lunedì 2 Dicembre 2024

La Turchia ha arrestato decine di giornalisti e attivisti

Tra lunedì 25 e martedì 26 novembre, le forze dell’ordine turche, in coordinamento con i servizi di intelligence del Paese, hanno portato avanti una maxi-operazione definita «antiterrorismo» in trenta province lungo tutta la Nazione, arrestando oltre 200 persone. Sotto il mirino dell’operazione “Gürz-27” sono finiti attivisti, giornalisti, sindacalisti e politici, accusati di essere parte, finanziare, o diffondere le idee di partiti e organizzazioni che la Turchia definisce terroristiche, come il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e l’Unità di Protezione Popolare (YPG). Nella lunga lista di arresti sono presenti volti già noti alle autorità giudiziarie di Ankara e membri di spicco delle organizzazioni che si battono in difesa del popolo curdo, come Roza Metina, presidente dell’Associazione delle Giornaliste della Meospotamia, o Sevtap Akdağ, co-presidente della Commissione lavoro del Partito dell’Uguaglianza e della Democrazia dei Popoli (DEM), il fu Partito della Sinistra Verde. Numerose associazioni nazionali e internazionali, tra cui il Forum delle Giornaliste del Mediterraneo (FMWG) e la Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ), hanno lanciato appelli e denunciato le operazioni turche, che si collocano sulla scia di una progressiva intensificazione della repressione nei confronti delle voci a favore del popolo curdo.

Adana, Adıyaman, Amasya, Ankara, Adalia, Ardahan, Bitlis, Bursa, Çanakkale, Denizli, Diyarbakır, Düzce, Elâzığ, Erzurum, Eskişehir, Gaziantep, Hakkâri, Istanbul, Kars, Karaman, Kocaeli, Malatya, Magnesia, Mardin, Mersina, Rodosto, Şanliurfa, Şırnak, Smirne e Van. Sono queste le 30 province in cui le forze dell’ordine turche hanno condotto raid e arresti a tappeto negli ultimi giorni. A comunicare l’avvio dell’operazione “Gürz-27” è il ministro degli Interni turco, Ali Yerlikaya, che ha spiegato che le indagini hanno coinvolto le direzioni delle filiali antiterroristiche turche (TEM) e dei dipartimenti di polizia provinciali, coordinate da Direzione generale TEM e dalla Direzione dell’Intelligence del Paese. Secondo quanto comunica Yerlikaya, a seguito delle operazioni sono state arrestate 231 persone i cui nomi comparirebbero nelle liste di persone affiliate alle strutture politiche e mediatiche del PKK (il partito curdo iracheno), dell’YPG (partito curdo siriano), del PYD (Partito dell’Unione Democratica, anch’esso attivo in Siria), e del KCK (l’Unione delle Comunità del Kurdistan, sigla internazionale); esse sono inoltre accusate di fornire sostegno finanziario alle organizzazioni, diffondere propaganda sui social media, e avere partecipato a proteste di strada illegali, danneggiando le proprietà pubbliche. Il ministro degli Interni ha detto che sarebbero state sequestrate pistole senza licenza, fucili da caccia senza licenza, pistole a salve e materiale digitale.

Essendo l’operazione stata effettuata su larga scala, non è ancora chiaro chi esattamente sia stato arrestato, come e dove. Per quanto riguarda i giornalisti, secondo un comunicato congiunto del FMWG e della IFJ sarebbero almeno 14 le persone (tutte curde) arrestate dalle autorità turche, in raid che sarebbero stati condotti ad Ankara, Batman, Diyarbakır, e Istanbul. Altre quindici associazioni locali e internazionali hanno lanciato un appello per rilasciare gli operatori dei media coinvolti nelle indagini, denunciando la persecuzione dei giornalisti e quello che viene definito come un vero e proprio «attacco alla libertà di parola». L’Associazione di Studi Mediatici e Giuridici (MLSA) sta rappresentando con i suoi legali i giornalisti coinvolti, alcuni dei quali in passato già oggetto di persecuzione dalle autorità turche. Secondo le varie testimonianze, gli indagati avrebbero subito perquisizioni in casa nelle prime ore del mattino, per poi venire trasportati nella centrale di Eskişehir (a otto ore da Istanbul) per essere interrogati; i giornalisti detenuti hanno riferito di essere stati tenuti in manette per tutta la durata del trasporto, fatta eccezione per brevi pause nel bagno. Le autorità avrebbero inoltre imposto ai detenuti il ​​divieto di chiamare gli avvocati 24 ore su 24, citando la riservatezza delle indagini. Il team legale della MLSA ha criticato questa misura definendola una violazione dei diritti dei detenuti alla rappresentanza legale e alla difesa.

Altra categoria particolarmente colpita è quella dei sindacalisti. A venire presi di mira, sarebbero stati insegnanti affiliati al Sindacato dei Lavoratori dell’Istruzione e delle Scienze, nonché leader sindacali, avvocati e membri della Federazione delle Associazioni Giovanili Socialiste (SGDF), arrestati tra le città di Adana, Mersina, e Smirne; tra essi, figurano l’avvocato Şiar Rişvanoğlu, il membro della SGDF Sezgin Zevkibol e il leader sindacale Kemal Göksoy. Altre vittime dei raid sono stati gli attivisti, nonché persone che avrebbero preso parte alle manifestazioni per il 25 novembre, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Secondo alcune testimonianze giornalistiche, durante un raid a Şanlıurfa, la madre di una persona indagata sarebbe stata aggredita fisicamente.

Anche diversi politici, tanto locali quanto nazionali, sono stati oggetto di arresto e persecuzione. Dalle varie ricostruzioni sembra che a venire presi di mira siano stati principalmente esponenti di DEM, tra cui figura, oltre a Akdağ, anche Cengiz Dündar, il co-sindaco di Diyarbakır, città del Kurdistan settentrionale (il cosiddetto “Kurdistan turco”). I suoi portavoce hanno rilasciato un comunicato in cui denunciano la persecuzione contro gli attivisti procurdi, rilanciando tuttavia la propria attività: «Le detenzioni ingiuste e illecite non ci impediranno di servire il popolo. La nostra copresidenza, i livelli di gestione e tutti i nostri dipartimenti continuano il loro lavoro senza rallentare». Dündar è solo l’ultimo sindaco del Kurdistan del nord sotto attacco in Turchia; da giorni, infatti, Erdogan sta destituendo i sindaci curdi democraticamente eletti. Lunedì 4 novembre, la Turchia ha rimosso dall’incarico i co-sindaci delle municipalità di Mêrdîn, Êlih e Xelfetî e nominato al loro posto propri membri di fiducia, facendo esplodere le proteste del popolo curdo.

[di Dario Lucisano]

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