lunedì 29 Aprile 2024

Spagna, sorpresa alle urne: nessuna maggioranza per i conservatori

Contrariamente a quanto pronosticato dai sondaggi l’alleanza conservatrice tra i Popolari e la destra nazional-liberista di “Vox” non otterrà la maggioranza necessaria per governare la Spagna. Ancora mancano i voti dall’estero, ma i risultati sono delineati, il Partito Popolare si attesta al 33% ottenendo 136 seggi, mentre Vox si ferma ad un deludente 12,4% (molto meno del 20% di cui lo accreditavano alcuni sondaggi e con risultati addirittura inferiori al 2019) ottenendo 33 seggi. Il totale del centro-destra si ferma quindi a 169 seggi contro i 176 necessari per avere la maggioranza in Parlamento. Tiene l’alleanza di sinistra dell’ex premier Sanchez: i socialisti conquistano 122 seggi (erano 120 nel 2019) e la sinistra radicale “Sumar” è a 31: totale 153 seggi. Decisivi per formare una ipotetica maggioranza saranno i partiti indipendentisti baschi e catalani: il loro sostegno a un governo che al suo interno abbia i nazionalisti spagnoli di Vox appare tuttavia irrealistico, mentre quello a un nuovo esecutivo guidato da Sanchez potrebbe – numeri alla mano – non bastare a formare una maggioranza stabile. A questo punto non è certo improbabile un rapido ritorno alle urne.

I cittadini spagnoli hanno vissuto un 23 luglio bollente, non soltanto per il caldo. Il 69,83% degli aventi diritto al voto (circa 25 milioni di persone su 37,4) si è recato alle urne per decidere la composizione del Parlamento e le forze politiche a cui affidare le chiavi del governo iberico. Nonostante la data inedita – per la prima volta la Spagna ha votato d’estate – l’affluenza alle urne ha guadagnato un 3,6% rispetto al 2019. In generale, da quando è stato introdotto nel 2015 il voto per corrispondenza, l’affluenza alle elezioni generali sfiora il 70%. Un andamento costante che appare anomalo se paragonato alla spirale astensionista in cui è finita l’Europa, Italia in primis: di recente, la Camera dei Deputati ha approvato una legge delega “in materia di esercizio del diritto di voto per i fuori sede” che si è rivelata sostanzialmente vuota e inadatta a tutelare il diritto al voto di 4,9 milioni di italiani che lavorano o studiano lontano dai comuni di residenza.

Alle elezioni del 23 luglio il Partito Popolare, guidato da Alberto Núñez Feijóo, ha ottenuto un voto su tre, conquistando 136 seggi nel Congresso, la camera più importante del Parlamento spagnolo composta da 350 deputati. Sarebbero bastati 40 seggi di Vox per permettere al blocco conservatore di conquistare la maggioranza assoluta, tuttavia il partito di Santiago Abascal si è fermato a quota 33, registrando un pesante passo indietro rispetto alle elezioni del 2019, quando mandò al Congresso ben 52 deputati. Una fase di stallo che ad oggi pare impossibile superare, dal momento che il supporto necessario a raggiungere il traguardo dei 176 seggi non arriverà dai partiti localisti, anche di centrodestra, per via della rottura politica con Vox.

«Grazie a tutta la Spagna perché abbiamo dimostrato di essere una democrazia forte e pulita: abbiamo ottenuto più voti e più seggi rispetto a quattro anni fa», ha dichiarato l’attuale primo ministro Pedro Sánchez. La presenza del PSOE nel Congresso aumenta di due seggi, passando dai 120 del 2019 a 122. Venerdì prossimo verranno inclusi nei risultati anche i voti dei 200 mila residenti all’estero; i socialisti sperano in un’improbabile incremento di tre o quattro seggi, cosa che permetterebbe il raggiungimento della maggioranza assoluta in un’ampia coalizione formata da PSOE, Sumar e i partiti localisti come ERC (centrosinistra  catalano). Sumar ha conseguito un risultato insperato alla vigilia: la coalizione di sinistra comprendente 16 movimenti politici (tra cui l’omonimo guidato da Yolanda Diaz) ha conquistato il 12,3% delle preferenze, ottenendo 31 seggi nel Congresso. Come ministra del Lavoro, Diaz si è fatta promotrice dei principali provvedimenti nel settore, dal sostegno all’occupazione alla lotta alla precarietà. Impegni che Sumar aveva rilanciato in campagna elettorale insieme a una massiccia tutela dei diritti e a una certa sensibilità per la transizione ecologica.

