giovedì 2 Maggio 2024

Tensioni tra Romania e Kosovo: quando il calcio incontra la politica

La partita di calcio tra Romania e Kosovo, giocatasi martedì sera all’Arena Nationala di Bucarest, era appena iniziata da un quarto d’ora quando l’arbitro ha deciso di richiamare i giocatori negli spogliatoi, sospendendo il match per circa 45 minuti. La causa? I cori e gli striscioni realizzati dai padroni di casa, che hanno portato la politica sugli spalti esibendo scritte eloquenti, come “Bessarabia è Romania” e “Kosovo è Serbia”. Per capirne il legame è necessario tornare al 17 febbraio 2008, quando Pristina proclamò unilateralmente l’indipendenza da Belgrado. La Romania, così come Spagna, Cipro, Grecia e Slovacchia, si rifiutò di riconoscere tale cambiamento nello status quo, preoccupata dalle istanze di autonomia avanzate dalla minoranza magiara. Inoltre, facendo leva su questa interpretazione del principio di integrità territoriale, Bucarest non ha abbandonato le rivendicazioni sulla Bessarabia, regione sotto il controllo di Bucarest tra le due guerre mondiali e oggi coincidente in gran parte con la Moldavia. A fare da sfondo ai cori pro-Belgrado inscenati martedì sera è, infine, la questione religiosa, con Romania e Serbia accomunate dalla fede ortodossa.

Tifosi romeni espongono striscione con scritto “Kosovo è Serbia”.

I magiari di Romania sono la principale minoranza etnica del Paese, dove si contano circa 1 milione e mezzo di ungheresi (6,5% della popolazione). I magiari vivono principalmente in Transilvania, regione storicamente contesa tra Bucarest e Budapest. A seguito della prima guerra mondiale e del crollo dell’Impero austro-ungarico, la Transilvania venne infatti assegnata alla Romania dal Trattato di Trianon del 1920. Il trasferimento territoriale ha portato una significativa minoranza ungherese all’interno del Paese, che ancora oggi continua a vivere nella regione. Da allora gli ungheresi transilvani hanno sempre avuto un rapporto travagliato con il governo centrale di Bucarest, responsabile di diversi tentativi di assimilazione culturale, perlopiù falliti dal momento che hanno scalfito l’identità della regione solo in minima parte. Gli esecutivi romeni cercano di mantenere il proprio controllo in loco attraverso una forte presenza militare sul territorio e sostenendo le istituzioni ecclesiastiche ortodosse, che agiscono da presidio ideologico nei confronti degli ungheresi, di tradizione cattolica. La maggiore sponda politica della minoranza magiara è l’Alleanza Democratica degli Ungheresi di Romania, che dal 1989 chiede autonomia territoriale per il Székelyföld (o Terra dei Siculi, dove il vive il nucleo principale della popolazione magiara) e autonomia culturale per tutti gli ungheresi del Paese. Istanze che Bucarest respinge, recidendo i rapporti con quelle esperienze estere (come il Kosovo) suscettibili di alimentare l’indipendenza magiara.

La Bessarabia è invece una regione storica compresa tra i fiumi Prut e Nistro, che nel 1918 ottenne l’indipendenza sulle ceneri dell’Impero russo. Nello stesso anno venne assorbita da Bucarest, diventando una provincia orientale della Grande Romania (espressione con cui viene indicato il territorio romeno tra il 1918 e il 1941). Dopo la seconda guerra mondiale, la Bessarabia fu annessa da Mosca, diventando la Repubblica Socialista Sovietica Moldava. Nel 1991, a seguito della dissoluzione dell’URSS, si trasformò nella Repubblica di Moldavia, da cui si sono staccate con un moto secessionista russofono alcune città, dando vita alla Transnistria, uno Stato non riconosciuto a livello internazionale. Oggi gran parte della regione storica della Bessarabia coincide con la Moldavia mentre la restante area meridionale è sotto l’amministrazione ucraina.

Mappa della Bessarabia, crediti: Wikipedia.

