera sproporzionata, tuttavia, è ancora lunga. In essa figura anche Julian Assange, che per quanto sia stato liberato è stato condannato per avere violato la legge sull’intelligence statunitense; come ha spiegato Gabriel Shipton, fratello di Assange, a L’Indipendente, la sua condanna costituisce un «pericoloso precedente» da utilizzare in sede giuridica per avviare indagini nei confronti di individui che intendono scoperchiare scomode verità; essa «apre la strada a una potenziale condanna a cinque anni di prigione per chiunque sia colpito da accuse analoghe a quelle che pendevano su di lui», motivo per cui il movimento Free Assange aveva lanciato una campagna per chiedere a Biden di concedere la grazia al giornalista ed editore australiano.
[di Dario Lucisano]
Colombia, il presidente dichiara lo stato di emergenza
Il presidente colombiano, Gustavo Petro, ha dichiarato lo stato di emergenza nella regione del Catatumbo, da giorni al centro di scontri tra i gruppi armati dell’ELN, l’Esercito di liberazione nazionale, e le Forze armate rivoluzionarie colombiane (FARC). L’area interessata dagli scontri contiene la seconda maggiore coltivazione di cocaina del Paese, e il presidente accusa l’ELN di essere al centro di una «transizione dalla guerriglia insurrezionale alle organizzazioni narco-armate». Le violenze sono esplose dopo che Petro ha sospeso i colloqui di pace con l’ELN accusandolo di aver ucciso cinque ex membri delle FARC. In questi cinque giorni, gli scontri hanno causato almeno 100 morti e oltre 20.000 sfollati.
In Italia si voterà per cinque referendum, ma non per l’autonomia differenziata
La Corte Costituzionale ha ufficialmente stabilito su quali temi i cittadini italiani saranno chiamati alle urne in occasione dei referendum popolari del 2025, che si terranno in Primavera. Cinque quesiti, concernenti la cittadinanza per gli extracomunitari e una serie di norme sul lavoro, tra cui l’annullamento di alcuni punti del Jobs Act, hanno ricevuto il via libera, mentre il tema più controverso – l’abrogazione della legge sull’autonomia differenziata – è stato escluso. Lo scheletro della legge era già stato demolito da una sentenza dello scorso novembre della Consulta, che, accogliendo i ricorsi di quattro Regioni, aveva dichiarato incostituzionali alcune norme chiave del provvedimento.
Nonostante le attese, la Corte ha dichiarato inammissibile il referendum sull’autonomia differenziata, che prevede un percorso per trasferire alcune competenze dallo Stato centrale alle regioni. Nel comunicato pubblicato dalla Consulta si legge che «l’oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari». Le motivazioni definitive saranno depositate nei prossimi giorni. Il governo stesso non era fortemente compatto sul sostegno alla legge Calderoli, voluta in particolare dalla Lega. La misura già a novembre 2024 era stata parzialmente bocciata dalla stessa Corte per incompatibilità costituzionali su diversi punti: i giudici hanno infatti ritenuto non conforme alla Carta che i LEP (Livelli Essenziali di Prestazione) vengano stabiliti dal governo, affermando che la materia dovrà essere disciplinata dal Parlamento; incostituzionali, secondo la Corte, sono anche la modifica delle aliquote tributarie con decreto interministeriale e l’uso del criterio della spesa storica per la compartecipazione delle risorse. In una nota, la Consulta aveva spiegato che spetta al Parlamento «colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali». Ora si tornerà in Aula per la riscrittura della legge delega sui LEP.
I cittadini italiani saranno invece chiamati a esprimersi su cinque referendum che toccano temi chiave come il lavoro e l’integrazione. Il primo quesito riguarda il dimezzamento, da 10 a 5 anni, del periodo di residenza legale richiesto agli stranieri maggiorenni extracomunitari per ottenere la cittadinanza italiana. Promosso da +Europa, questo referendum punta ad allineare l’Italia agli standard di altri paesi europei come Francia e Germania, dove il requisito temporale è già di cinque anni. Una misura che darà certamente manforte alla battaglia politica tra l’universo conservatore e quello progressista. Gli altri quattro quesiti, proposti dalla CGIL, si concentrano sul lavoro. Il primo propone di abrogare le norme sui licenziamenti introdotte dal Jobs Act: in particolare, si mira a cancellare la parte che consente alle imprese di non reintegrare un lavoratore licenziato in modo illegittimo nel caso in cui sia stato assunto dopo il 2015. Il secondo quesito punta invece a eliminare il tetto di sei mensilità previsto per le indennità nelle aziende con meno di quindici dipendenti, aumentando le tutele per i lavoratori. Il terzo punto chiede di eliminare alcune restrizioni sui contratti a termine, con l’obiettivo di contrastare la precarietà lavorativa, abrogando alcune parti dell’articolo 19 del Decreto Legislativo 81/2015 (decreto attuativo del Jobs Act) e un articolo del Decreto Lavoro varato nel 2023 dall’attuale esecutivo. L’ultimo quesito interviene sugli infortuni sul lavoro, proponendo di abrogare la norma che, in presenza di appalti o subappalti, esclude la responsabilità solidale dell’impresa committente in caso di infortunio o malattia del lavoratore.
