mercoledì 11 Dicembre 2024

È vero che i grani antichi sono una truffa del marketing?

Nella giornata di Giovedì 25 Ottobre è stato rilasciato un comunicato stampa dell’Accademia Nazionale di Agricoltura, dal tenore molto perentorio e provocatorio: I grani antichi sono una bufala che truffa il consumatore. Prendo dunque spunto da questo comunicato per analizzare diversi punti trattati da questo documento e per dare alcune informazioni ai lettori sull’argomento. 

Il comunicato stampa ANA contro i grani antichi

Passiamo all’analisi dei contenuti del comunicato. Per l’Accademia Nazionale di Agricoltura la commercializzazione dei prodotti a base di grani antichi “è una strategia commerciale che si basa su una narrazione ingannevole: non sono sostenibili per l’ambiente, salubri per la salute e vengono venduti a prezzi più alti senza motivo”.

Questa conclusione perentoria e dissacrante dei grani antichi è giunta al termine di un incontro tenutosi presso l’Accademia il giorno 23 Ottobre 2023. L’incontro ha tentato di analizzare “luci e ombre delle tipologie di frumento dette grani antichi oggi presenti sul mercato”. All’incontro ha partecipato il Prof. Luigi Cattivelli, Direttore del Centro di Ricerca Genomica e Bioinformatica del CREA, autore anche del volume Pane nostro. Grani antichi, farine e altre bugie (Edizioni Il Mulino, 2023) presentato durante il dibattito. Il CREA è un ente pubblico governativo e la sigla sta per Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. 

  • Un primo punto toccato nel comunicato stampa è che i grani antichi sarebbero “grani vecchi e non rientrano nel registro nazionale”

In particolare si legge che “Oggi le farine sono tutte registrate e controllate dal CREA, mentre i cosiddetti grani antichi, non sono iscritti a nessun registro e non hanno regole. Sono grani vecchi che non rispondono più alle esigenze nutritive e produttive di oggi, come si può pensare di nutrire il pianeta con grani non più attuali? E poi se compro una pagnotta di grano antico chi mi garantisce cosa c’è dentro e cosa mangio senza controlli? È stato dato valore a qualcosa che non ce l’ha”. 

Intanto va detto che la dicitura corrente “grani antichi” non è molto corretta, da un punto di vista tecnico, in quanto le varietà di grani in questione non sono né vecchie (come dice l’ANA) né antiche ma semplicemente tradizionali e in gran parte risalenti ai primi del 900, come la varietà più conosciuta dal pubblico, quella del grano Senatore Cappelli, e molte altre. Chi si occupa di varietà autoctone non parla di grani antichi ma di varietà tradizionali, appunto. Ma l’accusa di non rientrare nel registro nazionale delle varietà riconosciute e autorizzate è del tutto priva di fondamento, infatti i grani antichi dal 2017 sono iscritti al Registro nazionale delle varietà da conservazione, come mostrato dall’associazione siciliana a tutela dei grani antichi Foodiverso, e proprio in virtù di questa norma le filiere sono tracciate e controllate a partire dal seme. Ma il dato paradossale è che l’organismo che controlla e certifica tali filiere dei grani antichi è proprio il CREA, l’ente di cui il professor Luigi Cattivelli è un esponente di primo piano. Pertanto come è stato possibile scrivere in un comunicato stampa che le varietà di grani antichi non rientrano nel registro nazionale? Una svista clamorosa, come minimo. E di sicuro un autogol pazzesco agli occhi di tutti i consumatori che oggi si approcciano ai prodotti fatti con le varietà tradizionali di frumento italiano, i quali sono portati a dubitare della attendibilità di chi dovrebbe garantire imparzialità e diffondere accurate informazioni. Di certo non si poteva fare una pubblicità migliore ai grani antichi stessi.

  • Un secondo punto sostenuto dal comunicato stampa ANA è il seguente: “Falso il messaggio sulla sostenibilità ambientale”.

Si legge che “Anche il messaggio della sostenibilità è falso perché i grani antichi sono decisamente meno produttivi di quelli odierni e perciò servirebbero molti più ettari di terreno da coltivare per avere un quantitativo accettabile. Lo stesso dicasi per la salubrità perché le piante, rispetto a quelle moderne, essendo il doppio di altezza sono maggiormente soggette alle micotossine, si allettano facilmente e sono anche più soggette all’assorbimento di metalli pesanti presenti nel terreno come il cadmio”.

