Oltre 1.600 scienziati europei hanno firmato una lettera aperta, promossa da Scientists for Future Austria, per chiedere alla Commissione europea un aumento deciso dei fondi per la biodiversità nel prossimo Quadro finanziario pluriennale. Attualmente, oltre l’80% degli habitat dell’Unione è in condizioni «cattive» o «scadenti». Il divario stimato tra le necessità e gli stanziamenti è di 19 miliardi di euro l’anno. L’obiettivo UE di destinare il 10% del bilancio alla biodiversità entro il 2027 appare difficile da raggiungere. Senza nuovi investimenti, affermano i firmatari, saranno compromessi gli impegni del Green deal e la resilienza economica dell’Europa.
L’appello arriva mentre l’Unione europea si prepara a pubblicare, il 16 luglio 2025, la prima bozza del prossimo Quadro finanziario pluriennale (Qfp), che stabilirà le priorità di spesa dell’Ue per il periodo 2028–2034. «Sebbene il QFP 2021-2027 abbia segnato un passo avanti – si legge nella lettera – la biodiversità riceve ancora solo una frazione del bilancio dell’UE. Attualmente, il 6 per cento del bilancio dell’UE sostiene obiettivi relativi alla biodiversità, compresi i finanziamenti del piano di ripresa NextGeneration EU. L’UE si era impegnata ad aumentare questa quota al 7,5 per cento nel 2024 e ulteriormente al 10 per cento entro il 2026-2027». Eppure, il divario tra risorse disponibili e necessità resta ampio: «gli attuali livelli di spesa rimangono ben al di sotto di quanto necessario per colmare il deficit di finanziamento e persino l’obiettivo di finanziamento del 10 per cento sarà difficile da raggiungere», scrivono gli scienziati. Mancano infatti all’appello 19 miliardi di euro l’anno.
Secondo gli scienziati, l’attuale mancanza di risorse destinate alla protezione degli ecosistemi compromette gli obiettivi del Green Deal europeo, la sicurezza alimentare e la resilienza dell’Europa di fronte a crisi future. Nonostante una maggiore consapevolezza politica, la biodiversità resta fortemente sottorappresentata nel bilancio Ue. L’80% degli habitat europei è in condizioni «cattive» o «scadenti» e il degrado degli ecosistemi intacca i servizi essenziali da cui dipendono l’agricoltura, l’approvvigionamento idrico, la protezione dal clima estremo e il benessere umano. Il World Economic Forum stima che oltre la metà del PIL globale dipenda in larga parte dalla natura, mentre la perdita di biodiversità figura al secondo posto tra i rischi globali a lungo termine nel suo Global Risks Report 2025. Per gli scienziati, un mancato intervento non solo aggraverebbe il collasso ecologico, ma metterebbe a rischio la stessa competitività futura dell’Unione.
Dato il contesto, gli studiosi chiedono alla Commissione un cambio di rotta urgente. Tra le altre misure, si sollecitano «finanziamenti dedicati e ben finanziati per la biodiversità nel prossimo QFP e una continuazione del programma LIFE, con una destinazione chiara e indipendente, distinta dalla spesa generale per l’ambiente o il clima», «soglie di spesa per la biodiversità nei piani di investimento nazionali» e «requisiti rigorosi basati sulle prestazioni che includano risultati positivi per la natura per i grandi investimenti, in particolare infrastrutturali». Si chiede inoltre la piena attuazione di un principio rafforzato di «non arrecare danno significativo» in settori specifici e il «blocco dei fondi in caso di violazione del principio, insufficiente attuazione del diritto ambientale dell’UE o violazione degli obiettivi e delle tappe fondamentali della politica ambientale». In ultimo, si chiede «l’istituzione di un Fondo dedicato al Ripristino della Natura» e garanzie affinché «i finanziamenti dell’UE per lo sviluppo strategico non vadano a scapito delle aree protette, della connettività ecologica o della salute degli ecosistemi a lungo termine».
Uno studio pubblicato l’anno scorso su Nature ha identificato nella perdita di biodiversità la principale causa ambientale che favorisce la diffusione e la pericolosità delle malattie infettive. La ricerca, una vasta meta-analisi basata su 2.938 osservazioni relative a 1.497 combinazioni ospite-parassita in quasi tutti i continenti, mostra che tra i principali fattori di cambiamento globale, la scomparsa di specie è quella che più aumenta il rischio epidemico. Seguono, in ordine d’impatto, i cambiamenti climatici, l’inquinamento chimico e l’introduzione di specie aliene. I ricercatori hanno sottolineato che molti fattori ambientali sono interconnessi: ad esempio, i cambiamenti climatici e l’inquinamento contribuiscono alla frammentazione degli habitat, aggravando così la perdita di biodiversità e, di conseguenza, il rischio di nuove epidemie.