domenica 28 Aprile 2024

Cento organizzazioni ambientali chiedono una moratoria all’estrazione in acque profonde

È iniziata oggi la terza parte della 28esima sessione dell’ISA, la International Seabed Authority, l’organismo intergovernativo responsabile della supervisione delle operazioni di estrazione in acque profonde e della protezione degli oceani. La sessione di incontri durerà fino all’8 di novembre. A segnare quello che è un passaggio chiave per le politiche globali sugli oceani è stata la richiesta, presentata mercoledì da un centinaio di gruppi ambientalisti che hanno chiesto una moratoria sull’estrazione sottomarina proprio in vista della riunione che si é aperta oggi a Kingston, in Giamaica. Gli oppositori al deep sea mining temono infatti che si stia aprendo la strada all’inizio dello sfruttamento nel prossimo futuro, nonostante le devastanti conseguenze – ancora poco esplorate – che le miniere sui fondali oceanici avranno sull’ecosistema marino. Il peggio – sottolineano gli attivisti – è che il tutto si sta facendo passare come una pratica che renderà il mondo più sostenibile aiutando la transizione energetica dalle fonti fossili.

Sono solo 21 i paesi che si sono schierati qualche mese fa a favore di un divieto o una moratoria delle estrazioni minerarie in acque profonde. L’ISA non sembra infatti realmente intenzionata a bloccare i lavori di estrazione, nonostante le richieste da parte di scienziati e della società civile, ma più che altro interessata a trovare una formula per regolamentarli e per dividersi i guadagni tra Stati e imprese. Nella riunione di luglio l’ISA non aveva dato il via libera all’estrazione perché non aveva ancora trovato accordi sulla regolamentazione del settore e l’assemblea si era data fino al 2025 per completarne i lavori. Ma, nel mentre, la società canadese The Metals Company (TMC) potrebbe già iniziare a estrarre se non verrà approvata una moratoria. La compagnia ha infatti comunicato di voler iniziare a rastrellare i ricchi fondali della Clarion-Clipperton Zone, nel Pacifico nord-equatoriale, e a questo fine ha dichiarato che presenterà la richiesta per ottenere la licenza di sfruttamento all’ISA dopo la riunione di luglio 2024. “Nell’ipotesi di un processo di revisione di un anno, NORI prevede di entrare in produzione nel quarto trimestre del 2025”, si legge sul sito della TMC.

«L’estrazione in mare è una delle questioni ambientali chiave del nostro tempo, perché le profondità marine sono tra le ultime aree incontaminate del nostro pianeta», ha dichiarato Sofia Tsenikli, della Deep Sea Conservation Coalition, un’alleanza di gruppi ambientalisti con sede nei Paesi Bassi.  La famosa corsa verso la transizione energetica sta rischiando di legittimare una nuova devastazione ambientale, quella degli oceani. I noduli polimetallici presenti sui fondali sono infatti ricchi di litio, cobalto, nickel, manganese, tutti materiali la cui domanda sta aumentando vertiginosamente per la richiesta sempre maggiore di batterie, pannelli fotovoltaici, macchine elettriche. Ma come sottolineato anche nel rapporto dell’8 giugno del Consiglio consultivo scientifico delle Accademie europee (EASAC), i minerali dei fondali marini non sono necessari per la transizione verso tecnologie energetiche rinnovabili, perché i metalli sono disponibili anche da altre fonti. Il documento sottolinea inoltre come l’estrazione mineraria causerebbe danni irreparabili agli ecosistemi marini.

«Purtroppo, l’Autorità Internazionale dei Fondali Marini è a favore dell’estrazione mineraria», ha dichiarato Sandor Mulsow, direttore dell’ambiente e dei minerali presso l’ISA tra il 2013 e il 2019 a Mongabay l’anno scorso. «Non stanno rispettando il ruolo di protezione del patrimonio comune dell’umanità». Mulsow ha anche affermato che l’ISA «non è in grado di effettuare un’analisi di valutazione dell’impatto ambientale».
I vertici dell’ISA, dal canto loro, hanno affermato che il loro mandato è quello di proteggere e regolamentare l’attività e che le decisioni prese riflettono la volontà degli Stati membri: «Gli Stati membri dell’ISA hanno concordato che nessuna attività mineraria inizierà prima che sia stato raggiunto un accordo sui regolamenti relativi allo sfruttamento economico e alla protezione dell’ambiente».

Ma per ora sono ben 31 le richieste di esplorazione approvate fino ad ora dall’organismo intergovernativo dell’ONU a 22 compagnie private o Paesi. 17 di queste licenze esplorative si trovano nella Clarion-Clipperton Zone, un’area che si estende per 4,5 milioni di chilometri quadrati tra le Hawaii e il Messico sui cui fondali sembra ci siano minerali per decine di miliardi di euro.

