La guerra in Medio Oriente non si combatte soltanto con i bombardamenti incessanti, ma si consuma ogni giorno anche su Instagram, X e TikTok. È sui social che Israele ha aperto un fronte parallelo: un campo di battaglia mediatico fatto di immagini patinate, reel virali e slogan confezionati, dove influencer e volti noti vengono arruolati per esaltare il “diritto alla difesa” di Tel Aviv e cancellare sistematicamente il massacro dei civili palestinesi. Questa macchina della propaganda bellica, studiata per manipolare e orientare i contenuti online in modo da smentire il genocidio e legittimare la repressione, trova terreno fertile e amplificatori anche in Italia.
Un esempio lampante è quello di Andrea Lombardi, costretto dopo essere stato sommerso dagli insulti e dopo una presunta rimozione da parte YouTube per hate speech, a chiedere “scusa” al pubblico e a cancellare la diretta di quasi due ore, intitolata La bella vita a Gaza? Te la faccio vedere…, in cui negava che Gaza fosse ridotta in polvere (si tratterebbe a suo dire di sabbia), sosteneva che i palazzi siano ancora in piedi e paragonava la Striscia a Napoli. Lo youtuber si spingeva a dichiarare che «non è vero che la popolazione sta morendo di fame», echeggiando così le parole di Netanyahu quando derubricò a fake news la fame a Gaza. Lombardi aveva rilanciato su Instagram e X anche un breve reel con il profilo di un presunto locale, il “Lava Café” di Gaza City: interni eleganti, dolci succulenti e cappuccini decorati. Tra risatine, parolacce e battute di dubbio gusto, minacciava di «far andare di traverso il caffè a tanta gente» e prometteva di smontare “i pregiudizi” di chi non vuole vedere “la realtà”. La tesi era tanto semplice quanto fuorviante: se il locale esiste, allora Gaza non è in emergenza e la narrazione di fame e distruzione sarebbe una mera messinscena.
Coloro che hanno condiviso il profilo di Lava Cafè in Italia e nel resto del mondo ignorano volutamente dati e contesto: secondo OCHA e OMS, a Gaza oltre il 90% della popolazione soffre di insicurezza alimentare acuta, i casi di malnutrizione infantile sono in vertiginoso aumento e centinaia di civili muoiono ogni settimana sotto raid, bombardamenti e fame. La stampa internazionale, le Nazioni Unite, l’OMS e le principali ONG descrivono Gaza come una «fossa comune per i palestinesi e per coloro che accorrono in loro aiuto»: un luogo disumano, dove procurarsi il cibo è ormai “come gli Hunger Games”. È dentro questo quadro di assedio totale, che c’è ancora chi dubita della catastrofe umanitaria e dell’emergenza sanitaria, condividendo le teorie del complotto orchestrate da Gazawood o Pallywood, o minimizzando le immagini atroci che arrivano quotidianamente dalla Striscia.
Sul caso specifico del Lava Café, peraltro, le incongruenze abbondano. L’account @lava.cafe.official, creato nel 2024, ha poche decine di post, nessun legame con pagine locali indipendenti e non fornisce indirizzo, numero di telefono o licenza. I video su Instagram mostrano solo interni, senza un singolo elemento urbanistico riconoscibile, mentre in un video su Facebook datato 11 maggio 2025, in cui si mostrerebbe la ristrutturazione del locale, si intravedono dei palazzi e delle tende nel luogo in cui sarebbe situato il locale, senza definire, però, il periodo esatto in cui sarebbero state realizzate le riprese. Le immagini non hanno geotag precisi e si limitano al toponimo generico «مفترق الإتصالات» («Incrocio delle Telecomunicazioni»). La presunta collocazione «di fronte alla Scuola Americana» è inverosimile: la American International School in Gaza è sempre stata a Beit Lahia, nel nord della Striscia, ed è stata bombardata nel 2009. Non esiste un’università americana a Gaza: l’AAUP ha sede in Cisgiordania.
