martedì 11 Febbraio 2025

La lunga scia di violazioni del Diritto Internazionale da parte di Israele

Seppure riconosciute come fenomeno distruttivo, che implica il ricorso alla violenza e all’uso delle forze armate per raggiungere obiettivi politici, economici, territoriali o ideologici, la pratica della guerra non è messa al bando dal diritto internazionale. Tuttavia esistono delle regole alle quali i soggetti (statuali e non) che la praticano sono vincolati, pena la possibilità di essere perseguiti. Esistono in particolare le norme del diritto internazionale umanitario (DIU), che puntano a limitare le conseguenze dei conflitti armati e disciplinano la conduzione delle ostilità – proibendo per esempio l’accanimento sui civili e l’utilizzo di certi tipi di armi – principalmente per “evitare o ridurre al minimo la perdita accidentale di vite e danni ai beni”. Tale regolamento, basato su una serie di trattati internazionali (come le Convenzioni di Ginevra, sottoscritte tra l’altro sia da Israele che dall’Autorità Nazionale Palestinese) firmati nel secondo dopoguerra, è applicabile a ogni tipo di conflitto armato, internazionale o non, indipendentemente dalla legittimazione e dalle ragioni del ricorso alla forza. Quindi anche a quello fra Israele e Palestina. Eppure Israele ha storicamente disatteso queste norme, da ben prima del 7 ottobre 2023, godendo di una sostanziale impunità regolarmente protetta dagli USA in seno al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Uccisioni illegali, arresti arbitrari e torture

Il 27 dicembre scorso, nel suo rapporto, l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) scriveva di un “rapido
deterioramento” dei diritti umani nella Cisgiordania occupata, esortando Israele a porre fine alle violenze perpetrate contro la popolazione palestinese. Tra le violazioni dei diritti umani documentate dall’OHCHR risultano “l’aumento dell’uso della forza non necessaria o sproporzionata” da parte dello Stato ebraico, con conseguenti “uccisioni illegali” e “arresti arbitrari di massa, detenzioni e segnalazioni di torture e altri maltrattamenti” da parte dell’esercito israeliano. Alcuni di loro “sono stati denudati, bendati e legati per lunghe ore con le manette e con le gambe legate, mentre i soldati israeliani hanno calpestato loro la testa e la schiena, gli hanno sputato addosso, li hanno sbattuti contro i muri, minacciati, insultati, umiliati e in alcuni casi sottoposti ad abusi sessuali e violenza di genere”. Vi è stato poi, un “aumento esponenziale degli attacchi da parte dei coloni armati” e “restrizioni discriminatorie alla circolazione”, che incidono “sulla vita quotidiana e bloccano l’economia locale”. L’ONU ha inoltre denunciato come, in alcuni casi, gli attacchi aerei dell’esercito israeliano siano stati condotti “in modo tale da sembrare uccisioni illegali e mirate”. E tutto lascia pensare che la situazione “possa ulteriormente peggiorare”, a meno che Israele “non prenda misure urgenti per rispettare il diritto umanitario internazionale”.
Che, quindi, lo Stato ebraico sta violando.

Una violazione consolidata: l’occupazione

Una consuetudine, quella di tradire il diritto internazionale, piuttosto familiare a Israele. È ancora una volta l’OHCHR a ricordare di come il Paese abbia “continuato a trasferire illegalmente i suoi cittadini negli insediamenti nei Territori palestinesi occupati”, mentre i Governi che si sono succeduti nell’ultimo decennio “hanno costantemente avanzato e attuato politiche di espansione degli insediamenti e di appropriazione delle terre palestinesi”. Una pratica esplicitamente vietata dall’articolo 49 della Convenzione di Ginevra del 1950, per cui “la Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”. Non a caso già il rapporto redatto da una commissione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite, diffuso il 20 ottobre del 2022, aveva definito “illegale” l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi per via “della sua permanenza e delle azioni intraprese da Israele per annettere parti del territorio”. Queste, a detta dei commissari, configurerebbero una violazione del diritto internazionale soprattutto tenuto conto che “continuando ad occupare il territorio con la forza, Israele incorre in responsabilità internazionali provenienti da una continua violazione degli obblighi internazionali, e si rende responsabile per qualsiasi violazione dei diritti delle persone palestinesi”.