Il punto della presunta non sostenibilità delle produzioni di grani antichi appare un altro scivolone da parte di ANA. Intanto possiamo far notare come le produzioni industriali di grani moderni, quelli di varietà più recenti e frutto di ibridazione genetica, come ad esempio il grano Manitoba proveniente dal Canada, e altri, sono produzioni altamente non sostenibili e inquinanti. Quanto gasolio hanno bruciato le navi cargo che hanno importato in Europa il grano canadese, USA o australiano, oppure il grano ucraino e russo? Grano canadese ed estero notoriamente ampiamente trattato in campo con il pesticida Glifosate, che inquina a sua volta l’ambiente e crea tossicità sia al terreno che nei confronti del consumatore finale. Vogliamo forse far credere che inquinare con le navi cargo e con i pesticidi in campo sia sinonimo di sostenibilità? Pertanto partiamo dal presupposto che i grani moderni che si vogliono imporre, non sono essi stessi sostenibili in alcun modo e fare peggio di così non è proprio possibile dal lato della sostenibilità. Al contrario le produzioni con grani antichi non necessitano di trattamenti chimici in campo, perché sono basate su varietà di frumento e riso che per loro natura hanno molte più difese naturali contro gli insetti e contro le problematiche che possono sorgere durante la maturazione in campo. A tale proposito prendiamo in esame il fenomeno dell’allettamento, citato dal documento ANA. L’allettamento consiste nel ripiegamento fino a terra di piante erbacee, per l’azione del vento o della pioggia. L’allettamento è negativo in quanto rende difficoltosa la raccolta del prodotto (per esempio la mietitura) e quindi comporta perdite di prodotto in termini di resa per ettaro. L’allettamento può essere risolto nei cereali adottando varietà di piante con maggiore resistenza meccanica all’azione del vento e della pioggia, ovvero piante che non si piegano. L’agricoltura industriale ha risolto il problema dell’allettamento attraverso l’ibridazione genetica di piante e semi, dal momento che le piante erbacee dell’era pre-industriale (ovvero i cosiddetti grani antichi, se parliamo di cereali) erano a stelo alto e maggiormente soggette all’allettamento. 

[Immagine tratta da Prof. Pasquale De Vita (CREA Foggia)]
Questa però è la “narrazione” che da sempre fanno le multinazionali dell’agroindustria, ovvero dire che le piante “antiche” erano poco produttive e allettavano spesso, quindi andavano rimpiazzate da varietà più moderne e tecnologiche (ibridate geneticamente) che garantissero una resa maggiore. In realtà le cose non stanno proprio così e gli agronomi esperti di agricoltura biologica e di tecniche agricole tradizionali ci spiegano meglio come in verità le piante antiche (tradizionali, pre era industriale) producevano e producono ancora oggi molto bene ma in un regime di agricoltura biologica, non in quello di agricoltura convenzionale. Questo perché, come spiega Giovanni Dinelli, Professore ordinario di Agronomia Generale e coltivazioni erbacee e Direttore del Master “Produzioni Biologiche” presso l’Università di Bologna, in agricoltura convenzionale (quella intensiva e non BIO) si fa uso esclusivamente di concimi di sintesi che se usati sulle piante tradizionali, non ancora ibridate, ha un effetto paradosso portando a un maggiore allettamento e ad una resa minore di prodotto. Questo è dovuto probabilmente al fatto che i concimi di sintesi hanno molti meno nutrienti da dare alla pianta rispetto ai concimi naturali, e la pianta cresce più debole e con meno resistenza meccanica. Al contrario, le varietà moderne di frumento, dette anche “a taglia nana” in quanto ibridate per fare in modo che abbiano uno stelo più corto e maggiore robustezza contro l’allettamento, sono state selezionate per l’agricoltura convenzionale e mal si adattano all’agricoltura BIO, come sostengono anche eminenti esperti europei su riviste scientifiche prestigiose. Il professor Dinelli precisa anche che le piante a taglia nana “sono come una Ferrari Testarossa che va a 300 all’ora, con una potenza produttiva enorme ma che con 1 litro di benzina fanno solo 2 chilometri di strada, mentre le piante tradizionali (grani antichi) sono come una Fiat Topolino convertita a carbonella in grado di percorrere 140 chilometri”. Una metafora per capire che le piante ibridate e moderne hanno bisogno di molte più sostanze chimiche di sintesi in campo (fertilizzanti, pesticidi ecc.), per portare a termine una data produzione, rispetto alle piante tradizionali che con il nutrimento naturale producono un po’ meno in termini di quantità ma inquinano molto meno e quindi sono più congrue in un discorso di sostenibilità. Quindi il discorso è: quanta strada vogliamo fare? Ci interessano solo le megaproduzioni di breve periodo? Che mondo vogliamo lasciare ai nostri figli? Un mondo pieno di veleni e inquinamento o una terra più pulita? Questa è la vera sostenibilità di cui si dovrebbe ragionare, mentre l’agroindustria spesso tende a confondere la maggiore produttività con la sostenibilità

