lunedì 29 Aprile 2024

Bande armate all’assalto e ribellioni nelle prigioni: Ecuador sull’orlo della guerra interna

Rivolte in almeno sei carceri, decine e decine di agenti penitenziari sequestrati, esplosioni di auto e stazioni di benzina, saccheggi di negozi, assaltata in diretta la stazione televisiva TC Televisiòn da un commando armato e rapiti almeno 7 agenti di polizia tra Machala e Quito. La situazione è tesa in Ecuador, dove sembra che le bande legate al narcotraffico stiano rispondendo con tutta la loro forza alla guerra dichiarata dallo Stato alle organizzazioni criminali sul territorio e allo stato di emergenza indetto dal presidente Noboa martedì. Il rischio è quello che prenda il via una guerra interna. Le rivolte in carcere sono esplose nella notte di domenica 7 gennaio, poche ore dopo la notizia della fuga dal carcere de Penitenciaría del Litoral, in Guayaquil, di José Macías Villamar, alias “Fito”, lider della banda de Los Choneros, una delle organizzazioni criminali principali in Ecaudor nonché braccio operativo del cartello di Sinaloa nel Paese. Con 14 processi a suo carico, Fito stava scontando la pena massima di 34 anni e avrebbe dovuto essere trasferito il giorno dopo nel carcere di massima sicurezza di Guayaquil, il Penal de La Roca. Il leader de Los Choneros non è evaso in maniera rocambolesca, come ci si potrebbe immaginare, ma è semplicemente uscito dalla prigione senza più tornarci. Detenuto da 12 anni, era già evaso dal carcere de La Roca nel 2013. Evidenti le connessioni con il potere politico, giuridico e penitenziario e la corruzione dilagante. Le autorità ecuadoriane avevano annunciato domenica una immensa caccia all’uomo con oltre 3000 agenti mobilitati.

Una “guerra interna”

[José Macías Villamar, alias “Fito”, lider della banda de Los Choneros]
Poche ore dopo, iniziano le prime rivolte in alcune prigioni. Bruciati materassi e sequestrate alcune guardie penitenziarie nel carcere di Pichincha e di Tena (Amazonas). Nel carcere di Turi, a Cuenca, i prigionieri minacciano, in caso di ingresso dei militari, di uccidere le decine e decine di agenti penitenziari che tengono in ostaggio. Le forze armate hanno recuperato il controllo del carcere di Guayaquil, secondo un informe dell’esercito. Sotto controllo anche la rivolta nel carcere di El Inca, a Quito, dove alcuni reclusi avevano dato fuoco a materassi. Ancora in corso le rivolte nel carcere di Riobamba, dove sono state sentite esplosioni, nel penitenziario di Ambato (Tungurahua), dove i prigionieri hanno anche distrutto il sistema di videosorveglianza della struttura e si mantengono in sciopero della fame con 15 guardie sequestrate, e di Machala, nella provincia di el Oro, dove anche lì ci sono guardie sequestrate.

Secondo l’agenzia penitenziaria (SNAI) nelle carceri di cinque località sarebbero state circa 139 le guardie e il personale amministrativo trattenuto dai prigionieri. In alcuni video apparsi sui social (ma ancora non verificati) si vede l’esecuzione di almeno due guardie. Il governo non ha emesso dichiarazioni, se non l’annuncio di lunedì del presidente Daniel Noboa dell’inizio dello stato di eccezione in tutto il Paese per 60 giorni e la dichiarazione di «conflitto armato interno» e «guerra» ai narcos, ordinando l’evacuazione immediata del Parlamento e di tutti gli uffici pubblici della capitale Quito. Il governo ha minacciato l’invio delle forze armate dell’esercito nei centri penitenziari in rivolta; come risposta, sono stati postati numerosi video che mostrano decine di guardie penitenziarie sotto la minaccia di coltelli dei rivoltosi. Alcuni dei secondini leggono un comunicato in cui chiedono al presidente Noboa e al Direttore generale delle carceri, Luis Zaldumbide (Servicio Nacional de Atención Integral a Personas Privadas de Libertad) di ripensare alle loro azioni e di non mettere in pericolo la vita di coloro che sono in prima linea in carcere. Lo invitano a non inviare truppe, che diventerebbero “squadroni della morte”, e ad evitare un massacro.