I numeri d’altronde sono significativi: i coloni israeliani in Cisgiordania, concentrati nell’Area C, sono attualmente 465mila circa, mentre a Gerusalemme Est oltre 230mila. Per un totale, quindi, di circa 700mila persone. Le violazioni non riguardano però solo occupazione e torture dirette. Spesso sono più subdole e meno evidenti. Capiamo meglio. L’articolo 55 della Convenzione di Ginevra specifica che “la Potenza occupante ha il dovere di assicurare, nella piena misura dei suoi mezzi, il vettovagliamento della popolazione con viveri e medicinali” e “dovrà importare viveri, medicinali e altri articoli indispensabili, qualora le risorse del territorio occupato fossero insufficienti”.

Dal 7 ottobre del 2023, invece, le autorità israeliane hanno imposto “sistematiche restrizioni alla circolazione dei palestinesi” in tutta la Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e la chiusura di “quasi tutte le entrate dei villaggi e delle città palestinesi all’accesso veicolare” e “scollegato le città e le cittadine palestinesi dalle strade principali”, attraverso posti di blocco, cumuli di terra o blocchi stradali in cemento, spesso con il supporto dei coloni. Mancanza di acqua, elettricità e carburante sono allo stesso modo gravi violazioni del diritto internazionale – che Israele porta avanti da almeno 25 anni, ossia da quando ha inasprito le restrizioni alla circolazione di persone e merci da e verso la Striscia di Gaza, separando le famiglie, limitando l’accesso alle cure mediche e alle opportunità educative ed economiche e perpetuando la disoccupazione e la povertà. Il divieto di consegnare carburante, ad esempio, – utilizzato per alimentare i macchinari della terapia intensiva e la refrigerazione degli obitori – è il motivo per cui, dei 35 ospedali della Striscia, ne sono rimasti operativi solo 15. Senza elettricità, invece, non è possibile azionare l’impianto per rimuovere le acque reflue, con il rischio di lasciare l’intera Striscia priva di acqua potabile – già scarsa e razionata da settimane – e in balìa delle malattie infettive. Sono violazioni anche l’assedio degli ospedali (il direttore dell’Al-Shifa, il più grande dell’enclave, ha detto che «chiunque si muova nelle vicinanze del complesso è preso di mira dagli aerei e dai cecchini, e non possiamo andare ad aiutare i feriti») e la detenzione arbitraria di persone senza accusa né processo, documentata da Amnesty International e decine di altri enti e gruppi. HaMoked, organizzazione israeliana per i diritti umani, ha fatto sapere che il numero totale dei palestinesi in detenzione amministrativa dal primo ottobre al primo novembre è salito da 1319 a 2070.

La storia si ripete

A luglio del 2023 alcuni esperti delle Nazioni Unite avevano già definito gli attacchi aerei e le operazioni via terra portate avanti da Israele nella Cisgiordania occupata, prendendo di mira il campo profughi di Jenin e uccidendo almeno 12 palestinesi, «potenziali crimini di guerra». Parole forti, pronunciate prima del 7 ottobre (che testimoniano quindi le ripetute violazioni di Israele anche prima del conflitto) e importanti per almeno due motivi: riconoscono che le azioni di Israele abbiano violato il diritto internazionale e chiedono allo Stato ebraico di render conto delle violenze dell’occupazione a danno dei palestinesi.

Jenin è da tempo un simbolo per la Palestina: un luogo sorvegliato dalle forze di occupazione israeliane e casa di diverse generazioni di palestinesi. Una terra martoriata più volte da Israele, che con la scusa di condurre azioni «contro terroristi e contro l’Iran», giustifica odio, violenza e repressione nei confronti dei cittadini. È qui che le pale delle ruspe militari hanno spaccato il manto d’asfalto delle strade, distruggendo parte della rete idrica ed elettrica. Un’operazione che i vertici militari israeliani hanno definito «bonifica» necessaria a «eliminare gli ordigni» che i gruppi armati avrebbero piazzato sotto l’asfalto o ai lati delle strade per colpire i mezzi blindati «mettendo a rischio prima di tutto la popolazione civile palestinese», ma che invece è sembrata più una punizione collettiva. Un’impressione avuta dagli stessi funzionari ONU, per le quali «la popolazione palestinese è stata etichettata come una minaccia alla sicurezza collettiva delle autorità israeliane».