E a proposito della disputa sulla sostenibilità e salubrità, anche un altro esponente importante dell’Università di Bologna, Enzo Spisni, Professore di Fisiologia della Nutrizione, non ha dubbi sul fatto che i grani antichi siano più sostenibili di quelli moderni: “Diciamolo, i grani antichi sono grandi amici dell’ambiente: non hanno bisogno di diserbanti (sono alti e tolgono il sole alle piante infestanti) e nemmeno di pesticidi. L’altezza, soprattutto nelle prime fasi di crescita li mette al riparo dagli schizzi dell’acqua piovana che portano le spore delle muffe del terreno fin sulla spiga. Quindi niente antimicotici, ma nemmeno antiparassitari: non ne hanno bisogno. Il risultato è che per un agricoltore è sufficiente seminare i propri semi che derivano dal raccolto precedente, ed aspettare. Non serve più entrare in campo con il trattore fino alla mietitura (quanto gasolio risparmiato!). Vogliamo parlare di acqua? I grani antichi non hanno mai bisogno di acqua. Avendo un apparato radicale molto più sviluppato se la vanno a cercare più in profondità rispetto ai grani moderni. Tutta questa libertà dell’agricoltore è mal vista e avversata dalle multinazionali delle sementi, dei pesticidi e dei fertilizzanti, che poi spesso sono le stesse grandi multinazionali dell’agro-food business. Questi giganti finanziari vogliono vedere gli agricoltori dipendere dalle loro sementi, dai loro fertilizzanti e dai loro pesticidi. E anche dal loro know-how sulle sementi vendute. Abbiamo capito benissimo che parlando di grano (e in generale di cibo), gridare ai quattro venti “tutto è uguale”, come fanno alcuni divulgatori scientifici, fa molto comodo alle multinazionali dei pesticidi e del food. Io faccio analisi (certificate) sui grani moderni e continuo a trovare contaminazioni che non mi spiego: pur entro i limiti di legge trovo, su grani dichiarati italiani, Clopirifos, un pesticida (piuttosto pericoloso) bloccato in Europa dal gennaio 2020, mentre non trovo pesticidi nei grani antichi coltivati (sempre) in biologico. Tocco quindi con mano che non è tutto uguale.”

Maggiori problemi di allergie e intolleranze con i grani moderni

Un aspetto non considerato e anzi ignorato completamente dal convegno dell’ANA riguarda la maggiore allergenicità dei grani moderni, ampiamente dimostrata da tanti studi scientifici ormai da diversi anni. Il problema nasce dal fatto che i grani moderni sono stati selezionati e ibridati geneticamente, oltre che per la taglia bassa della pianta, per aumentare sempre di più la forza del glutine. Questo è stato fatto dall’industria per garantire una migliore lavorazione industriale delle farine, con più elasticità degli impasti data proprio dalla qualità del glutine (la parola glutine deriva dal latino gluten e significa infatti colla, collante). Questo processo ha modificato qualitativamente il glutine del frumento moderno, rispetto a quello tradizionale. Questa modifica ha favorito sicuramente i processi industriali di lavorazione del pane e dei prodotti a base di frumento, facendo aumentare la produttività e i profitti delle aziende panificatrici, ma purtroppo ha comportato d’altro canto un peggioramento qualitativo del frumento per quanto riguarda la digeribilità e gli effetti sulla salute intestinale. In sostanza i grani moderni hanno un tipo di glutine che è più infiammatorio e che determina più problemi di allergie e intolleranze verso il frumento.

E sempre sul tema della maggiore allergenicità del frumento moderno (grani moderni) anche il professor Enzo Spisni, già citato sopra, spiega molto chiaramente sul suo profilo Facebook che “tutti gli studi controllati sull’uomo, inseriti in questo articolo di revisione della letteratura scientifica dimostrano che quando diamo da mangiare a soggetti (sani o malati), dei prodotti alimentari fatti con grani moderni o antichi, si osserva chiaramente che i grani moderni sono più pro-infiammatori”.

Più nutrienti e più sostanze nutraceutiche

Questo è un aspetto che il comunicato stampa ANA ha trattato in maniera ambigua ma in cui si sono riconosciute, in diversi punti del testo, le superiori proprietà nutrizionali dei grani antichi.