Le rivolte scoppiano a pochi giorni dall’arresto di un altro dei capi delle organizzazioni di narcotraffico ecuadoriane, Fabricio Colón Pico Suárez, alias El Salvaje, leader della banda de Los Lobos, detenuto per aver – presumibilmente – pianificato un attentato alla vita del PM Diana Salazar. Arrestato il 5 di gennaio, anche lui avrebbe dovuto essere trasferito al carcere di massima sicurezza di La Roca in questi giorni. Proprio il suo trasferimento e l’opposizione a quelli di altri prigionieri è stato l’oggetto delle proteste in alcune carceri e per le strade di Riobamba, dove si sono tenute manifestazioni a favore del capobanda dei Los Lobos, con decine di persone che brandivano cartelli con gli slogan: “Nessun attentato alla sua vita. No al trasferimento”.

Nella giornata di lunedì, anche Fabricio Colon è evaso, insieme ad altri 39 detenuti, dal carcere di Riobamba; la SNAI ha confermato la cattura di 12 dei fuggitivi, ma non del capo dell’organizzazione. Le due bande, Los Choneros e Los Lobos, sono da tempo in guerra per il controllo del narcotraffico nazionale, sia nelle carceri che nelle strade del Paese. Negli ultimi anni sono state numerosi gli scontri e i massacri nelle prigioni tra i vari gruppi, con oltre 450 detenuti morti in tre anni. Eppure, questa volta non ci sono stati conflitti e omicidi tra bande, ma sembra che le organizzazioni si siano – almeno in parte – unite contro la guerra annunciata dallo stato alla criminalità organizzata. Secondo alcuni media di informazione, Los Lobos denunciano un’alleanza tra il governo e los Choneros, dimostrato dalla fuga facilitata di Fito dal carcere di Guayaquil. Il governo ha annunciato il processo per almeno due guardie penitenziarie coinvolte nell’evasione.

L’annuncio dello stato di emergenza – un provvedimento che limita diritti come la libertà di movimento, la libertà di riunione, l’inviolabilità del domicilio e della corrispondenza – con coprifuoco notturno e l’ordine del presidente, emanato attraverso un decreto, di agire per la “neutralizzazione” dei gruppi criminali coinvolti nel traffico di droga, dei quali ha fornito un elenco esaustivo, ha fatto ancora salire la tensione. Nella giornata di martedì sono stati registrati vari altri episodi di violenza per le strade del Paese in rappresaglia alle dichiarazioni di Noboa. Almeno 7 agenti di polizia sono stati rapiti durante l’orario di servizio a Machala e a Quito (tre di essi sono stati successivamente rilasciati). Sono state registrate esplosioni contro una stazione di polizia, davanti alla casa del presidente della Corte suprema di giustizia, in un’auto di pattuglia della polizia e davanti ad alcune carceri; incendi ad alcuni veicoli e stazioni di rifornimento di benzina a Esmeraldas, Cuenca, Loja, Quito e Guayaquil. Ci sono stati saccheggi e sparatorie che hanno portato alla morte di 13 persone di cui due agenti.
Martedì, in serata, è stata assaltata in modo plateale la stazione televisiva TC Televisión di Guayaquil, dove una banda armata di fucili ed esplosivo ha sequestrato giornalisti e operatori durante la diretta del telegiornale. Per quasi due ore hanno mantenuto il controllo della struttura; ci sono stati spari con la polizia e alla fine 13 persone sono state arrestate. Secondo il governo appartengono alla banda Los Tigurones, alleata de Los Lobos, entrambe vincolate al cartello messicano Jalisco Nueva Generación.

“Ho firmato il decreto esecutivo che dichiara il Conflitto Armato Interno e identificato i seguenti gruppi di criminalità organizzata transnazionale come organizzazioni terroristiche e attori non statali belligeranti: Águilas, ÁguilasKiller, Ak47, Caballeros Oscuros, ChoneKiller, Choneros, Covicheros, Cuartel de las Feas, Cubanos, Fatales, Gánster, Kater Piler, Lagartos, Latin Kings, Lobos, Los p.27, Los Tiburones, Mafia 18, Mafia Trébol, Patrones, R7, Tiguerones”, ha dichiarato Noboa in un messaggio pubblicato sui social network. Non ci saranno “negoziati con i terroristi”, ha aggiunto.

