Recentemente, Amnesty ha pubblicato l’annuale rapporto sui diritti umani nel mondo. Il documento analizza lo stato in cui versano i diritti in 150 diversi Paesi del pianeta, sottolineando «l’insinuarsi di pratiche autoritarie e le feroci repressioni contro il dissenso». Quest’anno, a ricevere un posto d’onore nella trattazione, è quello che Amnesty definisce «Effetto Trump», ossia quella «campagna contro i diritti umani» portata avanti dall’amministrazione del presidente statunitense attraverso il sostegno indiscriminato allo Stato di Israele e alle grandi aziende finanziarie, nonché mediante il trattamento che riserva a migranti e minoranze. Tra guerre e genocidi, discriminazione delle minoranze e repressione del dissenso, i diritti umani nel mondo stanno entrando in una vera e propria «crisi» nella maggior parte dei Paesi analizzati, tra cui anche nella stessa Italia.
Conflitti armati e rispetto del diritto internazionale

Una delle principali cause della regressione dei diritti umani sono le guerre, i genocidi e i conflitti armati sparsi per il mondo. Nella maggior parte dei conflitti citati (tra cui figurano Gaza, Birmania, Repubblica Democratica del Congo, Sudan), infatti, i civili sono stati privati dei diritti all’istruzione, al cibo, a un alloggio adeguato, all’assistenza sanitaria e alla sicurezza. Nel 2024, guerre e conflitti hanno portato a «un’impennata» dei casi di violenza sessuale e di genere legata al conflitto, con un «impatto sproporzionato» su donne e ragazze. Il caso di Gaza, in questo, è forse uno dei più emblematici, poiché violenze, abusi e privazioni dei diritti fondamentali si configurano come un vero e proprio genocidio, e i crimini assumono i tratti della discriminazione razziale. Come a Gaza, anche in Birmania il «razzismo sistemico» la fa da padrone, di fronte a una sempre più disinteressata risposta politica internazionale.
«Mentre in alcuni casi i meccanismi di giustizia internazionale hanno compiuto importanti passi avanti verso l’accertamento delle responsabilità», si legge infatti nel rapporto, «i governi potenti hanno ripetutamente bloccato i tentativi di adottare azioni significative per porre fine alle atrocità». USA, Regno Unito e molti Stati dell’UE, continua il rapporto «hanno pubblicamente appoggiato le azioni compiute da Israele a Gaza», facendo, nel caso degli Stati Uniti, un «ricorso improprio» al diritto di veto in sede di Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La soluzione, scrive Amnesty, è riformare tale istituzione, «in modo che gli Stati membri permanenti non possano esercitare il potere di veto per bloccare azioni finalizzate a far cessare i crimini di atrocità e garantire un rimedio».
Razzismo e repressione delle minoranze
La privazione dei diritti dei più deboli, scrive Amnesty, non è aumentata solo nei Paesi in guerra, ma in tutto il mondo. In cima alla lista delle minoranze discriminate figurano rifugiati e persone migranti. «Diversi Paesi, tra cui Arabia Saudita, Canada e Qatar», scrive Amnesty, «hanno continuato ad applicare programmi di gestione dei visti caratterizzati da razzismo e a vincolare i lavoratori migranti a uno specifico datore di lavoro», aprendo la strada allo sfruttamento. Le persone migranti sarebbero inoltre oggetto di «misure estreme e violente» per impedirne e respingerne l’arrivo nei Paesi, spesso portate avanti, come nel caso della Grecia, ignorando o aggirando gli ordini emessi dall’autorità giudiziaria. L’attacco alle persone migranti è direttamente collegato ai casi di discriminazione razziale, che Amnesty definisce «sistemica» e «radicata». In Brasile, in Ecuador e negli USA, «le operazioni di pubblica sicurezza hanno preso di mira o colpito in modo sproporzionato le persone afrodiscendenti»; in Cina e in Tagikistan, «le minoranze etniche e religiose hanno subìto persecuzioni e una discriminazione sistemica», mentre in Danimarca, nei Paesi Bassi e in Svezia «sistemi di welfare automatizzati hanno portato a pratiche discriminatorie contro le persone razzializzate».
