sabato 27 Luglio 2024

I fondi finanziari stanno abbandonando la “transizione green”

Dopo anni di narrazione finanziario-ecologica, carrozzoni pubblico-privati e iniziative varie per la transizione green, i giganti della finanza fanno marcia indietro. JP Morgan e State Street hanno entrambi abbandonato Climate Action 100+, l’alleanza nata nel 2017 per “convincere” finanziariamente le aziende petrolifere a ridurre le proprie emissioni. L’altro gigante della finanza, BlackRock, sta ridimensionando la propria partecipazione, affidandola ad una sua controllata. Dal canto loro, Fidelity e Vanguard non avevano mai aderito. I cinque più grandi investitori globali sono quindi fuori da Climate Action 100+: la finanza ha abbandonato la nave della transizione verde. Un conto è il dire e un conto è il fare, sembrano voler comunicare le società, poiché di mezzo c’è pur sempre il Capitale. E mentre la fase di offensiva del movimento ambientalista globale pare essersi placata, anche a causa della repressione messa in campo in tutti i Paesi occidentali, il mondo della finanza ritiene sia giunto il tempo di fare marcia indietro da quelle che evidentemente non erano altro che manovre d’immagine, all’insegna di quello che si definisce greenwashing, ovvero la strategia comunicativa volta a presentarsi come falsamente attenti alla sostenibilità ambientale per mere ragioni di marketing.

Parole “si”, fatti zero: la finanzia volta le spalle alla “transizione green”

JPMorgan e State Street hanno confermato l’uscita da Climate Action 100+, mentre BlackRock, il più grande gestore di fondi al mondo, si sta ritirando come membro aziendale e sta trasferendo la sua partecipazione ad una sua controllata più piccola. Climate Action 100+, nata nel dicembre del 2017, è un’organizzazione no-profit che sfida le grandi compagnie petrolifere e quelle di altri settori fortemente inquinanti a ridurre la loro impronta di carbonio. BlackRock, JP Morgan e State Street hanno aderito all’iniziativa nel 2020. L’obiettivo era quello di riunire gli azionisti per fare pressione sulle aziende, affinché rendessero noti i dati delle proprie emissioni. In tal modo, gli investitori avrebbero potuto scegliere su chi investire, tenendo conto dei parametri ESG – Environmental (ambiente), Social (sociale) e Governance (governabilità) – i quali verificano, misurano, controllano e sostengono l’impegno eco-sociale di un’impresa. Tuttavia, lo scorso anno, Climate Action 100+ ha annunciato che sarebbe passata dalla fase uno (fare pressione sulle aziende per la divulgazione delle informazioni riguardanti le emissioni) alla fase due, ovvero chiedere l’effettiva riduzione delle emissioni di gas serra.

State Street ha affermato che questi requisiti di coinvolgimento aziendale della seconda fase sono andati troppo oltre, dichiarando che «I requisiti rafforzati della fase 2 di Climate Action 100+ per i firmatari non sono coerenti con il nostro approccio indipendente al voto per delega e all’impegno delle società in portafoglio». Tradotto: questi impegni danneggiano aziende in cui hanno partecipazioni, mettendo a rischio il loro profitto e quello dei loro azionisti. La nota emanata da JP Morgan rimane invece più sul vago e riflette sulle proprie capacità interne. Tuttavia, nell’ultimo rapporto sul proprio impegno per affrontare il cambiamento climatico, JP Morgan afferma che «non lavora di concerto con altri investitori su questioni di investimento e prende le proprie decisioni indipendenti per quanto riguarda le società partecipate». In altri termini, JP Morgan porta avanti i propri interessi in maniera indipendente. BlackRock ha dichiarato in una nota che stava abbandonando la sua adesione aziendale perché ritiene che la strategia di “fase 2”, che entrerà in vigore a giugno, sia in conflitto con le leggi statunitensi che richiedono ai gestori di fondi di agire esclusivamente nell’interesse economico a lungo termine dei clienti. Infatti, i fondi di investimento – come è chiaro a chiunque non si faccia abbindolare dal marketing politico – hanno come unico obiettivo quello di fare l’interesse dei propri azionisti e dei propri clienti. BlackRock sta comunque pensando, in particolare per i clienti europei, di impostare un’opzione di decarbonizzazione come parte dei loro obiettivi di investimento. Per i clienti che non lo fanno, BlackRock continuerà a dare priorità ai risultati finanziari. Niente più e niente meno di quel che ci si aspetta da un fondo d’investimento.

Il ritorno alla realtà: la “realecologik” della finanza

La decisione dei fondi di investimento riflette anche le volontà politiche statunitensi, soprattutto di parte repubblicana, che vedono nel settore petrolifero un’importante fonte di guadagno. Nel 2022, la Virginia Occidentale vietò a cinque società finanziarie, tra cui JPMorgan e BlackRock, di partecipare a nuove attività economiche statali, poiché stavano “boicottando” l’industria dei combustibili fossili. Nel dicembre 2022, Vanguard abbandonò l’iniziativa Net Zero Asset Managers pochi giorni prima che il suo rappresentante legale testimoniasse in un’audizione legislativa del Texas legata agli investimenti sostenibili, insieme al rappresentante di BlackRock e quello di State Street. Alla fine, Vanguard è stata esonerata da quell’udienza. Il Texas, principale produttore di petrolio degli Stati Uniti, ha dichiarato che Climate Action 100+ è un’organizzazione ostile e ha impedito alle società finanziarie, tra cui BlackRock, di fare affari con lo Stato del Texas. Nel 2023, l’Oklahoma, altro produttore di petrolio, ha vietato a JPMorgan, BlackRock e altri fondi di investimento di concludere affari con lo Stato nel 2023. Inoltre, 21 procuratori generali statali di parte repubblicana stanno indagando sui gestori patrimoniali per aver operato di concerto sulle questioni climatiche: «Un potenziale coordinamento illegale appare in tutti i documenti di Climate Action 100+», hanno detto i procuratori generali lo scorso anno.