L’escalation della violenza nel Paese negli ultimi anni

In Ecuador la violenza è in aumento negli ultimi anni, sia per le condizioni di vita sempre più difficili per gran parte della popolazione a causa dell’aumento dei prezzi della canasta basica e delle politiche governative liberiste che vedono tagliare sussidi e spesa pubblica, sia per la penetrazione dei cartelli messicani della droga, in particolare quello di Sinaloa e Jalisco nueva generacion. L’Ecuador è infatti diventato uno dei principali punti di partenza verso l’Europa e gli Stati Uniti della cocaina prodotta in Colombia, Bolivia e Perù. I cartelli messicani si sono insediati sul territorio attraverso bande locali che contribuiscono a finanziare ed armare. Per i messicani il controllo della regione di Guayaquil – da cui partono le navi cariche dell’oro bianco verso il Pacifico – e la provincia di Sucumbios, nell’amazzonia ecuatoriana, sono di fondamentale importanza per i loro business.

Secondo un rapporto della Polizia Nazionale dell’Ecuador pubblicato a luglio, ad oggi la droga sequestrata nel Paese è quasi triplicata in 4 anni, passando a 201 tonnellate dalle 79,5 tonnellate del 2019. Negli anni, la cooptazione e la corruzione di funzionari, politici e pezzi di istituzioni per il controllo del territorio è andata progressivamente aumentando, fino ad arrivare anche a un parziale controllo di alcune strutture carcerarie, dove, pagando migliaia di euro mensili, i leader del narcotraffico ecuadoriano vivono in celle lussuose con telefoni, computer e tutti gli agi, mentre la maggior parte dei detenuti comuni soffrono condizioni detentive di sovraffollamento e privazioni.

Daniel Noboa è salito al potere solo il 23 novembre scorso, sostituendo il discusso Guillermo Lasso, ex banchiere di Guayaquil. Dopo nemmeno due mesi, ha fatto uso per la prima volta dello stato di eccezione, arma molto impiegata da Lasso per il controllo della popolazione durante il suo governo. Noboa aveva fatto della guerra alla violenza uno dei suoi cavalli di battaglia, nonostante siano chiare le connessioni e gli accordi dei cartelli di droga con parti delle stato. Pochi mesi fa aveva annunciato la costruzione di due nuove carceri di massima sicurezza nel Paese, dichiarando che avrebbe assunto la stessa azienda incaricata di costruire le carceri in El Salvador durante il governo di Bukele. In Salvador, nel febbraio 2023, un mega-carcere costruito nella città di Tecoluca con una capacità di 40.000 persone ha iniziato a ricevere i detenuti. Le pesanti condizioni detentive e il trattamento riservato ai prigionieri in El Salvador è sotto costante critica delle ONG e delle associazioni per i diritti umani. Secondo le dichiarazioni governative, la prima pietra per la costruzione delle nuove galere ecuatoriane avrebbe dovuto essere messa l’11 gennaio.

Secondo molti, la guerra che ha dichiarato al narcotraffico – che viene pagata quasi interamente dai poveri e dalle classi sociali più disagiate – cerca anche di nascondere i legami tra una parte della politica e delle istituzioni con i signori della droga e dei traffici illegali. L’Ecuador resta anche un paese molto ricercato dai cartelli per riciclare e  lavare il denaro sporco, dato che la moneta ufficiale é il dollaro.

