lunedì 29 Aprile 2024

La Tunisia sta ripiombando nella dittatura

Le ‘primavere arabe’, come furono ribattezzate le ondate di rivolte che stravolsero il Nord Africa e il Medio Oriente all’alba dello scorso decennio, ebbero il loro primo impeto di vita tra le strade tunisine, quando il 17 dicembre del 2010 un giovane venditore di frutta, Mohamed Bouazizi, stanco dei ripetuti abusi subiti dalle autorità, si diede fuoco davanti alla polizia che gli aveva appena confiscato il banchetto. Se in molti dei Paesi interessati le proteste furono rapidamente manipolate dalle potenze occidentali per i loro scopi (Libia, Siria, Iran) e in altri alle rivoluzioni seguirono rapidamente controrivoluzioni autoritarie (Egitto), la Tunisia per lungo tempo ha rappresentato il volto riuscito di quella stagione e alla dittatura rovesciata dalla sollevazione popolare è seguito un periodo di effettiva democrazia. Ma negli ultimi anni il Paese ha cominciato a ricadere in una spirale di autoritarismo, che il presidente Kais Saied – in carica dal 2019 – sta tramutando in una vera dittatura.

Mohamed Bouazizi
Mohamed Bouazizi

La sua morte accese in tutti gli altri tunisini – e nel resto del mondo arabo – una rabbia tale da spingerli a mobilitarsi per destituire i regimi autoritari al potere, tra cui quello nazionale, guidato dal Presidente militare Ben Ali, in carica dal 1987. Anche se la Tunisia sembrò quella più in grado di portare avanti stabilmente il regime democratico conquistato con la lotta di piazza, il peggioramento delle condizioni economiche e l’arrivo nel 2019 del nuovo Presidente, Kais Saied, ha pian piano consumato ogni aspettativa.

Un processo di deterioramento che in realtà si è protratto in maniera piuttosto lenta, e per lunghi anni, principalmente innescatosi perché i Governi eletti liberamente – non accadeva dal 1956 – succedutisi dal 2011 in poi non sono stati in grado di far fronte alle profonde ferite del Paese – tra cui disuguaglianze sociali e corruzione -, ‘tradendo’ la fiducia riposta dai tunisini nella democrazia. Tant’è che molti di loro definirono quest’ultima «sinonimo del collasso dello Stato», visto che, anziché risolversi, molti dei problemi si inasprirono ulteriormente: calò il PIL, la disoccupazione toccò cifre record, aumentò l’inflazione e così via. Una situazione per cui nel 2016 il Primo Ministro tunisino Habib Essid fu costretto a dimettersi.

L’apice si raggiunse però nel 2019 con l’elezione del populista e attuale Presidente Kais Saied, un professore di diritto costituzionale senza alcuna esperienza politica, a cui toccò prendere in mano un Paese già sull’orlo del precipizio. Una condizione che le sue scelte future hanno ulteriormente portato allo stremo. La sua politica, che si pensava fosse meno corrotta perché nuova e priva di precedenti, si è invece principalmente concentrata ad arginare o eliminare del tutto le libertà e i traguardi raggiunti dopo la Primavera araba. Ne è un esempio quello che Saied fece il 25 luglio del 2021, quando con quello che gli oppositori definirono un colpo di stato, rimosse dal suo incarico il primo ministro e si assegnò tutti gli incarichi di Governo, imponendosi di fatto come unico leader autocrate. Successivamente andò anche oltre, sciogliendo il Consiglio superiore della magistratura, limitando l’autonomia del potere giudiziario e, soprattutto, cambiando la Costituzione in vigore con un referendum.

Protesta in Tunisia
Protesta in Tunisia

Quella nuova, scritta da un gruppo di esperti incaricati dallo stesso Saied ed entrata in vigore nell’estate del 2022, ha sostituito quella redatta dopo la Primavera araba del 2011, e per questo portatrice di un grande valore simbolico. Adottata nel 2014, dopo due anni di discussioni, la vecchia Costituzione, tra le varie direttive, riduceva i poteri del Presidente, aumentando invece quelli di parlamento e magistratura, garantendo inoltre il diritto e la libertà di espressione. Tutti elementi che nella nuova ‘carta’ non compaiono più, e che invece hanno lasciato il posto all’aumento dei poteri del Presidente che, in poche parole, può tutto senza l’opposizione di nessuno, in uno scenario simile a quello proposto da Ben Ali.

E, ovviamente, qualsiasi forma di dissenso finisce per essere messa a tacere, nel migliore dei casi con il carcere. Sono finiti in cella anche importanti oppositori politici, giornalisti e magistrati: la repressione di Saied non risparmia nessuno.

Tensione sociale alle stelle

La difficile condizione politica in cui verte il Paese è aggravata dalle frequenti e continue tensioni sociali -che in realtà si trascinano dai tempi di Ben Ali – acuite dallo scoppio della guerra in Ucraina. Quest’ultima ha catapultato la Tunisia in una crisi finanziaria senza precedenti, tant’è che c’è stato anche un tentativo di negoziare un prestito da due miliardi di dollari con il Fondo monetario internazionale (FMI), attualmente però in stallo per le mancate garanzie offerte e la non volontà di Saied di scendere a compromessi.

Motivo per cui la Banca centrale tunisina, per far fronte alla situazione, si è mossa come ha potuto: aumentando, ad esempio, i tassi di interesse all’8%. Mentre Sied, per rinvigorire le entrate dello Stato, ha approvato una legge finanziaria che aumenta le tasse ai cittadini, già messi in ginocchio. Tutte misure molto criticate e che non risolvono il problema gli scaffali vuoti. Nel Paese infatti mancano ormai da mesi beni di prima necessità tra cui il latte, e anche il petrolio è difficile da trovare. A questo si aggiunge il tasso di disoccupazione, ormai superiore al 15% e il debito pubblico che copre la quasi totalità del PIL.

I migranti come capro espiatorio per le masse

Dalla Tunisia scappano i turisti, ma scappano pure residenti e i migranti. Questi ultimi sono stati utilizzati da Saied come capro espiatorio nell’eterno tentativo delle élite di veicolare l’odio delle masse verso il basso al fine di manipolarle. Il 21 febbraio scorso Kais Saied, ha pronunciato un discorso piuttosto violento, rivolto alla comunità di migranti subsahariani presente sul territorio, accusandola di «portare in Tunisia violenza, crimine e altre pratiche inaccettabili». Saied ha inoltre insinuato che l’arrivo di «orde di immigrati illegali fa parte di un progetto di sostituzione demografica per rendere la Tunisia un Paese unicamente africano, che perda i suoi legami con il mondo arabo e islamico». Un concetto che riprende quella teoria della “grande sostituzione” cara all’estrema destra occidentale.

La strategia di Saied ha funzionato ed hanno alimentato prontamente alcune aggressioni a danni di migranti africani nelle strade. La polizia ha lasciato fare, ed anzi ha partecipato alla repressione dei rifugiati. Le forze dell’ordine hanno arrestato decine di migranti trovati senza documenti e persone originarie dell’Africa subsahariana sono state improvvisamente sfrattate dalla casa che abitavano in affitto. La situazione si è fatta così insicura che Guinea e Costa d’Avorio hanno organizzato voli di rimpatrio per i propri connazionali.

[di Gloria Ferrari]

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