Fidelity e Vanguard non hanno mai partecipato a Climate Action 100+: questo fa sì che, dopo la decisione di Black Rock, State Street e JP Morgan, i cinque più grandi investitori globali siano fuori dall’organizzazione che dovrebbe riunire gli azionisti per fare pressione sulle aziende richiedendo l’abbassamento, o l’azzeramento, delle emissioni. Insomma, la finanza ha abbandonato la nave della transizione green, come d’altronde era logico supporre che sarebbe avvenuto. Dopo il boom della finanza sostenibile e degli investimenti responsabili, che hanno portato ingenti guadagni ai fondi di investimento, sembra essere tornata la cara e vecchia realtà. Perché mentre la finanza fa la finanza, è la politica che dovrebbe fare la politica.

Il conflitto d’interessi strutturale

Come mai potranno i fondi di investimento cambiare il mondo o salvare l’ambiente? Come può, chi è di fatto padrone di tutte le aziende che fanno profitto dalla devastazione ambientale e dal depauperamento delle risorse, cambiare qualcosa chi l’inquinamento lo produce? Come può cambiare il sistema chi il sistema lo gestisce e da cui ricava la propria fortuna e il proprio potere? BlackRock, Vanguard e State Street sono una sorta di cartello finanziario che costituisce il maggior azionista dell’88% delle aziende presenti sul listino borsistico statunitense S&P 500. Insieme gestiscono azioni di società che hanno ricavi operativi per trilioni di dollari, così come per la capitalizzazione di mercato e gli asset detenuti. I Big Three  costituiscono il più grande proprietario in 438 delle 500 più importanti società statunitensi. Queste 438 società co-possedute rappresentano circa l’82% dell’intera capitalizzazione di mercato di S&P 500.

Sebbene questi fondi di investimento abbiano evidentemente la facoltà di indurre robusti cambiamenti al sistema grazie alla forza di pressione finanziaria, perché mai chi sta nettamente vincendo al gioco, potendo decidere anche sulle sue stesse regole, dovrebbe avere la volontà di farlo? Sulla questione della così detta “transizione ecologica”, le società di investimento hanno messo mano al New Green Deal e si sono impegnate in pesanti attività di greenwashing mentre al contempo sono ampiamente attive nelle industrie estrattive di materie prime e fonti di energia fossile fino a possedere azioni di aziende pesantemente responsabili della deforestazione dell’Amazonia, piuttosto che della produzione di pesticidi e altri agenti inquinanti dell’ambiente. I fondi di investimento possiedono tutto, nel più grande e strutturale conflitto di interessi della storia. Alla faccia del libero mercato, e pure delle questioni ecologiche.

[di Michele Manfrin]

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3 Commenti

  1. E’ una notizia negativa solo a meta’…finirla con i limiti di velocita’ a 30 km/h, con le batterie elettriche e le depauperanti tecnologie estrattive connesse, con la demonizzazione dei nostri agricoltori a favore della carne sintetica e dei “nuovi ogm”, con i costosissimi cappotti termici ai palazzi, con gli odiosi crediti carbonio che portano a sostituire i documenti cartacei con i codici digitali e, presto, con nuove scuse per controllarci anche sull’uso della carta igienica, con i danni alle nostre economie europee mentre il resto del mondo se ne frega, con i progetti di invasione terracquea della sardegna da parte delle pale eoliche, con l’idea che il cambiamento climatico sia per forza colpa dell’essere umano…
    Potrebbe essere che il “grande capitale” porti a piu’ miti consigli circa l’estremismo green che ci pervade ossessivamente…

  2. Quando si compra un biglietto aereo di mille Euro, si viene interrogati se vogliamo cancellare l’emissione di CO2 con dieci Euro, ma questi Stati che derubano i Cittadini di Miliardi per fare i padroni del Mondo, non possono usare anche solo il 2% di quanto rubano per comprare armi, per invece eliminare le emissioni di CO2?

    • Mi sono posto la stessa identica domanda. Facendo un po’ di ricerca ho trovato che purtroppo le compensazioni di co2 non sono sempre accurate e soprattutto utilizzano un metodo di calcolo che è simile al mark to market in contabilità. Di fatto se tu emetti 1kg di co2 e pianti un albero che assorbe nel corso della sua vita 1kg di co2 il bilancio è 0. Purtroppo però le emissioni avvengono oggi e la compensazione nell’arco di anni mentre l’albero fa il suo. Quindi (facendo un grosso salto) è un po’ come comprare una macchina investendo 1000 euro in un titolo di stato, sai che prima o poi i soldi ti arriveranno e il bilancio sarà 0 prima o poi ma devono passare anni. Nel caso della macchina nessuno ti farebbe un prestito del genere. Però di fatto noi chiediamo alla natura di prestarci 20 anni mentre il nostro albero cresce ma noi emettiamo co2 oggi. Quindi è un passetto nella giusta direzione, ma non può essere la soluzione.

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