venerdì 3 Maggio 2024

Le università americane reintroducono la didattica a distanza per fermare le proteste

I campus americani sono attraversati da animate manifestazioni filopalestinesi che, per la loro portata e la loro risonanza, stanno allertando le istituzioni, i media e la politica americana. A causa dell’entità del fenomeno, caratterizzato da repressione e arresti, lunedì 22 aprile la Columbia University di New York ha reso noto che sta cancellando le lezioni in presenza per passare alla didattica a distanza al fine di «attenuare il rancore e dare a tutti noi la possibilità di considerare i prossimi passi». La decisione di svolgere le lezioni online è stata presa in seguito all’iniziativa degli studenti di allestire tende da campo nell’università per protestare contro l’eccidio dei palestinesi. Le proteste studentesche che, come sta avvenendo negli atenei italiani, sono incentrate soprattutto sulla richiesta di cessare i progetti di ricerca legati a Israele, hanno subito suscitato le solite accuse di antisemitismo, sebbene le manifestazioni non siano contro gli ebrei, bensì contro il massacro di Gaza e la complicità politica degli Stati Uniti.

Il corpo studentesco del Columbia College mentre approva a stragrande maggioranza un referendum che chiede all’Università di disinvestire da Israele, annullare l’apertura del Tel Aviv Global Center e porre fine al programma di doppia laurea dell’Università di Tel Aviv.

I manifestanti, infatti, hanno criticato il presidente degli USA, Joe Biden, per aver fornito armi e finanziamenti a Israele e, non a caso, è stato proprio il presidente americano ad aver parlato di antisemitismo: «Anche negli ultimi giorni abbiamo assistito a molestie e inviti alla violenza contro gli ebrei», ha affermato, aggiungendo che «questo palese antisemitismo è riprovevole e pericoloso e non trova assolutamente posto nei campus universitari o in qualsiasi parte del nostro Paese». Gli studenti hanno risposto a stretto giro alle accuse spiegando che alcuni degli stessi organizzatori delle proteste sono ebrei e che sono state organizzate preghiere sia musulmane che ebraiche all’interno dei campus.

Dalla scorsa settimana, sono diverse le università americane coinvolte nelle proteste e in cui sono stati effettuati diversi arresti: la presidente della Columbia University ha chiamato la polizia di New York per sgomberare un accampamento di tende allestito dagli studenti sul prato principale dell’università che, secondo l’istituzione accademica, andrebbe contro il regolamento interno. In seguito alla chiamata, giovedì scorso la polizia ha arrestato più di cento studenti con l’accusa di violazione di domicilio, mentre decine di loro sono stati sospesi. Ma la Columbia non è l’unico ateneo ad essere stato protagonista di queste vicende: la polizia ha arrestato decine di persone anche alla Yale University nel Connecticut e alla New York University a Manhattan lunedì. Alla Yale University a New Haven, nel Connecticut, gli studenti avevano bloccato il traffico intorno al campus, chiedendo che l’università venisse disinvestita dai produttori di armi. Secondo il giornale dell’ateneo gestito dagli studenti, sarebbero stati arrestati più di 45 manifestanti. Alla New York University, invece, gli agenti si sarebbero scagliati sui manifestanti e un video sui social mostra gli agenti che smontano le tende nell’accampamento allestito dagli universitari, secondo quanto riferito da Reuters. Allo stesso tempo, i repubblicani al Congresso e un senatore democratico avrebbero chiesto le dimissioni della presidente della Columbia, Shafik, che la scorsa settimana ha testimoniato davanti a una commissione della Camera dei Rappresentanti, difendendo la risposta della scuola al presunto antisemitismo dei manifestanti. Contemporaneamente, il principale donatore della Columbia University, Robert Kraft, uomo d’affari americano ed ebreo, ha minacciato di tagliare i finanziamenti all’istituzione accademica: «Non mi sento a mio agio nel sostenere l’università finché non verranno intraprese azioni correttive», ha dichiarato.

Il dissenso, soprattutto per quanto riguarda la questione palestinese e la relativa condotta degli Stati occidentali e degli Stati Uniti, è sempre più mal tollerato dalle istituzioni delle liberal-democrazie per via della sua portata e della difficoltà nel contenerlo e neutralizzarlo: anche in Italia e in Europa si sta assistendo a molti casi di repressione e ad accuse pretestuose di antisemitismo. Un quadro repressivo dove anche la reintroduzione delle misure emergenziali dell’era pandemica torna buona, come la “didattica a distanza” online, pur di non mostrare lo scollamento tra le decisioni dei governi occidentali e l’opinione pubblica. In quest’ottica la didattica a distanza diviene uno strumento per mettere a tacere il dissenso e mantenere l’ordine pubblico, come in Italia era già avvenuto per mano di alcuni presidi particolarmente zelanti (come nel marzo 2022 in un liceo di Lugo di Ravenna). In questo senso, la pandemia si è rivelata un fondamentale laboratorio di sperimentazione e, come aveva profetizzato l’allora presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, la sua struttura da emergenziale è facilmente tramutabile in ordinaria o, comunque, può essere rispolverata ogniqualvolta ce ne sia bisogno, come ha mostrato il caso della Columbia University.

[di Giorgia Audiello]

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