venerdì 3 Maggio 2024

Biden propone un protettorato palestinese, ma per Israele è troppo: non deve esistere

Lo scorso venerdì 19 gennaio il presidente americano Biden ha intrattenuto una conversazione telefonica con il Primo ministro israeliano Netanyahu, proponendogli la sua personale versione della cosiddetta soluzione dei “due popoli, due Stati”, annunciata poi in un’intervista riportata da CNN: creare uno Stato palestinese demilitarizzato su cui Israele possa esercitare il proprio controllo di sicurezza, in buona sostanza un protettorato palestinese sotto il controllo israeliano più che uno Stato vero e proprio. La proposta di Biden arriva in un momento delicato per il fronte interno statunitense, condiviso per altro dal governo Netanyahu, sempre più sotto pressione dagli alleati di estrema destra. Dopo un iniziale momento di incertezza, in cui Biden si diceva fiducioso che fosse davvero possibile trovare una soluzione, è arrivato il netto rifiuto di Netanyahu, che ha affermato che finché sarà primo ministro non sarà pronto ad accettare la creazione di uno Stato palestinese, e anzi non scenderà a compromessi neanche sul pieno controllo militare di quella che egli definisce con l’inedita locuzione «intera area a ovest della Giordania», ovvero della Cisgiordania. Non sono tardate a tal proposito le denunce di incoerenza da parte del capo della diplomazia europea Josep Borrell nei confronti di Netanyahu, il quale ha attaccato il Premier israeliano per il suo continuo rifiuto nel considerare la soluzione dei due Stati con la scusa degli attacchi di un’organizzazione ribelle da lui stesso finanziata.

La personale proposta di risoluzione di Biden avanza l’idea di fondare un’entità palestinese priva di forze militari e d’opposizione a pieno controllo israeliano, ricalcando insomma la soluzione dei due Stati, ma nella sostanza istituendo un finto Stato palestinese sotto controllo israeliano; in un primo momento, malgrado l’evidente inconciliabilità tra le posizioni di Netanyahu e la soluzione dei due Stati, Biden si era mostrato particolarmente fiducioso che la sua proposta potesse venire ascoltata, smentendo le ipotesi che suggerivano l’impraticabilità di tale percorso con Netanyahu, ma questa speranza è stata ben presto demolita dalle dichiarazioni del Premier israeliano, a cui evidentemente non basta avere uno Stato vassallo addomesticato alle spalle. In questo periodo, proprio riguardo alla questione del dopo-Gaza, in Israele le pressioni degli alleati di estrema destra del Premier si stanno facendo sempre più forti. Questi ultimi rappresentano forse in maniera più netta la vera voce dell’attuale governo, soprattutto alla luce delle ultime dichiarazioni del Primo Ministro: è infatti mesi che si parla dei sempre più evidenti piani di pulizia etnica che Israele riserva al popolo palestinese, che prevedono il trasferimento dell’intera popolazione araba in Paesi partner come l’Egitto. La questione della guerra in Palestina ha una forte connotazione politica anche negli USA a causa delle elezioni in programma questo novembre, perché trovare una soluzione adesso permetterebbe a Biden di mettere d’accordo tanto l’elettorato ebreo, quanto quello arabo.

Il piano proposto da Biden, tuttavia, piuttosto che avanzare una vera soluzione dei due Stati, ricorda più una versione mitigata del piano coloniale avanzato dal Ministro della Difesa di Tel Aviv Yoav Gallant, che prevede la trasformazione di Gaza in una seconda Cisgiordania, con la divisione del territorio in tre diverse aree, tutte rigorosamente demilitarizzate e sotto controllo di sicurezza israeliano. Nonostante paia più morbido della proposta di Gallant, il piano di Biden non può a tutti gli effetti dirsi vero promotore della soluzione dei due Stati, la quale fu originariamente messa sul piatto nel 1947 dall’ONU, quando si doveva deliberare sul destino dell’ex Palestina britannica. La risoluzione delle Nazioni Unite prevedeva una partizione del mandato della Palestina in uno Stato a lieve maggioranza ebraica nel 55% del territorio, e uno Stato palestinese a netta maggioranza araba nel 44% del territorio, mentre Gerusalemme sarebbe diventata territorio internazionale. La risoluzione fu approvata, gli ebrei accettarono, ma gli arabi no, e dopo la Dichiarazione d’Indipendenza Israeliana del 1948 scoppiò un conflitto a cui presero parte anche Egitto, Giordania e Siria, intervenuti a sostegno della Palestina.

La guerra terminò a favore di Israele, che si appropriò di più territori di quanti inizialmente concessigli, causando l’esodo di massa di 700.000 palestinesi (la cosiddetta “nakba”), che non furono autorizzati a rientrare nelle proprie case al termine del conflitto. Da quel momento ci furono altri scontri e altri tentativi di risoluzione, che piano piano hanno riavvicinato alcuni dei Paesi arabi a Israele, provando periodicamente a proporre soluzioni per istituire due Stati. Il caso più importante è quello degli accordi di Oslo del 1993, che prevedevano il graduale abbandono dei territori palestinesi da parte dell’esercito israeliano, nel frattempo divisi in tre zone rispettivamente a controllo totale palestinese, a controllo amministrativamente palestinese e militarmente israeliano, e a controllo totale israeliano. Tel Aviv però esitò ad allentare la presa e dopo un attentato di un ex medico militare israeliano presso una moschea nella colonia di Kiryat Arba, i rapporti si ruppero nuovamente.

Dopo gli accordi di Oslo, ci furono numerosi tentativi volti a riallacciare i rapporti e portare avanti la soluzione dei due Stati, che tuttavia si interruppero con l’avvento di Netanyahu nel 2009. Sebbene Netanyahu sia meno estremista di alcuni dei suoi alleati di governo come Gallant, quella dei due Stati non è mai stata una soluzione considerata dall’attuale Premier, tanto che non viene più discussa proprio dalla sua completa affermazione alla fine del primo decennio degli anni 2000. A oggi, essa è forse la più appoggiata dalla comunità internazionale, che sta iniziando a prendere le distanze da Israele: a tal proposito il Sudafrica ha recentemente accusato Israele di genocidio davanti al tribunale dell’Aia, appoggiato da numerosi enti e Paesi, come parte del blocco dei BRICS, il mondo arabo e quello africano. In Europa solo la Turchia si è manifestata apertamente a favore della Palestina, mentre l’UE sta iniziando adesso a discutere soluzioni che promuovano il cessate il fuoco e avanzino, a detta di Borrell, un’autentica costituzione di due Stati. Questa, secondo Borrell, è l’unica vera soluzione applicabile per risolvere definitivamente il conflitto, e non può venire ignorata da Netanyahu con la scusa degli attacchi di Hamas. Tel Aviv stessa, ricorda Borrell, ha agevolato e finanziato l’ascesa di Hamas, «nel tentativo di indebolire l’Autorità Palestinese», e ora non può guardare dall’altra parte rinnegando i frutti del proprio seminato.

[di Dario Lucisano]

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