La violenza ha iniziato ad avere ripercussioni pubbliche nel febbraio 2021, con un massacro all’interno del carcere più violento del Paese, la cosiddetta Penitenciaría del Litoral, a Guayaquil, considerata una delle città più pericolose del territorio. Il sanguinoso scontro in quella prigione ha causato la morte di almeno 79 detenuti ed è stato il primo di una serie di violenti scontri tra detenuti di bande rivali. Secondo le autorità, le dispute all’interno delle carceri hanno avuto origine con la morte, nel dicembre 2020, di un signore della droga e leader della banda Los Choneros, Jorge Luis Zambrano, alias Rasquiña, legato al traffico internazionale di droga. La sua scomparsa ha portato a divisioni interne tra i gruppi locali che cercano di conquistare il suo potere. Nel settembre dello stesso anno si è verificato il peggior massacro carcerario, in cui 119 detenuti sono stati uccisi in diverse prigioni, alcuni decapitati. In totale, negli ultimi tre anni, circa 18 scontri all’interno delle carceri hanno causato la morte di oltre 450 detenuti.
La violenza nelle carceri, che secondo le autorità sono diventate centri di controllo della criminalità organizzata, si è propagata nelle strade; sempre più numerosi sono rapimenti, omicidi, rapine, estorsioni e altro, che hanno portato il Paese a essere considerato uno dei più pericolosi della regione. Il 2023 è stato l’anno più violento della storia dell’Ecuador, con oltre 7.878 omicidi, ben al di sopra dei 4.600 che hanno chiuso il 2022, che a sua volta ha raddoppiato i 2.100 omicidi del 2021. Nell’agosto 2023, anche il candidato alla presidenza Fernando Villavicencio, sindacalista e giornalista di sinistra noto per la sua battaglia contro la corruzione, è stato assassinato durante un comizio elettorale in pieno giorno da alcuni sicari. L’omicidio non è ancora stato risolto ma molti analisti lo collegano all’ascesa di queste bande. Forse, anche in questo caso, esistono corresponsabilità istituzionali.

Poco welfare, molta repressione: la ricetta di un disastro

Il presidente ecuadoriano Daniel Noboa, Photo by GALO PAGUAY/AFP via Getty Images

Il presidente ecuadoriano Daniel Noboa ha promesso in campagna elettorale di sradicare la violenza con il suo Piano Phoenix, una strategia di sicurezza di cui non sono stati rivelati i dettagli e che, finora, non ha frenato gli atti di violenza nel Paese, anzi. Le rivolte nelle prigioni e per le strade sono anche una risposta proprio a questa strategia repressiva. Secondo il ministro del Governo, Monica Palencia, i disordini attuali nelle prigioni ecuadoriane sono una reazione al fatto che il Presidente Daniel Noboa sta istituendo un cambio di comando nelle carceri. Eppure, secondo molti, non è la repressione violenta e la prigione la soluzione all’aumento della violenza nel Paese. I tagli continui alla spesa pubblica, il non investire nell’educazione e negli aiuti sociali, le privatizzazioni e la svendita delle risorse a multinazionali straniere sono corresponsabili dell’aumento dell’instabilità sociale nel Paese. Numerosi i blocchi, i lunghi scioperi e le proteste che hanno mobilitato la popolazione in varie occasioni negli ultimi anni proprio per protestare contro le difficili condizioni di sopravvivenza, che – inevitabilmente – spingono i giovani verso la criminalità.
«In Ecuador stiamo vivendo una guerra alla droga (e abbiamo un governo) che mira a mettere più polizia e militari nelle strade, ma non fa nulla per ridurre il riciclaggio di denaro», ha denunciato l’analista Luis Carlos Córdova in una conversazione con BBC Mundo.

«Mentre gioca al gatto e al topo, dando la caccia ai membri delle bande e dirottando verso la sicurezza enormi quantità di risorse che dovrebbero essere destinate agli investimenti sociali, [il governo] non fa nulla per spezzare le strutture economiche del crimine organizzato», ha denunciato il ricercatore del progetto Order, Conflict and Violence dell’Università Centrale di Quito. Córdova ritiene che il governo debba investire maggiormente nell’istruzione, combattere l’abbandono scolastico ed evitare così che i giovani finiscano nelle organizzazioni criminali. Da parte sua, la Commissione interamericana per i diritti umani (CIDH) ha invitato le autorità ecuadoriane a combattere il sovraffollamento delle carceri, ritenendo che incoraggi la violenza e le attività illegali come l’estorsione dei detenuti da parte di bande organizzate. Nel 2022, le carceri dell’Ecuador ospitavano 36.599 persone, pur avendo una capacità di 30.169 posti. Quattro centri erano sovraffollati al 95%, ha denunciato la CIDH.

[di Monica Cillerai]

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