L’ISA è stata spesso criticata anche per la sua mancanza di trasparenza, a partire dal fatto che l’LTC (la Commissione Legale e Tecnica dell’ISA) si riunisce a porte chiuse e fornisce pochi dettagli sui parametri attraverso i quali valuta l’approvazione delle proposte minerarie. Anche le riunioni dell’ISA sono state criticate per problemi di trasparenza, date le restrizioni alla partecipazione e l’accesso limitato alle informazioni chiave per i membri della società civile. «L’esistenza stessa di questa istituzione si basa sull’inizio delle attività estrattive», ha dichiarato Emma Wilson della Deep Sea Conservation Coalition., sottolineando che l’Autorità sarà finanziata dalle royalties derivanti dai contratti di estrazione.

Le società minerarie sostengono che la raccolta di minerali dalle profondità marine anziché dalla terraferma è più economica e ha un minore impatto ambientale. Ma gli scienziati e i gruppi ambientalisti avvisano che meno dell’1% delle profondità marine del mondo è stato esplorato e avvertono che l’estrazione in mare aperto potrebbe scatenare conseguenze devastanti per l’ecosistema globale. «È una minaccia per l’oceano, che ospita oltre il 90% della vita sulla Terra, e uno dei nostri più grandi alleati nella lotta contro il cambiamento climatico» ha dichiarato Arlo Hemphill, responsabile del progetto di Greenpeace USA sull’estrazione in acque profonde, in una dichiarazione a EcoWatch.

«Ha il potenziale per distruggere l’ultima area selvaggia della Terra e mettere in pericolo il nostro più grande bacino di assorbimento del carbonio, pur non dimostrandosi né tecnicamente né finanziariamente fattibile», ha dichiarato Bobbi-Jo Dobush della Ocean Foundation, un’organizzazione no-profit statunitense.

Greenpeace ha anche sollevato dubbi sul modo in cui TMC si è assicurata l’approvazione dell’ISA per il test di settembre dell’anno scorso, il primo test di quel tipo ad essere approvato nella Zona dagli anni ’70. Un’inchiesta del New York Times ha rivelato che l’ISA ha fornito a TMC, per un periodo di 15 anni, informazioni critiche che le hanno permesso di accedere ad alcune delle aree di fondale marino più preziose, contrassegnate per l’estrazione, dandole un vantaggio sleale rispetto ad altri appaltatori. «L’ISA è stata istituita dalle Nazioni Unite con lo scopo di regolamentare i fondali marini internazionali, con il mandato di proteggerli – ha detto Hemphill – invece, ora stanno consentendo l’estrazione di un fondale marino internazionale di importanza critica».

L’azienda canadese avrebbe anche aggirato le misure progettate per garantire gli interessi dei Paesi in via di sviluppo, che dovrebbero poter vedere i dati per primi per aiutarli a competere con le nazioni più ricche. In questo caso, tuttavia, TMC ha ottenuto la sponsorizzazione di Nauru e Tonga dopo aver visto i dati e detiene ancora tutti i diritti sui potenziali progetti minerari, ha spiegato il New York Times. «Questa società ha deciso di giocare con il sistema e di usare una nazione povera e in via di sviluppo del Pacifico come tramite per lo sfruttamento di queste risorse», ha dichiarato al quotidiano statunitense Lord Fusitu’a, ex membro del parlamento di Tonga. Delle circa 200.000 miglia quadrate di fondale marino messe da parte dall’ISA per i Paesi in via di sviluppo, quasi la metà è ora essenzialmente nelle mani della TMC, ha detto Hemphill.

«Per decenni, i popoli del Pacifico sono stati messi da parte ed esclusi dai processi decisionali nei loro territori. L’estrazione in alto mare è l’ennesimo esempio di forze coloniali che sfruttano le terre e i mari del Pacifico senza tenere conto dello stile di vita delle popolazioni, delle loro fonti di cibo e della loro connessione spirituale con l’oceano» ha dichiarato James Hita, attivista di Greenpeace Aotearoa per l’estrazione dei fondali marini. Solo una moratoria in quest’ultima parte della 28esima sessione dell’ISA potrebbe bloccare sul nascere lo sfruttamento dei fondali marini. Se ancora l’assemblea non si esprimerà in questa direzione, la mancata decisione si tradurrà in un automatico semaforo verde all’impresa e alla sua volontà di iniziare a estrarre nel 2024.

[di Monica Cillerai]

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