La visibilità del profilo sembra alimentata da un circuito di rilanci provenienti in gran parte da account filoisraeliani o da utenti fuori dalla Striscia. Nessuna testimonianza locale, nessuna recensione su piattaforme di geolocalizzazione. Anche l’analisi delle immagini satellitari disponibili su Google Earth, concentrata sull’area di Sheikh Zayed, non consente di confermare attualmente l’esistenza del locale: i danni della guerra, la densità edilizia e l’assenza di etichette nei layer pubblici rendono impossibile l’identificazione visiva. Tutto questo colloca il Lava Café in un terreno scivoloso: non è detto che sia una messinscena, ma il modo in cui viene usato è funzionale a un’operazione di framing ben precisa. È persino probabile che i video e le immagini siano reali, ma precedenti ai bombardamenti e che siano stati condivisi successivamente spacciandoli per attuali, così come è possibile che possa costituire un baluardo di resistenza morale di chi prova a sopravvivere ancora oggi in mezze alle macerie. La propaganda, invece, rovescia, banalizza e decontestualizza, facendolo diventare una “prova” per negare la sofferenza. Il profilo del locale è rimbalzato, infatti, su X su account apertamente sionisti che si spacciano per agenzie di stampa, ma diffondono contenuti falsi, e da profili anonimi, come quello di @persianjewess, che cita casi simili, di locali come Shagaf Cafe a Khan Younis per sostenere che la narrazione della carestia sia un “inganno”, avvalorando l’ipotesi che il Lava Café possa essere un espediente simile per minimizzare la crisi umanitaria in corso.
Il caso del Lava Café rappresenta il classico esempio di propaganda sporca: non si nega apertamente la tragedia, ma si propongono immagini di apparente normalità per insinuare che le testimonianze di sofferenza siano gonfiate o false. È una Gazawood invertita: la fabbricazione di una normalità sospetta per erodere la percezione della catastrofe. Che il locale esista o meno, è un elemento secondario. Nel conflitto mediatico, il Lava Café è diventato un costrutto narrativo, un dispositivo retorico per riscrivere i fatti e confezionare un universo parallelo in cui i palestinesi sorseggiano cappuccini come in un quartiere chic occidentale. Brandire le immagini di un locale per cancellare il genocidio in corso è un atto ideologico e disumano, che cancella la verità e legittima la violenza e i sanguinari piani di conquista e di distruzione di Israele.
Gentile redazione,
anzitutto grazie per la risposta;
se si vuole contestare una narrazione forse sarebbe opportuno non focalizzarsi esclusivamente su un punto (Lava Cafè) quando ne sono stati mostrati tanti altri, tanto più se la narrazione riguarda proprio il tenore di vita di una parte di Gaza e la controparte porta numerosi esempi di esercizi commerciali di somministrazione di cibo aperti.
L’articolo a differenza di quanto affermato, contiene opinioni personali quali ad esempio: “La tesi era tanto semplice quanto fuorviante: se il locale esiste, allora Gaza non è in emergenza e la narrazione di fame e distruzione sarebbe una mera messinscena”. Non è ciò che si lascia intendere e Lombardi ha proprio affermato di non negare l’esistenza di fame e distruzione.
Sulla questione delle scuse direi di sorvolare; ha chiaramente detto di non scusarsi per i contenuti di quanto affermato ma per il solo fatto di averlo detto in un contesto di censura.
Ad ogni modo a me non interessa nulla di Lombardi, ma di come lavora il giornale presso cui mi informo.
Se fate un articolo anti fake news di questo genere avete il dovere di spiegarmi perchè esistono questi posti o se non esistono me li dovete smontare uno ad uno.
A questo punto dato che ritenete di aver lavorato in modo rigoroso potreste cortesemente approfondire rispondendo quantomeno a queste domande?
– Gaza è fatta di sole macerie o esistono locali aperti e aree della striscia dove rimane un tenore di vita umano e dignitoso? E in caso affermativo perchè?
– Visto che il vostro compito è quello di “informare con rigore, distinguendo i fatti dalle narrazioni fuorvianti” potete dirmi se i locali citati nel video sono tutt’ora esistenti e in attività o se sono stati distrutti dai bombardamenti?
– I locali menzionati nel video esistono o sono frutto della propaganda? Sono attualmente aperti o sono stati distrutti dai bombardamenti?
La cosa triste è che siamo dalla stessa parte, ma non mi piace l’idea che il mio giornale di riferimento, su questa questione, sia l’altra faccia di Libero o del Giornale o di qualche altra marca di carta igienica.
Grazie per l’attenzione
Enrico
Buongiorno, chiedo la rimozione di questo articolo dall’indipendente, dal momento che ritengo non soddisfi gli standard minimi di rigore e imparzialità di questo giornale. Un articolo condito di così tanti giudizi personali, soprattutto nella sezione anti fake news, a mio avviso danneggia la credibilità del giornale.
Io ho visto il video di Lombardi e:
– non ha mostrato solamente il cafè citato nell’articolo ma ne avrò visti una decina, TUTTI GEOLOCALIZZATI;
– ha mostrato immagini che collocavano i vari pub anche in prossimità di macerie (non negando quindi ciò che sta accadendo);
– non ha mai negato che vi fosse distruzione e povertà nella Striscia ma ha voluto mostrare una realtà che almeno io non avevo mai avuto modo di riscontrare e che l’articolo “anti fakenews” non ha smontato;
– non si è mai scusato con i follower per la bontà dei contenuti pubblicati (come lascia intendere l’articolo).
