venerdì 13 Dicembre 2024

Il piano (coloniale) del ministro della Difesa israeliano per il futuro di Gaza

Giovedì 4 gennaio si è tenuta una riunione del gabinetto di guerra israeliano durante la quale il ministro della difesa Yoav Gallant ha presentato un piano per la gestione di Gaza al termine della guerra. Come riporta il quotidiano Times of Israel, il piano presentato giovedì è la prima proposta dettagliata avanzata dal governo di Tel Aviv ad affrontare la questione del destino della Striscia quando la guerra sarà finita, ma non veste ancora di alcun carattere ufficiale, essendo contestato dall’ala di estrema destra sionista del governo. Il programma di Gallant è diviso in quattro punti da attuare con il supporto di partner internazionali e prevede di lasciare il controllo amministrativo a un non meglio definito gruppo di palestinesi scelto da Israele stesso, mentre Tel Aviv manterrebbe il controllo militare, accompagnato da una piena libertà di azione. Quello che pare proporre Gallant è insomma l’istituzione di una situazione analoga a quella dell’area B della Cisgiordania, soggetta appunto a controllo misto: ai palestinesi andrebbe la gestione civile, mentre agli israeliani quella della sicurezza, che con ogni probabilità porterebbe a una amministrazione israeliana de facto. Un piano, insomma, in pieno stile coloniale, con una autorità amministrativa locale, ma che deve essere gradita al governo occupante, e la libertà per Israele di controllare militarmente il territorio.

Il piano avanzato da Yoav Gallant è articolato in quattro punti, riportati dallo stesso Times: in primo luogo verrebbe istituito un governo civile palestinese di natura simil-tribale che operi in sintonia con la presenza israeliana sul territorio; questo sarebbe scelto sotto la supervisione di Israele, che individuerebbe i membri delle famiglie che potrebbero aspirare a venire eletti, i quali non potrebbero opporsi agli ufficiali israeliani. Su questo primo punto, può essere rilevante notare come non paia esserci alcun riferimento all’ANP, l’organismo politico di governo palestinese riconosciuto dall’ONU come legittima autorità amministrativa della Palestina. Successivamente, una forza internazionale a guida degli USA in coordinazione con Paesi europei e “nazioni arabe moderate” dovrebbe supervisionare la ricostruzione della Striscia; secondo Pagine Esteri anche in questo caso sarebbe Israele ad avere l’ultima parola, controllando tutto ciò che entra a Gaza. Il terzo punto del programma di Gallant prevede la coordinazione con l’Egitto per il controllo della frontiera di Gaza, mentre stando al quarto punto Israele prenderebbe in mano la sicurezza della Striscia, sancendo così la ridefinizione di Gaza in un’area a controllo misto.

È ancora difficile trovare le risposte e i pareri che i diretti interessati riservano al piano di Gallant, ma certamente si può dire che il programma proposto questo giovedì ha incontrato resistenze sia interne che esterne: vari ministri di estrema destra, tra cui il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich hanno ribadito la loro posizione sulla questione Palestinese, continuando a spingere per la soluzione della pulizia etnica dell’area. Secondo loro oltre due milioni di palestinesi, legittimi abitanti della Striscia, dovrebbero essere espulsi in sfregio ad ogni norma del diritto internazionale. Alle loro contestazioni si è aggiunto anche il ministro della cultura, Amichai Eliyahu, questo novembre al centro dell’attenzione per avere considerato l’opzione nucleare su Gaza. Gli USA, invece, non si sono ancora espressi, anche se va ricordato che Washington ha sempre spinto – almeno a parole – per la soluzione dei due Stati, e non è dunque automatico che appoggi la soluzione del ministro della difesa israeliano.

Il programma di Gallant per il futuro di Gaza propone una soluzione analoga a quella oggi presente nella cosiddetta area B della Cisgiordania, e preannuncia sviluppi simili a quelli da essa vissuti. Con gli accordi di Oslo del 1993, veniva riconosciuto il diritto palestinese all’autogoverno nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, che avrebbe dovuto essere garantito dall’ANP, l’Autorità Nazionale Palestinese, guida politica istituita ad hoc e tutt’oggi riconosciuta a livello internazionale. Dopo un periodo di transizione di cinque anni in cui Israele avrebbe dovuto ritirare gradualmente le truppe dalle aree interessate, si sarebbero decise anche le questioni più cogenti, prime fra tutte lo status giuridico di Gerusalemme, che entrambi i Paesi reclamavano come propria capitale, e il futuro degli insediamenti ebrei in Cisgiordania. Gli accordi di Oslo prevedevano che, nel periodo di transizione, Gaza e Cisgiordania venissero divise in tre zone: l’area A, sotto il pieno controllo palestinese, l’area B, in cui il controllo civile sarebbe stato palestinese e quello della sicurezza israeliano, e l’area C, sotto il pieno controllo di Israele. Con gli accordi di Oslo non arrivò la risoluzione dei conflitti a cui i Paesi puntavano, e la situazione visse una rapida escalation. A oggi il controllo della maggior parte della Cisgiordania è nelle mani di Israele che ha trasformato le zone dell’area B in vere e proprie colonie militari, in cui – sebbene a gestione mista – esercita un potere de facto.

Oltre ai quattro punti cardine su cui regge l’edificio del piano del ministro della difesa, c’è un altro elemento in assenza del quale il programma risulterebbe inattuabile: la distruzione totale di Hamas. L’intero progetto di Gallant presuppone infatti lo sradicamento della «minaccia terroristica» e la cancellazione delle controversie attraverso l’eliminazione diretta degli oppositori di Israele. Questo, che potremmo definire il punto zero è in fase di sviluppo, come d’altronde lo è la guerra: a oggi le vittime superano le 22.600, mentre i feriti arrivano a oltre 57.910. La guerra procede da 92 giorni, e il Segretario di Stato USA Antony Blinken è in missione diplomatica in Medio Oriente apposta per parlare coi leader della zona ed evitare un allargamento del conflitto, trovandogli piuttosto una risoluzione. Oggi Blinken sarà in visita in Turchia, e tra gli altri Paesi è atteso a breve anche in Israele e in Cisgiordania.

[di Dario Lucisano]

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2 Commenti

  1. In realta’ sono gli israeliani che devono andare via. Sono 75 anni che hanno portato avanti massacri, deportazioni, tentativi di mortificare la popolazione palestinese. Hanno fallito nel loro programma. Questo lo avevano capito anche molti ebrei che nel corso degli anni avevano scelto di emigrare nell’ entita’ sionista definita Israele. Ma molti di loro disgustati dal regime imposto ai palestinesi scelsero di riemigrare in altri Paesi. Quelli che sono rimasti e’ gente prava che accetta di vivere di rapina. Il Likud che ora forma il governo e’ stato costituito e rafforzato dalla gentaglia che aveva lasciato l’Ucraina e la Russia dopo la fine dell’Urss. Si tratta di colonizzatori che vivono col fucile in spalla come ai migliori tempi del colonialismo. E’ ormai una situazione insopportabile per l’umanita’ per la violenza esercitata, i massacri a man salva, il disprezzo esternato verso la popolazione che nonostante tutto cio’ non ha mai accettato la sottomissione ma ha sempre reagito facendo fronte al complotto occidentale. La impotenza e il fallimento di Israele si mostra dal fatto che possono uccidere ma non sottomettere. Delenda Israel!

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