Si legge infatti che “il cosiddetto grano antico ha un 20% in più di minerali rispetto agli odierni”. Ed è vero: più minerali, ma anche più vitamine e più sostanze antiossidanti, dimostrato inequivocabilmente da tante rilevazioni di laboratorio. Il contenuto in sali minerali è maggiore: di circa il 15% nei grani antichi, questo non è un caso ma è dovuto al fatto che hanno un apparato radicale (cioè radici) che va più in profondità rispetto ai grani moderni. Si tratta di varietà che vanno sia più in alto in altezza come spiga ma anche più in profondità all’estremità opposta, nel terreno, andando ad esplorare maggiormente il terreno e ad attingere più sostanze minerali. 

I grani antichi possiedono anche l’1% in più di grassi, ed è importante perché in questi grassi finiscono gli oli insaturi del germe, i quali sono correlati con la presenza (nel germe) del complesso di tutte le vitamine del gruppo B, e della vitamina E. Quindi avere un po’ più di grassi non è un difetto in questo caso, ma al contrario si accompagna ad una ulteriore ricchezza di nutrienti rispetto ai grani moderni. 

E per quanto riguarda le proprietà nutraceutiche, è interessante lo studio fatto del Dipartimento di biochimica dell’Università di Bologna, di cui ci parla il professor Dinelli nel video della sua conferenza a Cesena al minuto 12:20 circa, in cui si sono dati gli estratti dei grani antichi a delle cellule cardiache e cellule tumorali. Risultato: l’estratto dei grani antichi ha avuto significativi risultati positivi, rispetto a quello dei grani moderni, nel far recuperare una salute funzionale delle cellule cardiache precedentemente stressate e portate in una situazione di sofferenza come avviene durante un infarto. 

Inoltre, un altro punto importante toccato dal comunicato stampa ANA è il seguente ed è tutto a favore dei grani antichi:

  • “Bassi livelli produttivi ma potrebbero aiutare l’economia collinare e montana”. Il grano antico ha un basso livello di resa produttiva. L’Italia produce il 40% del frumento tenero che si usa per fare pane, pasta e pizza e il resto lo importa soprattutto dalla Francia, produciamo già meno di quello di cui abbiamo necessità (….) I grani antichi non sono sostenibili a livello economico e ambientale, ma spezziamo una lancia a loro favore perché potrebbero essere coltivati nei terreni collinari e di montagna, dove i terreni sono abbandonati se non si coltiva vite, per fare piccole produzioni che magari aiuterebbero anche a evitare lo spopolamento di molte zone.”

A questo aggiungo che negli ultimi anni molti agricoltori del Sud Italia hanno preferito abbandonare i propri terreni e le coltivazioni di grano, per impossibilità di ottenere un profitto anche minimo, a causa della concorrenza sleale e dell’abbassamento del prezzo al quintale che si è determinato dalle politiche europee e italiane che incentivano sempre più l’importazione di grano estero a basso costo. Tanti ettari di terreno inutilizzato che invece potrebbero riprendere a produrre grano 100% italiano e di migliore qualità, passando e incentivando le varietà di grani antichi, e ovviamente retribuendo adeguatamente gli agricoltori italiani anziché mandarli in fallimento per favorire logiche di mercato dei grandi pastifici industriali italiani che acquistano sempre più grano estero a basso costo per poi conseguire maggiori profitti con margini più ampi applicati tra costo di acquisto della materia prima e prezzo finale del prodotto finito. 

Chi è ANA e che interessi rappresenta

Infine vediamo anche, è doveroso farlo, cos’è l’Accademia Nazionale di Agricoltura (ANA) per capire da quale fonte è arrivato questo comunicato stampa molto duro sulle coltivazioni di grani antichi. È assolutamente necessario inquadrare la fonte da cui proviene questo forte monito di condanna dei grani antichi, perché la veridicità e attendibilità di qualsiasi informazione è sempre legata anche a chi ne veicola il contenuto.

L’Accademia Nazionale di Agricoltura (ANA) è una Fondazione privata senza scopo di lucro, che secondo statuto svolge ricerca e promuove la conoscenza scientifica intorno all’Agricoltura e agli ambiti ad essa connessi. Questo ente privato è composto e gestito da associati, che nel caso di un’accademia vengono chiamati accademici, sono nominati a vita e provengono dal mondo dell’impresa, dell’università, ma anche dal settore bancario (si veda per esempio la recente nomina ad accademico onorario del presidente Abi e Cassa di Ravenna Spa). Per questa grande attività e varietà partecipativa che attinge dai diversi settori della società, l’Accademia amministra “risorse proprie, donazioni e altre risorse ottenute per attività che si riconducono a studi e a ricerche nell’ambito delle proprie finalità”, come si legge all’art. 2 dello Statuto.