Sfollamenti forzati

Fin dagli inizi dell’occupazione, le autorità israeliane hanno espropriato migliaia di ettari di terra palestinese per destinarli a insediamenti e infrastrutture, rendendo quindi praticamente impossibile per la popolazione locale ottenere permessi di costruzione a Gerusalemme Est e nella maggior parte della Cisgiordania. Un’imposizione che, se da una parte ha costretto alcuni palestinesi a lasciare le proprie case, dall’altra li ha obbligati a mettere in piedi nuove abitazioni non autorizzate, con il rischio di vederle rase al suolo da un momento all’altro. Un pericolo d’altronde piuttosto concreto visto che, per decenni, le autorità israeliane hanno demolito case perché prive dei (loro) permessi o per punire famiglie palestinesi sospettate di cospirare contro gli israeliani – anche se il diritto internazionale proibisce la distruzione di proprietà se non per necessità militare. Israele ha anche escluso arbitrariamente centinaia di migliaia di palestinesi dal proprio censimento, limitando la loro capacità di spostarsi dalla Cisgiordania e da Gaza, giustificando queste azioni come necessarie a garantire la sicurezza. Dal 1967, ha inoltre revocato la residenza ad almeno 130mila palestinesi in Cisgiordania e a 14mila Gerusalemme Est, in gran parte dei casi perché “erano stati lontani troppo a lungo”.

Il diritto dov’è?

Dalla creazione dello Stato di Israele, sono state decine le risoluzioni ONU lanciate per chiedere che ai profughi palestinesi fosse concesso il diritto di tornare a casa e di cessare abusi e soprusi sulla popolazione araba. Eppure, a distanza di molti anni, lo Stato ebraico continua a violare il diritto internazionale senza ricevere alcuna sanzione. Nonostante quella in corso a Gaza sia la violazione più esplicita delle più basilari norme del diritto di guerra internazionale da parte di Israele, messa in luce anche da diversi membri per i diritti umani delle Nazioni Unite, la comunità internazionale sembra impotente e incapace di risolvere la crisi internazionale.

È vero, di recente alcuni piccoli passi in avanti sono stati fatti. Il 15 maggio del 2023, per la prima volta nella storia, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha commemorato la Nakba, un giorno molto significativo per la storia del popolo palestinese. La data ricorda infatti la prima guerra tra arabi e israeliani, combattuta tra il 1947 e il 1948 e terminata con la sconfitta dei primi, e la loro seguente cacciata. Dopo la vittoria, Israele rase al suolo decine di villaggi palestinesi e gli abitanti di quelle terre – circa 700mila – furono costretti a scappare, dando vita a quell’esodo (la Nakba, che in arabo sta per catastrofe) protratto per moltissimi mesi. E che, come abbiamo visto, dura ancora oggi.

Come mettere fine a decine di anni di abusi? Facendo “prevalere il ripristino della legalità internazionale, della responsabilità e del rispetto per l’umanità e la dignità di tutti, compresa la fine dei 56 anni di occupazione militare di Israele” dice l’OHCHR.

Intanto però, nel concreto, Israele continua ad esercitare pressione e violenza, costringendo i palestinesi a un regime di apartheid, anche se essi «meritano una vita di giustizia e dignità e la realizzazione del loro diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza», usando le parole di Rosemary DiCarlo, sottosegretaria generale per gli affari politici e di consolidamento della pace. E il diritto alla giustizia, alla libertà e all’autodeterminazione che i palestinesi hanno secondo le leggi internazionali finisce schiacciato sotto i veti che gli Stati Uniti, massimi protettori di Israele, pongono sistematicamente ad ogni risoluzione di condanna verso il governo israeliano nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. È così che il diritto internazionale finisce, ancora una volta, schiacciato dall’arbitrio del più forte.

[di Gloria Ferrari]

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Ti è piaciuto questo articolo? Pensi sia importante che notizie e informazioni come queste vengano pubblicate e lette da sempre più persone? Sostieni il nostro lavoro con una donazione. Grazie.

Articoli correlati

3 Commenti

  1. La storia è costellata da invasioni e apropriazione di territori, una volta la guerra la facevano, con gli eserciti e poi se vincevano depredavano i civili senza pietà, oggi il terrorismo vigliaccamente colpisce innocenti e indifesi cittadini e poi si fa scudo di essi, in nome della libertà di un popolo quello Palestinese che ovviamente ha tutto il diritto di esistere, come quello di Israele che è stato destituito del suo diritto di stare sui territori in cui è nato dai dempi memori, ha cercato di rinascere dopo l’olocausto col benestare delle nazioni unite.
    Ma non si è ancora capito il motivo di tutto questo accanimento nei suoi confronti da parte di certi personaggi che stanno sempre dalla parte di una ragione discutibile.

  2. E’ buono che l’ONU denunci le violazioni del diritto internazionale, e che l’Indipendente pubblichi le denunce.
    E’ il modo giusto per ottenere maggiore consapevolezza della situazione, è quello che porterà ad una soluzione.

Iscriviti a The Week
la nostra newsletter settimanale gratuita

Guarda una versione di "The Week" prima di iscriverti e valuta se può interessarti ricevere settimanalmente la nostra newsletter

Ultimi

Articoli nella stessa categoria