mercoledì 25 Giugno 2025

Nel MAGA di Trump si intravedono le prime crepe interne

Il movimento MAGA (Make America Great Again), pilastro della politica di Donald Trump, sta iniziando a far emergere le prime crepe interne. Dopo la burrascosa uscita di scena di Elon Musk, la crisi in Medio Oriente e l’attacco all’Iran hanno fatto montare malumore che sembra crescere sempre di più tra le file dei sostenitori del presidente. Così, critiche sempre più forti arrivano da ex consiglieri (come Steve Bannon) e personalità politiche (come i rappresentanti della Camera Marjorie Taylor Greene o Thomas Massie), oltre che da personaggi pubblici quali il giornalista Tucker Carlson. Trump, in tutta risposta, ha deciso di scartare le vie diplomatiche, rispondendo a tono a tutte le critiche che arrivano dall’interno del suo stesso movimento. Gli scricchiolii all’interno del MAGA sono così sempre più forti.

Le tensioni interne sono esplose con virulenza in questi giorni, catalizzate dalla crisi in Medio Oriente e dall’attacco all’Iran, e stanno colpendo duramente rischiando di spaccare la base e la leadership conservatrice. La retorica intransigente e la gestione “solitaria” di Trump, un tempo punti di forza, si stanno rivelano ora catalizzatori di un malcontento crescente che, dopo la ben nota diatriba con Elon Musk, sta intaccando le fondamenta del suo stesso movimento. Alcuni tra coloro che hanno difeso il presidente nello scontro col miliardario a capo di Tesla oggi lo criticano: Steve Bannon, per esempio, ha dichiarato sul suo podcast che l’attacco all’Iran potrebbe non essere stata una decisione corretta rispetto al volere della piattaforma MAGA, mettendo in dubbio la decisione rispetto alla lealtà e alla coerenza con quanto annunciato in campagna elettorale rispetto alle relazioni internazionali e le continue guerre statunitensi.

Il caso più eclatante di questa frattura interna al movimento è lo scontro con Tucker Carlson. Già critico nei confronti di Trump per il cieco sostegno a Israele (aveva definito Trump «complice» quando Israele ha aggredito l’Iran), Carlson ha adesso espresso tutta la sua disapprovazione per il bombardamento statunitense sulle centrali atomiche iraniane. Trump ha risposto con un post sul suo social Truth, definendolo «pazzo». Pochi giorni prima, Carlson aveva inoltre invitato al suo programma Ted Cruz, senatore repubblicano, ultraconservatore reazionario della destra cristiana religiosa e falco della guerra all’Iran. Nel corso della trasmissione, Carlson ha rivolto a Cruz una lunga serie di domande sull’Iran, alle quali il senatore non ha saputo rispondere. Al che, Carlson gli ha domandato: «Tu vuoi bombardare un Paese di cui non sai niente?».

Persino Alex Jones, figura controversa ma influente per una parte della base MAGA, che aveva in precedenza già avanzato critiche definendo il piano di deportazione di Trump «davvero brutto», ha preso le difese di Carlson e della sua posizione rispetto all’Iran. Questo indica che il dissenso si sta allargando anche a figure che, per la loro natura anti-establishment, sarebbero teoricamente allineate con le posizioni più estreme di Trump. E il dissenso non è solo fuori, sugli schermi e nei canali che la base di Trump segue. Anche all’interno del Congresso c’è chi pone delle critiche pesanti. Marjorie Taylor Greene, altra fedele del MAGA, rappresentante della Camera, ha difeso pubblicamente Carlson e ha scritto un lungo post su X in cui criticava l’attacco statunitense, il cui inizio dice: «Non conosco nessuno in America che sia stato vittima dell’Iran». La scorsa settimana, il rappresentante repubblicano Thomas Massie aveva annunciato, insieme a diversi democratici, di aver introdotto una risoluzione bipartisan sui poteri di guerra affiché fosse necessaria l’autorizzazione del Congresso per ogni atto ostile nei confronti dell’Iran. Il 22 giugno Trump ha risposto a Massie attraverso un lungo post su Truth in cui lo ridicolizza e lo discredita.

Questa divisione non è una semplice sfumatura di opinione, ma una discordanza strategica e ideologica che mette in discussione la coesione di un fronte che ha sempre fatto della compattezza il suo punto di forza. Le ragioni di questa frattura sono molteplici e complesse. Da un lato, c’è una base isolazionista e America First che, pur sostenendo Trump, si sente tradita da un coinvolgimento percepito come eccessivo nella crisi mediorientale. Per questa parte di base le priorità dovrebbero rimanere interne, e ogni deviazione da questo principio viene vista come un tradimento degli ideali MAGA. Dall’altro lato, la personalità di Trump, la sua propensione a decisionsi improvvisate e la sua insofferenza verso il dissenso, stanno logorando la pazienza anche di alleati storici. Il fronte MAGA, un tempo granitico, sta mostrando crepe significative.

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Michele Manfrin

Laureato in Relazioni Internazionali e Sociologia, ha conseguito a Firenze il master Futuro Vegetale: piante, innovazione sociale e progetto. Consigliere e docente della ONG Wambli Gleska, che rappresenta ufficialmente in Italia e in Europa le tribù native americane Lakota Sicangu e Oglala.

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