Abbiamo a che fare dunque con un ente privato che ha stretti rapporti con il mondo delle imprese e dell’agricoltura industriale, che avvia collaborazioni e attività collegate al modello di agricoltura oggi prevalente, cioè quello industriale e intensivo, che è in antitesi al modello di agricoltura biologica in cui invece si impiegano i grani antichi. Tanto è vero che il convegno di Bologna del 25 Ottobre da cui è poi stato prodotto il comunicato stampa, è stato moderato – si legge nel comunicato stesso – da Ercole Borasio, Accademico Ordinario dell’ANA e già Direttore Generale della Produttori Sementi SPA. Quest’ultima azienda, con sede ad Argelato in provincia di Bologna, è leader in Italia e all’estero nel mercato dei semi, in particolare di sementi per la coltivazione di grano duro, ed è stata acquisita nel 2022 da un’altra azienda sementiera italiana marchigiana (la Agroservice Spa)  in accordo con la multinazionale svizzera dei semi Syngenta. Syngenta AG è una azienda produttrice di sementi e pesticidi, tra le prime 3 al mondo assieme a Monsanto-Bayer e Dupont. È di proprietà di ChemChina, un’impresa statale cinese. Syngenta è stata fondata nel 2000 dalla fusione delle attività agrochimiche di Novartis (altra multinazionale farmaceutica svizzera) e AstraZeneca (multinazionale farmaceutica anglo-svedese) e acquisita dalla China National Chemical Corporation (ChemChina) nel 2017. 

L’Accademia Nazionale di Agricoltura rilascia anche patrocini e offre il suo sostegno per convegni sponsorizzati da Syngenta e altre multinazionali dell’agricoltura industriale, come avvenuto l’anno scorso al convegno “Agromeccanici dell’innovazione”, organizzato il 10 novembre 2022 da Uncai e Confagricoltura, grazie agli sponsor McCormick (produttore di trattori e macchine agricole) e Syngenta fra gli altri. 

In conclusione, appare evidente che è sempre bene capire e vagliare la fonte di determinate informazioni o linee guida, perché spesso emerge che chi divulga notizie e raccomandazioni, in ogni settore, possa avere poca credibilità e attendibilità per via dei troppi legami con l’industria e con chi governa un settore produttivo specifico. Quello che si legge sui mezzi di informazione può essere spesso vero, ma a volte invece artefatto e distorto dalla reale natura dei fatti.

[di Gianpaolo Usai]

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15 Commenti

  1. Ottimo articolo, ma aggiungo, come ha già scritto la letteice Sara, leggetevi “Cereali antichi e moderni”, saprete così che il Senatore Cappelli, pur essendo un grano altissimo che snobbava le piante infestanti, non è un grano antico ma già frutto di ibridazione, c’é da impazzire a seguire ciò che hanno combinato dal ’60 in poi coi raggi gamma, comunque complimenti per aver messo in chiaro cosa dicono i chiaccheroni collusi con le industrie, sempre di sciemzaH si tratta

  2. Comunque, Cattivelli, un nome una garanzia, come Speranza.
    Vorrei sapere dove trovarli, i grani antichi veri, proverei sapori dimenticati e cibi sani, che fanno capire come, molti nostri avi, vivevano bene senza grandi patologie e morivano nel loro letto serenamente

  3. Mi sembra lo stesso tipo di disinformazione che c’è tutt’ora con i vaccini, con Russia/Ucraina, con Israele/Gaza, é giusto e va bene solo ciò che dicono loro, e dobbiamo accettarlo come fosse vangelo; a me pare che, coi grani antichi veri, si comportino come gli australiani con gli aborigeni, distruggerli disgregando la loro cultura, dobbiamo ringraziare invece quei pochi che continuano a coltivare questi grani e conservano le sementi per il bene dell’umanità futura, sperando che, se ne rimarrà una, sia in grado di capire e apprezzare

  4. Bellissimo articolo: coltivo grani antichi in miscuglio, ma non avrei saputo spiegare così bene tutte queste cose. Quello che posso dire, però, è che mangiare il pane fatto con la mia farina è un’esperienza che nessun pane fatto con farine ‘moderne’ può uguagliare. Provare per credere.

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