Dopo la Rivoluzione romena del 1989, che portò al crollo del regime dittatoriale di Nicolae Ceaușescu, nacque il Movimento per l’unificazione della Romania e della Moldavia, ispirato al periodo interbellico. Raggiunta l’indipendenza, la Moldavia adottò la bandiera romena con uno scudo moldavo al centro e scelse come inno nazionale quello in vigore a Bucarest. Tuttavia, la possibile fusione con la Romania venne frenata dal Fronte Popolare Moldavo, che da movimento di opposizione era nel frattempo salito al potere. Col passare degli anni, il sentimento unionista è scemato, soprattutto a Chisinau, senza però sparire dal dibattito pubblico e dalle agende politiche. I principali movimenti unionisti si chiamano Noii Golani, Deşteptarea e Basarabia – Pământ Românesc. L’unificazione trova sostegno in fette più o meno ampie della popolazione, tanto rumena quanto moldava, variando a seconda del contesto sociale o delle radici familiari. Ad esempio, i moldavi di origine russa, ucraina o gaugaza tendono a essere contrari all’unione con la Romania, preferendo l’attuale divisione. L’unificazione va tenuta distinta dall’irredentismo, che ha invece come base l’elettorato nazionalista romeno (protagonista martedì scorso all’Arena Nationala) e come maggior espressione politica il partito ultra-conservatore Grande Romania.

A destare preoccupazione a Bucarest, in ottica di un’eventuale unificazione con Chisinau, è la situazione della Transnistria, uno Stato non riconosciuto ma indipendente de facto, che si opporrebbe fortemente a un avvicinamento amministrativo tra Bucarest e Moldavia, da cui almeno formalmente dipende. In particolare, preoccupa il rischio che la Transnistria utilizzi il precedente del Kosovo per rafforzare la propria posizione, anche e soprattutto a livello internazionale, dove si gioca l’importante partita del riconoscimento statale. Timori simili sono al centro delle agende politiche di Slovacchia, Grecia, Cipro e Spagna, gli altri Paesi dell’Unione europea che non riconoscono il Kosovo per le conseguenze che tale scelta avrebbe sulle questioni interne secessioniste. Madrid, ad esempio, fa i conti con diversi movimenti indipendentisti, con sede soprattutto in Catalogna e nei Paesi Baschi, per anni associati alle azioni dell’organizzazione armata Euskadi Ta Askatasuna (ETA).

[di Salvatore Toscano]

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2 Commenti

  1. L’identita’ nazionale significa radici socio-culturali simili, simile cultura e quindi radici e modo di essere ed esprimersi e concepire i rapporti all’interno della propria societa’, comune sentire di appartenenza storica ed eventualmente religiosa; e difesa di tutto cio’ dall’omologazione che ci vuole non simili, ma tutti uguali come fotocopie. Rispetto e capisco quindi che un Catalano non si senta spagnolo, e cosi’ un Corso francese, un Vallone belga, uno Scozzese inglese, un Kosovaro serbo, e un Serbo un semplice jugoslavo.
    In altre parole stare in buon vicinato non significa dover stare per forza assieme…specialmente quando ci sono elementi culturali confliggenti. Basta guardare all’Europa ove il primo ad accoltellarti e’ spesso il paese accanto…il regno dei sogni del “vogliamoci tutti bene” e’ fantasia: non basta comprare tutti su amazon per dover per forza convivere ed usare il muticulturalismo come mezzo per staccare i crocefissi dalle scuole e sostituire l’augurio di “Buon Natale” con l’ipocrita “buone feste”…

  2. Personalmente non amo molto questa impostazione genere NATO di approfondire le tensioni da un’ottica Imperialista di divide et Imperat.
    Meglio sarebbe fregarsene come gli antichi ci hanno insegnato, De minimis non curat Praetor e come l’Inghilterra del 700 prima del più grande boom economico mai registrato da un singolo paese, vedere solo lo sviluppo scientifico e commerciale della regione.
    I conflitti di scientifico non hanno nulla son solo frutto di ignoranza non a caso si riferiscono a differenziazioni continue, mentre la scienza parla la lingua dei numeri e per usare i numeri non ci sono Magiari e Ungheresi ma uomini uguali più o meno soddisfatti: Parlatemi di un Milione di uomini con soddisfazione 55/100 e ci capiremo.

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