Tra i casi di discriminazione citati da Amnesty vi è anche quella di genere: in Afghanistan i talebani hanno «escluso completamente» le donne dalla vita pubblica «limitando di fatto tutti gli aspetti della loro vita». In Argentina, è stato registrato un femminicidio ogni 33 ore. In Iran, è invece aumentata la repressione contro le ragazze «che sfidavano le leggi sull’obbligo di indossare il velo». Malgrado i passi avanti in Thailandia, in Grecia, in Repubblica Ceca, in Corea del Sud, in Giappone e a Taiwan, inoltre, «la proliferazione della discriminazione e di leggi repressive guidate da movimenti anti-diritti e anti-gender» è aumentata, specialmente nei Paesi africani, in Bulgaria e in Georgia.
Repressione del dissenso e delle libertà

La discriminazione delle minoranze ha un effetto diretto su un altro dei punti fondamentali affrontati da Amnesty: la repressione del dissenso e delle libertà. «I gruppi marginalizzati sono stati utilizzati come capri espiatori e presentati come una minaccia alla stabilità politica o economica», scrive infatti il gruppo, «al fine di legittimare ulteriori restrizioni ai diritti umani e permettere a chi detiene il potere di rafforzare il proprio controllo». Quei fenomeni di orientamento discriminatorio, insomma, sarebbero solo un modo per scaricare le colpe del malfunzionamento dei meccanismi sociali alle minoranze e aprire la strada a una maggiore restrizione dei diritti. Mentre dal basso si è impegnati a farsi la guerra gli uni con gli altri, dall’alto si sfrutterebbe la polarizzazione del dibattito per inasprire la repressione della conflittualità sociale. Al tempo stesso, l’attacco ai diritti delle minoranze costituirebbe un fertile precedente, fornendo una base solida per una futura estensione delle restrizioni all’intera società.
In termini di repressione del dissenso, sono state colpite tanto la libertà di riunione quanto quella di espressione. In Argentina, Georgia, Nicaragua, Pakistan e Perù sono sorte nuove norme a restrizione del diritto di protesta; in Bangladesh, Egitto, Georgia, Giordania, Guinea, India, Indonesia, Kenya, Mozambico, Nepal, Nigeria, Pakistan e Senegal sono aumentati i casi di violenza da parte delle forze dell’ordine; e in quasi tutto il mondo chi ha manifestato per la Palestina «ha dovuto affrontare violenze, vessazioni o l’arresto». Parallelamente, in Paesi come la Cina è aumentato il ricorso a tecnologie che impiegano spyware e sistemi di riconoscimento facciale, i social media hanno diminuito le «protezioni finalizzate a prevenire danni agli individui più marginalizzati» e in tutto il mondo le nuove tecnologie sono ancora prive di una regolamentazione che ne garantisca un impiego etico e rispettoso dei diritti individuali. La progressiva privazione delle libertà avviene sullo sfondo di un aumento della povertà e delle disuguaglianze economiche, e dei sempre più frequenti disastri climatici, che si verificano in assenza di meccanismi giuridici che garantiscano la giustizia ambientale.
Il caso dell’Italia
Nel rapporto, Amnesty dedica una parte a un focus sull’Italia. Il rapporto, di preciso, cita i casi di tortura e maltrattamenti da parte del personale penitenziario ai danni dei detenuti, che nel 2024 sono stati almeno 83. Ad aprile, «alcune procuratrici hanno rivelato che 13 agenti penitenziari erano stati arrestati e otto sospesi per accuse di tortura e altre violazioni contro ragazzi trattenuti nel carcere minorile di Milano», caso che abbiamo trattato in un articolo de L’Indipendente. I casi di violenza domestica contro donne e ragazze registrati, invece, risultano almeno 59, e i femminicidi almeno 95. Amnesty cita poi i rapporti di ONU e Commissione Europea contro il Razzismo e l’Inclusione (ECRI) che «descrivevano come le persone rom, africane e di discendenza africana, migranti e LGBTI continuassero a essere vittime di razzismo e discriminazione, anche da parte di ufficiali statali».
In Italia, ritiene Amnesty, le persone migranti continuano a subire discriminazioni con il protocollo Italia-Albania, che costituirebbe anche un esempio di scavalcamento degli ordini emessi dall’autorità giudiziaria, e con i pluridocumentati maltrattamenti nei CPR. Stanno inoltre restringendosi le libertà economiche – con un aumento delle persone a rischio povertà – sociali – come nel caso dei diritti sanitari – e il diritto a vivere in un ambiente salubre, come testimoniato dall’ondata di siccità che ha colpito la Sicilia. Ultimo, ma non meno importante, l’attacco alle libertà e la repressione del dissenso rappresentato dal pacchetto “Sicurezza”, recentemente approvato sotto forma di decreto legge, che ha già ricevuto diverse critiche da giuristi, magistrati, e istituzioni internazionali come l’ONU.