– il video era stato rimosso effettivamente dal canale per hate speech.
Vorrei una risposta su quanto scritto. Qui non è una questione ideologica, ma di fiducia e indipendenza.
Grazie
Enrico
Gentile Enrico,
l’articolo in questione si focalizza esclusivamente sul caso Lava Cafè (come esplicitato già dal titolo), attenendosi a fonti verificabili e con l’obiettivo di chiarire un’operazione di comunicazione di respiro internazionale che ha avuto grande risonanza sui social. Tale narrazione, tuttavia, non rispecchia in modo equilibrato la realtà della Striscia di Gaza e rischia di minimizzare la tragedia in corso.
Il pezzo non contiene opinioni personali e non nega l’esistenza di altri locali mostrati nel video, che non erano oggetto dell’articolo. Ci siamo limitati a evidenziare come la rappresentazione proposta fosse parziale e priva di contesto: la normalità suggerita da quelle immagini (anche ammesso siano reali e attuali) non corrisponde alla gravità della crisi umanitaria documentata da inchieste e fonti internazionali.
Nel video di Lombardi viene detto: “Forse la distruzione non è proprio assoluta come ci viene spacciata”, “forse non è proprio vero che tutta la popolazione stia morendo di fame” facendo poi riferimento a una propaganda che manipolerebbe la narrazione su Gaza, esacerbandola: “Chi è in altri termini il vero potente che è in grado di influenzare la realtà e piegare i media a suo favore?”. Il sottotesto è chiarissimo: se il Lava Cafè esiste, allora Gaza non è in emergenza. È, infine, indubitabile che nel video successivo Lombardi chieda “scusa” seppure in modo sarcastico al pubblico (“Mettendo insieme questi principi non posso che fare abiura, pentirmi di ciò che ho fatto e chiedere scusa quindi a tutti quelli che devo aver evidentemente offeso con le mie parole”).
Il nostro impegno resta quello di informare con rigore, distinguendo i fatti dalle narrazioni fuorvianti che rischiano di oscurare la portata di eventi drammatici.
Cordiali saluti,
La redazione de L’Indipendente
Gentile redazione,
anzitutto grazie per la risposta;
se si vuole contestare una narrazione forse sarebbe opportuno non focalizzarsi esclusivamente su un punto (Lava Cafè) quando ne sono stati mostrati tanti altri, tanto più se la narrazione riguarda proprio il tenore di vita di una parte di Gaza e la controparte porta numerosi esempi di esercizi commerciali di somministrazione di cibo aperti.
L’articolo a differenza di quanto affermato, contiene opinioni personali quali ad esempio: “La tesi era tanto semplice quanto fuorviante: se il locale esiste, allora Gaza non è in emergenza e la narrazione di fame e distruzione sarebbe una mera messinscena”. Non è ciò che si lascia intendere e Lombardi ha proprio affermato di non negare l’esistenza di fame e distruzione.
Sulla questione delle scuse direi di sorvolare; ha chiaramente detto di non scusarsi per i contenuti di quanto affermato ma per il solo fatto di averlo detto in un contesto di censura.
Ad ogni modo a me non interessa nulla di Lombardi, ma di come lavora il giornale presso cui mi informo.
Se fate un articolo anti fake news di questo genere avete il dovere di spiegarmi perchè esistono questi posti o se non esistono me li dovete smontare uno ad uno.
A questo punto dato che ritenete di aver lavorato in modo rigoroso potreste cortesemente approfondire rispondendo quantomeno a queste domande?
– Gaza è fatta di sole macerie o esistono locali aperti e aree della striscia dove rimane un tenore di vita umano e dignitoso? E in caso affermativo perchè?
– Visto che il vostro compito è quello di “informare con rigore, distinguendo i fatti dalle narrazioni fuorvianti” potete dirmi se i locali citati nel video sono tutt’ora esistenti e in attività o se sono stati distrutti dai bombardamenti?
– I locali menzionati nel video esistono o sono frutto della propaganda? Sono attualmente aperti o sono stati distrutti dai bombardamenti?
La cosa triste è che siamo dalla stessa parte, ma non mi piace l’idea che il mio giornale di riferimento, su questa questione, sia l’altra faccia di Libero o del Giornale o di qualche altra marca di carta igienica.
Grazie per l’attenzione
Enrico