Di visione diametralmente opposta Vox, che ricorda Fratelli d’Italia ai tempi dell’opposizione e per questo preoccupa Bruxelles. A Valencia, in uno degli ultimi comizi di piazza, è apparsa in collegamento proprio la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, particolarmente vicina a Santiago Abascal. Quest’ultimo, ispirato da una visione economica neoliberista, ha messo al centro del suo programma “la sicurezza dei cittadini messa a rischio dai migranti irregolari” e “la tutela dell’identità spagnola”. Nelle scorse settimane Vox aveva lanciato lo slogan “Decide lo que importa”, accompagnato da un’immagine abbastanza esplicativa: una mano che getta in un cestino diversi simboli, tra cui la falce e martello, l’estelada (la bandiera dell’indipendenza catalana), la bandiera arcobaleno e il logo dello sviluppo sostenibile e dell’agenda 2030.

Il tonfo elettorale di Vox ha penalizzato il Partito Popolare, che alla vigilia pregustava la vittoria del blocco conservatore, forte dei risultati ottenuti alle recenti amministrative. Il programma dei popolari è riassumibile con la parola riduzione: in ambito economico spiccava la riduzione dell’IRPEF per i redditi inferiori a 40.000 euro all’anno, mentre per quanto riguarda le recenti riforme approvate in Spagna l’obiettivo era ridurre il campo di applicazione dell’eutanasia e dell’aborto. Lo scorso febbraio, l’esecutivo guidato dal PSOE aveva esteso il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza consentendolo alle minorenni, dai 16 anni in su, senza il consenso dei genitori. Una riforma accompagnata dalla norma per “l’uguaglianza reale ed effettiva delle persone trans” e dall’introduzione (inedita a livello europeo) dei congedi per cicli mestruali “invalidanti”, ottenibili con un certificato medico e coperti integralmente dallo Stato.

Il governo Sánchez si è poi distinto per la realizzazione di diverse misure di stampo socialdemocratico. Per rilanciare un’economia messa all’angolo dal Covid e dalla guerra in Ucraina, la Spagna ha varato un piano contro il caro vita, disponendo forti sconti sugli abbonamenti di bus, metro e treni. A fine 2022, l’esecutivo ha annunciato l’azzeramento dell’IVA sui beni alimentari di prima necessità e a marzo ha innalzato il salario minimo a 1080 euro (dai 1000 precedenti). Misure che si inseriscono in un piano programmatico, inquadrato dalla legge di Bilancio per il 2023. Nella manovra iberica è stata infatti approvata la spesa sociale più alta di sempre per il Paese (274 miliardi di euro), rispondendo dunque all’inflazione con risorse e investimenti resi possibili dalla tassazione a banche, compagnie energetiche e grandi patrimoni.

Nei prossimi giorni inizieranno le consultazioni, con il re Filippo VI che affiderà un mandato esplorativo dall’improbabile esito favorevole. A meno di colpi di scena, come l’eventuale coalizione di governo tra PP e il PSOE o l’aperture dei partiti localisti a Vox, i cittadini spagnoli saranno presto richiamati alle urne. È dunque rimandato di qualche mese uno degli ultimi test utili a intercettare il vento che interesserà Strasburgo nel 2024, in occasione del rinnovo del Parlamento europeo.

[di Salvatore Toscano]

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