lunedì 29 Aprile 2024

Gli USA volano a Pechino: si riapre il canale della diplomazia tra le superpotenze

Il segretario di Stato americano Antony Blinken si è recato in Cina nel tentativo di riaprire il canale diplomatico tra le due superpotenze. Negli ultimi mesi, il rapporto tra Washington e Pechino ha infatti raggiunto i minimi storici, complici le visioni differenti sullo sviluppo della guerra in Ucraina, la questione di Taiwan e il futuro della governance globale. Posizioni distanti che, come previsto, hanno impedito la firma di nuove intese o accordi. Durante il suo viaggio, Blinken ha comunque incontrato il ministro degli esteri Qin Gang e il principale funzionario incaricato delle questioni diplomatiche all’interno del Partito comunista cinese Wang Yi. In mattinata si è tenuto il colloquio con il presidente Xi Jinping, che ha specificato come «il futuro dell’umanità dipenda dalla corretta coesistenza di Cina e Stati Uniti». Un’occasione per sgonfiare l’escalation verbale intrapresa dalle due superpotenze negli ultimi mesi e aprire al dialogo.

Sono passati cinque anni dall’ultimo viaggio in Cina di un segretario di Stato americano. Arrivato a Pechino, Antony Blinken ha incontrato per la prima volta il suo omologo Qin Gang, con il quale ha avuto colloqui «franchi, sostanziali e costruttivi». Meno disteso il confronto con una delle più alte cariche del Partito comunista cinese, Wang Yi. Quest’ultimo ha infatti dichiarato che Pechino non ha «alcun margine di compromesso» su Taiwan. «Gli Stati Uniti devono aderire veramente al principio dell’Unica Cina confermato nei tre comunicati congiunti USA-Cina, rispettare la sovranità e l’integrità territoriale del Paese e opporsi chiaramente all’indipendenza di Taiwan», ha poi aggiunto Yi.

Il riferimento è all’ambiguità strategica di Washington, che da un lato riconosce l’Unica Cina e dall’altro conserva il Taiwan Relations Act, una legge del 1979 che obbliga gli USA a dotare l’isola delle forniture militari “necessarie al mantenimento di una sufficiente capacità di autodifesa”. Tale ambiguità è stata confermata lo scorso settembre, quando Joe Biden parlò di difesa militare statunitense nel caso di attacco cinese all’isola e dalla Casa Bianca seguì prontamente la smentita. Durante l’incontro con Xi Jinping, Antony Blinken ha ribadito tale linea, assicurando che Washington «non sostiene l’indipendenza di Taiwan». La riapertura del canale diplomatico tra le due superpotenze potrebbe portare gli Stati Uniti, e dunque l’Occidente, a non considerare più la Cina un pericolo bensì una risorsa per arrivare alla fine del conflitto in Ucraina. Uno scenario difficile e comunque non immediato, soprattutto alla luce della subordinazione della diplomazia nei confronti dell’indiscriminato invio di armi a Kiev.

Il fronte che più divide le visioni statunitensi da quelle cinesi è l’economia. Gli sviluppi del mondo globalizzato, avviatosi verso il declino della guida unipolare, aprono nuovi scenari ed equilibri di potere. Gli Stati Uniti, forti della natura di prima potenza economica e militare, cercano di posticipare il più possibile questo momento, mentre la Cina conclude accordi e media in contesti ritenuti storicamente ostili, come nel caso dell’intesa di pace e di cooperazione firmata da Arabia Saudita e Iran. Un “favore” che potrebbe essere presto restituito a Pechino e al gruppo informale dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), i quali cercano soci per permettere l’ascesa della New Development Bank (NDB). L’istituzione è stata creata nel 2015 con l’obiettivo di finanziare progetti di sviluppo nei paesi emergenti, utilizzando però la valuta dei Paesi membri e non il dollaro. A detenere quote della banca sono, oltre i Paesi BRICS, Uruguay, Bangladesh, Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Nelle ultime settimane si è fatta strada l’ipotesi di un ampliamento all’Arabia Saudita, il più grande esportatore di petrolio del mondo.

S’intende che il viaggio diplomatico di un segretario di Stato non possa cambiare gli equilibri tra due superpotenze come Cina e Stati Uniti. Ciò non toglie la necessità di coltivare il dialogo per evitare la stabilizzazione delle strategie della tensione, che hanno pesanti ripercussioni sul benessere dei cittadini, esposti quotidianamente alla narrazione del pericolo permanente, nonché sulla composizione degli investimenti interni, sempre più orientati al riarmo.

[di Salvatore Toscano]

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