I cinque referendum ammessi si terranno in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno. Potranno partecipare tutte le persone maggiorenni e in possesso della cittadinanza italiana. Per la validità della consultazione referendaria è necessario che si rechino alle urne almeno la metà degli aventi diritto al voto più uno. Il mancato via libera al referendum sull’autonomia differenziata, nel frattempo, ridisegna la battaglia politica sul provvedimento: da un lato, la campagna referendaria avrebbe potuto esacerbare le divisioni all’interno del governo su un tema già di per sé polarizzante. Dall’altro, l’opposizione avrebbe dovuto affrontare la sfida di mobilitare gli elettori, un compito reso arduo dai precedenti: negli ultimi trent’anni, solo i referendum del 2011 hanno raggiunto il quorum del 50% più uno.
[di Stefano Baudino]
I primi 42 decreti presidenziali annunciati da Donald Trump
Alle 18:00 (ora italiana) di ieri, lunedì 20 gennaio, è iniziata la cerimonia di insediamento di Donald Trump. Dopo un discorso di circa mezz’ora, il nuovo presidente degli Stati Uniti ha firmato, come da tradizione, i suoi primi ordini esecutivi per dare avvio al programma politico che guiderà il prossimo quadriennio del Paese. Trump ha promesso una stretta per quanto riguarda l’immigrazione clandestina e la messa in sicurezza dei confini, dichiarando lo stato di emergenza alla frontiera meridionale col Messico, inviandovi l’esercito, e designando i cartelli del narcotraffico come organizzazioni terroristiche; il presidente ha firmato ordini per fare uscire gli USA dagli accordi di Parigi e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, e ha annunciato ufficialmente la messa in atto della politica America First, specialmente in ambito commerciale; ha rilanciato le politiche energetiche incentrate sul fossile per contrastare la neoistituita “emergenza energetica” del Paese e ha varato numerosi altri provvedimenti su temi cari al proprio elettorato. Tra ordini e revoche, all’insegna del MAGA (Make America Great Again), Trump ha mosso i primi passi per realizzare la sua agenda politica, inaugurando la 47esima presidenza degli Stati Uniti.
Nelle sue prime ore da presidente, Trump ha firmato un totale di 42 ordini esecutivi, tra cui rientrano 78 provvedimenti di revoca, sulle questioni più disparate. Uno dei temi maggiormente toccati è quello del contrasto all’immigrazione clandestina e della promozione della politica America First. Trump ha firmato un ordine per escludere il diritto d’asilo per le persone appena arrivate alla frontiera meridionale e per sospendere il programma di ammissione dei rifugiati «fino a quando l’ulteriore ingresso di rifugiati negli Stati Uniti non sarà in linea con gli interessi del Paese». Per contrastare l’arrivo di migranti, Trump ha dichiarato l’attraversamento irregolare del confine emergenza nazionale, mossa che gli consente di sbloccare più finanziamenti per contrastare il fenomeno senza passare dall’approvazione del Congresso. Sempre secondo i suoi ordini esecutivi, il nuovo modello di gestione dovrebbe imporre ai migranti di attendere al confine che la loro richiesta venga esaminata da un giudice per l’immigrazione. Trump ha inoltre varato un ordine per designare i cartelli del narcotraffico e altre organizzazioni come organizzazioni terroristiche straniere.
In ambito migrazioni e America First Policy, Trump ha cominciato a muovere i primi passi per abolire lo ius soli. Essendo tuttavia tale diritto costituzionale, non è chiaro come il presidente intenda negare l’accesso alla cittadinanza per nascita. Il presidente è poi tornato ad accanirsi su Cuba, annullando l’ordine di Biden che escludeva il Paese tra gli sponsor del terrorismo, e, come promesso nel corso dell’ultima conferenza stampa, ha cambiato il nome al Golfo del Messico in Golfo d’America. Revocate, inoltre, le sanzioni ai coloni israeliani in Cisgiordania. Sul fronte interno, Trump ha varato diversi regolamenti relativi alle assunzioni federali e perdonato circa 1.500 persone coinvolte nell’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Il presidente ha firmato diversi ordini contro la comunità LGBT, cancellando i programmi federali di diversità e inclusione, rimuovendo le protezioni per le persone transgender nelle carceri federali e promulgando un regolamento che riconosce solo due generi.
Alcuni degli ordini più importanti firmati da Trump sono quelli relativi alle politiche commerciali, energetiche e ambientali. In ambito commerciale, il presidente ha gettato le prime basi per l’imposizione di dazi sui prodotti esteri, incaricando le agenzie federali di avviare un’indagine sulle pratiche commerciali estere, con particolare attenzione a Cina e Canada. Trump ha poi richiesto una valutazione della fattibilità della creazione di un “Servizio delle entrate esterne” per riscuotere tariffe e dazi, nonché una revisione completa della base industriale e manifatturiera degli Stati Uniti. Le questioni di ambiente ed energia, invece, sono spesso intersecate. Trump ha ritirato gli USA dagli accordi di Parigi, il patto internazionale per combattere il cambiamento climatico, dichiarato un’emergenza nazionale sull’energia, così da sbloccare più fondi in modo analogo a quanto fatto per il tema dell’immigrazione clandestina, e aperto l’Alaska a più trivellazioni.
Riguardo ad ambiente ed energia, il presidente ha anche gettato le basi per revocare diverse norme introdotte dal suo predecessore. In cima alla lista appare il divieto di trivellazione sui 625 milioni di acri di acque federali recentemente promosso da Biden. Questo divieto è seguito dalle norme interne sulle auto, gli elettrodomestici, i programmi di giustizia ambientale e dai regolamenti che impongono restrizioni all’uso di combustibili fossili. Trump ha infine ordinato il riavvio delle revisioni dei nuovi terminali di esportazione per il gas naturale liquefatto e l’interruzione delle concessioni delle acque federali per i parchi eolici offshore.
[di Dario Lucisano]