venerdì 17 Maggio 2024

Quel vizio italiano di candidarsi in Europa senza avere intenzione di andarci

È ufficiale: la presidente del Consiglio e leader del partito più rappresentativo del Parlamento, il numero uno della terza forza politica che sostiene il governo e la segretaria del principale partito di opposizione si sono candidati in pompa magna alle prossime elezioni europee. Eppure, anche in caso di conquista del seggio, nessuno di loro metterà piede all’Europarlamento, se non al massimo per qualche gita domenicale. Un escamotage, ben radicato nella tradizione politica italiana, funzionale a raccattare il maggior numero di voti all’insegna del culto del “volto noto” – in questo caso incarnato da Giorgia Meloni, Antonio Tajani ed Elly Schlein, nonché dal leader centrista Carlo Calenda –, che sta togliendo e continuerà a togliere spazio mediatico al dibattito sui grandi temi europei e alle istanze di quelle figure che, nella fisiologica differenza di posizioni, saranno chiamate per davvero a esprimersi sul futuro dell’Europa.

Sulla base dell’agenda annuale dell’Europarlamento, in cui si delineano i tempi per le riunioni dei gruppi, delle commissioni permanenti e delle plenarie, si prevede che i parlamentari eletti permangano circa 4 o 5 giorni a settimana a Bruxelles e Strasburgo per seguire i lavori. Una vita assolutamente inconciliabile con quella dei leader politici italiani, impegnati tutto l’anno nelle iniziative sul territorio, nella campagna elettorale e nelle riunioni di coordinamento con i loro compagni di partito e gruppi parlamentari. A ciò si aggiunga che, come previsto dalle regole europee, la carica dell’Europarlamentare è “incompatibile” con una serie di altre cariche, tra cui quella di esponente del governo o del Parlamento di uno Stato europeo.

La premier Giorgia Meloni ha ufficializzato che correrà alle Europee – guidando le liste di Fratelli d’Italia in tutte le circoscrizioni elettorali – domenica scorsa, in occasione della conferenza programmatica di FdI a Pescara. Pur sapendo che rinuncerà immediatamente al seggio a Strasburgo, Meloni ha detto di essere scesa in campo affinché “sia chiaro il messaggio che votando FdI l’8 e 9 giugno si voterà per dare ancora più forza al nostro governo e all’Italia in Europa. Al contempo, catalizzando tutte le attenzioni sul suo storytelling e il suo personaggio, dal palco Meloni ha sollecitato i propri elettori a scrivere solo “Giorgia” nella scheda elettorale. «La presidente del Consiglio si divide tra palazzo Chigi e la propaganda di TeleMeloni e ha perso il contatto con la realtà», ha subito commentato Elly Schlein marcando le distanze dalla sua avversaria. Con la quale, però, condivide proprio la scelta strategica della candidatura alle europee. L’annuncio della dem era arrivato addirittura una settimana prima, quando aveva dichiarato che sarebbe scesa in campo per «dare una spinta a questa meravigliosa squadra e a un progetto collettivo di cambiamento del Pd e del Paese», ma affrettandosi a dire: «Io naturalmente resterò qui, da segretaria, nel confronto quotidiano in Parlamento con Giorgia Meloni e le sue scelte scellerate per l’Italia». Nelle stesse ore aveva annunciato la sua candidatura come capolista in quattro circoscrizioni anche Antonio Tajani, leader di Forza Italia e Ministro degli Esteri, parlando di «un atto d’amore» nei confronti degli elettori e aggiungendo negli ultimi giorni di averlo fatto perché »in questa fase, chi è eletto segretario ha il dovere di mettersi alla testa dei suoi compagni di partito». Stesso discorso per il leader di Azione Carlo Calenda, candidato in varie circoscrizioni come capolista, il quale ha dichiarato di aver «proposto un patto ai leader per non candidarsi», ma che «è andata diversamente». Tanto è vero che ha ceduto anche lui.

In caso di elezione, insomma, tutti e quattro si dimetteranno, mentre verranno traghettati all’Europarlamento altri candidati, in base al numero di preferenze ricevute nelle diverse circoscrizioni. Quella che appare come una vera e propria “truffa” nei confronti degli elettori, insomma, viene camuffata dalla narrazione dell'”eroe” che sceglie di sacrificarsi per il suo popolo e condurre alla vittoria la schiera delle sue truppe dal volto semi-sconosciuto. Quello che non si dice è però che saranno solo queste ultime a sporcarsi le mani nella vera battaglia parlamentare, senza che chi si reca alle urne ne conosca la storia e le intenzioni. Questa strategia è stata apertamente stigmatizzata da Giuseppe Conte, leader del M5S, il quale non correrà alle europee e ha dichiarato che «candidarsi e non andare in Ue è una presa in giro», e da Matteo Renzi, leader della lista Stati Uniti d’Europa, che si è unito alla sfilza di leader candidati, promettendo però che, se eletto, rinuncerà al suo seggio al Senato e andrà effettivamente a sedere a Strasburgo.

Non è comunque la prima volta che questo meccanismo a dir poco ingannevole fa la sua comparsa alle elezioni europee. Basti pensare a quanto accaduto nel giugno del 1994, quando Silvio Berlusconi – in una fase in cui la legge permetteva a un parlamentare italiano di svolgere contemporaneamente il ruolo di parlamentare europeo – dopo aver vinto in tutte le circoscrizioni come capolista rinunciò al seggio in Europa, essendo appena diventato premier per la prima volta. Il Cavaliere replicò anche nel 2004, quando a rinunciare al seggio fu anche Gianfranco Fini, allora vicepresidente del Consiglio, che si presentò come capolista di Alleanza Nazionale in tutte le circoscrizioni. Nel 2009 furono ben tre i leader eletti che rinunciarono al seggio furono, ancora, Silvio Berlusconi (PDL), Umberto Bossi (Lega) e Antonio Di Pietro (IdV). All’ultima tornata, quelle del 2019, a candidarsi in tutte le circoscrizioni per poi rinunciare al seggio ottenuto furono Giorgia Meloni, all’epoca deputata a Montecitorio, e Matteo Salvini, allora Ministro dell’Interno e candidato più votato alle europee.

[di Stefano Baudino]

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4 Commenti

  1. La Meloni dimostra ogni giorno che passa di essere una esaltata. Mi è diventata insopportabile da quando, in rappresentanza dell’Italia, ha iniziato ad abbracciare e baciare il criminale comico ucraino
    invece di stringergli la mano, come richiede il protocollo. Mi sono vergognata di essere rappresentata da una donna di tal fatta. Lei che urlava “sono donna, madre e cristiana” tace davanti allo sterminio di bambini e madri a Gaza. La ritengo una donna squallida. Da dimenticare. Il fatto di averla votata non me lo perdonerò mai. Mi prenderei a sberle.

  2. Non ci sono parole educate per descrivere lo squallore di questi politicanti che, invece di chiarire la loro posizione sui temi più pressanti che attendono il parlamento europeo (per quanto valga) , continuano a ricercare la propria personale visibilità sgomitando tra di loro come dilettanti allo sbaraglio. Cosa pensare se non che sarà un fallimento per l’Italia chiunque vinca la partita. La Meloni da finta underdog che ha nel sangue doti ereditarie di attrice consumata è in corsa per un vero pebliscito . La domanda è se per soddisfare la sua smisurata ambizione personale, se per incrementare il potere all’interno della coalizione di governo. L’altra possibilità è che in tutto questo non giochi un ruolo “qualche” suggeritore esterno che pensa ad una deriva europea in funzione di interessi superiori , di cui Meloni rappresenta una pedina utile come già dimostrato.

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