lunedì 29 Aprile 2024

Il caso di Khaled El Qaisi, come Zaki ma in Israele: quindi i media italiani stanno muti

Khaled El Qaisi è un cittadino italiano che il 31 agosto scorso si trovava di ritorno dalle ferie come altri milioni di italiani, in un auto piena di valige con la moglie e il figlio di quattro anni. Era stato a trovare i suoi parenti, che vivono nel campo profughi di Al Azza, vicino a Betlemme, nella Palestina occupata. Al confine con la Giordania i militari israeliani lo fermano e, senza alcuna spiegazione, lo ammanettano. La moglie, Francesca Antinucci, viene lasciata sul confine, senza soldi e con un bambino piccolo, mentre il marito viene portato via. 20 giorni dopo Khaled è ancora detenuto, senza nessun capo di accusa e senza che alle udienze davanti al giudice possa partecipare il suo avvocato. Una situazione che ricorda molto da vicino l’ingiustizia cui è stato sottoposto per lungo tempo Patrick Zaki, con una sostanziale differenza: la politica e i i giornali mainstream non stanno dicendo nulla sulla vicenda, facendola passare del tutto sotto silenzio, nonostante Khaled sia a tutti gli effetti un cittadino italiano.

La mobilitazione dal basso è iniziata immediatamente appena la notizia si è diffusa. Gli studenti della Sapienza di Roma, università dove Khaled studia Lingue e civiltà orientali, hanno organizzato incontri e proteste. Immediata reazione anche da parte di Amnesty International: l’organizzazione per i diritti umani ha attivato una campagna chiedendo alle autorità israeliane di scarcerarlo e a quelle italiane di agire per la liberazione del loro cittadino. Eppure dal governo italiano non è giunta una sola parola sulla vicenda. Non una dichiarazione dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, non una parola dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. Non una parola nemmeno dall’Ambasciata italiana a Tel Aviv, che sul proprio canale social pubblica di tutto: dagli auguri per il capodanno ebraico al bando del premio Rita Levi Montalcini, passando per il benvenuto ai nuovi stagisti. Di tutto tranne un comunicato su ciò di cui dovrebbe primariamente occuparsi: la tutela dei cittadini italiani nella nazione in cui opera. Le autorità italiane non hanno trovato nemmeno a fare da pungolo le solite testate “progressiste” del mainstream italiano. La Repubblica, giornale che fece campagna incessante per la liberazione di Patrik Zaki, aggiornandoci su ogni notizia e offrendo al ricercatore egiziano il ruolo di editorialista, sulla vicenda di Khaled El Qaisi ha dedicato un unico articolo per comunicare l’arresto, tra l’altro con due settimane di ritardo sul fatto. Un silenzio condiviso da tutti gli altri giornaloni.

Fin troppo facile vedere nel doppio standard adottato la connivenza del governo e dei media italiani verso le politiche dello stato di Israele. Una ennesima dimostrazione di come i diritti umani, per l’apparato dominante politico-mediatico, siano un principio da difendere solo all’occorrenza e a targhe alterne: con grande passione quando chi li viola sono Paesi avversari o dei quali si può comunque parlare senza temere conseguenze; quanto trascurabile quando invece si tratta di un potente alleato con il quale si intrattengono fiorenti rapporti politici e militari, come nel caso di Israele.

La colpa di Khaled El Qaisi è evidentemente quella di essere un cittadino di origine palestinese e di battersi per contrastare con la forza delle parole l’occupazione israeliana attraverso il “Centro di documentazione palestinese”, una organizzazione da lui fondata. Per questo è detenuto senza alcuna accusa formalizzata in un carcere israeliano: una condizione che lo accomuna ad altri 860 palestinesi, inclusi decine di minorenni, che sono rinchiusi nelle prigioni dello Stato sionista sotto il regime della “detenzione amministrativa”, senza accuse né processo. Un regime di carcerazione illegittimo secondo ogni principio di legge internazionale, applicato da parte di uno Stato che sottopone i palestinesi ad un sistema di apartheid e discriminazione razziale, secondo quanto certificato dal rapporto del Relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani, Michael Lynk, nel marzo 2022. Non abbastanza, evidentemente, per gridare allo scandalo per il governo Meloni (che della difesa dei cittadini italiani nel mondo ha sempre fatto una bandiera) né per i media dominanti che continuano a definire Israele “l’unica democrazia del Medio Oriente”, omettendo e piegando costantemente la realtà dei fatti.

Per domani, 21 settembre, è fissata una nuova udienza in tribunale per Khaled El Qaisi. Il giudice potrebbe decidere, in modo del tutto arbitrario come accade nelle dittature, di liberarlo oppure di prolungare la sua detenzione senza formulare nessuna accusa. Sui giornali dominanti non leggerete nulla, su L’Indipendente – dove crediamo che i diritti umani siano da difendere sempre e non solo a convenienza – cercheremo invece di tenervi aggiornati.

[di Andrea Legni – direttore de L’Indipendente]

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