domenica 6 Ottobre 2024

Brasile: proiettili contro gli indigeni alla vigilia del Vertice sull’Amazzonia

Tre membri del popolo indigeno Tembé sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco nella zona di Tomé-Açu, nel nord-est dello Stato del Pará, in Brasile, da alcuni addetti alla sicurezza della società Brasil BioFuels (BFF). Il fatto è avvenuto a poche ore dall’inizio, a Belém (capitale del Parà), della due giorni organizzata dai membri dell’Amazon Cooperation Treaty Organization (ACTO), un gruppo formato da otto nazioni (Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela) che hanno nel loro territorio una parte di foresta amazzonica, volta a individuare una strategia comune in difesa dell’Amazzonia, affinché questa possa continuare a vivere. L’omicidio dei tre indigeni ha scatenato forti proteste: almeno un centinaio di indigeni, provenienti da varie regioni del Brasile, si sono infatti radunati in città per accendere i riflettori sulle continue violazioni dei diritti umani che subiscono nei loro territori.

La BFF sfrutta l’olio di palma nella zona di Tomé-Açu, utilizzandolo per generare biodiesel, un combustibile ottenuto dagli oli vegetali con cui, nei prossimi anni, intende rifornire le principali compagnie aeree nazionali. Tuttavia le popolazioni indigene locali sostengono che le piantagioni di olio di palma della BBF occupino territori che in realtà gli appartengono e che i pesticidi impiegati per mantenerle rigogliose stiano inquinando terreno e corsi d’acqua. Per mettere a tacere il dissenso la stessa società – come documentato da Repórter Brasil – incarica polizia e guardie private di utilizzare la forza. «Ci sparano addosso, sta diventando un vero e proprio massacro a Tomé-Açu. Chiediamo urgentemente aiuto», ha commentato Paulo Turiwara, un leader indigeno della regione.

Nonostante gli indigeni combattano per le proprie terre da centinaia di anni, la loro sopravvivenza è costantemente messa a rischio – soprattutto perché Governi regionali e nazionali non mostrano particolare interesse nel difenderli. E questo si riflette nella condizione della foresta stessa che, a sua volta, ha bisogno che le tribù locali si battano per lei per sperare di vivere ancora a lungo. Per questo motivo, nel piano di salvaguardia dell’Amazzonia, garantire un posto per la protezione degli indigeni è di vitale importanza, in un rapporto di reciproca dipendenza.

Ad oggi, invece, sono loro le principali vittime delle distruzioni ambientali. Gli Yanomami, per esempio, hanno a lungo abitato una vasta area di foreste incontaminate al confine tra Brasile e Venezuela, vivendo di pesca, caccia e raccolta di frutta. La loro comunità conta ad oggi circa 29.000 individui, tutti concordi nel pensare di stare correndo il serio rischio di perdere le proprie terre, la cultura e il modo di vivere tradizionale. Negli ultimi anni l’oro e altri preziosi minerali, presenti in abbondanza sotto il loro territorio, hanno attirato un’ondata di cercatori illegali che, per raggiungere il proprio intento, hanno abbattuto foreste, avvelenato fiumi e portato malattie mortali alla tribù.

Nonostante negli ultimi mesi siano stati compiuti piccoli passi avanti – il Brasile, per citarne uno, ha istituito sei nuove riserve indigene – e i problemi siano ormai evidenti e comuni a tutti i Paesi amazzonici, le soluzioni e i punti di vista non sempre convergono. Gli interessi famelici dei grandi produttori agricoli, dei cercatori di minerali, dell’industria del legno e di quella estrattiva riescono ancora troppo spesso a corrompere le amministrazioni del posto, quelle stesse che invece dovrebbero lottare per salvaguardare ciò che li nutre.

[di Gloria Ferrari]

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