venerdì 29 Marzo 2024

La Commissione europea ha presentato il nuovo Patto di stabilità e crescita

La Commissione europea ha presentato le modifiche al Patto di stabilità e di crescita, lo strumento comunitario che disciplina il pareggio di bilancio nei Paesi membri. Si è ripetuto lo scontro tra gli Stati frugali, capitanati dalla Germania, e gli Stati che chiedevano maggiore flessibilità: il risultato scontenta tutti e in particolare i membri anti-austerity, che saranno chiamati a un maggior rigore. Come prima della sospensione del Patto dovuta alla pandemia, i Paesi dovranno rispettare i classici limiti al deficit e al debito pubblico, fissati rispettivamente al 3% e al 60% del PIL. Dunque nessun ritocco al ribasso, come chiesto dai frugali, o al rialzo. Introdotto invece un nuovo strumento di controllo individuale, sulla falsariga del PNRR: un piano di aggiustamento dalla durata di 4 o 7 anni, al termine dei quali il rapporto tra debito pubblico e PIL dovrà essere più basso. Per i Paesi indebitati, non in linea con i limiti del 3% e 60%, al centro di ogni accordo ci sarà quindi un taglio della spesa pubblica.

Il Patto di stabilità e crescita revisionato sarà sottoposto al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio. Secondo gli auspici della Commissione dovrebbe entrare in vigore nel 2024, l’anno in cui verranno ripristinati i parametri di Maastricht sospesi a causa delle difficoltà finanziarie degli Stati seguite alla crisi pandemiche e a quella energetica. Con le modifiche apportate dalla Commissione, il Patto si alleggerirà di una clausola vigente, ma in pratica mai rispettata, secondo cui chi ha un debito superiore al 60% del PIL deve ridurre “l’eccesso” di un ventesimo ogni anno. Introdotto, invece, quello che l’ex consigliere della Banca Centrale Europea (BCE) Lorenzo Bini ha definito «un commissariamento della politica di bilancio dei Paesi ad alto debito, in particolare dell’Italia». Prendendo in considerazione i nuovi parametri, i tecnici della Commissione europea hanno elaborato l’intervento che il nostro Paese dovrebbe realizzare per risanare i conti pubblici: si tratta di una manovra correttiva (leggasi riduzione della spesa) da 8-15 miliardi di euro l’anno, pari allo 0,45% o 0,85% annuo del PIL su un periodo di 7 o 4 anni. I piani, secondo quanto disposto dalla Commissione, saranno quadriennali, eventualmente prorogabili dopo “attente osservazioni”. Da Bruxelles fanno notare che con le attuali regole l’Italia andrebbe incontro a un aggiustamento annuale dello 0,6% del PIL “fino al raggiungimento dell’obiettivo”.

Al di là delle cifre, a cambiare per i Paesi indebitati sarà la pressione maggiore di Bruxelles con cui, proprio come avvenuto col PNRR, andrà elaborato il piano di aggiustamento. Gli Stati membri dovranno attenersi alla traiettoria tecnica tracciata nei piani, i quali saranno valutati dalla Commissione e approvati dal Consiglio,  nel predisporre i progetti di bilancio e spesa pluriennali. «Il nuovo Patto di stabilità impone una rigorosa revisione della spesa, di tutta la spesa, compresi gli investimenti», ha commentato il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, per poi aggiungere:«La spending review dovrebbe riguardare anche gli investimenti del PNRR che hanno un impatto sugli obiettivi». Una stretta, insomma, su quella voce di spesa capace di interrompere la spirale in cui sprofonda uno Stato per risanare il proprio debito. Quando si verifica un disavanzo tra entrate e uscite, un Paese deve emettere dei titoli di debito (o titoli di Stato) con cui paga tale spesa in eccesso. Ai creditori spetta, in un futuro più o meno remoto, la cifra maggiorata da un tasso di interesse, definito il prezzo dell’attesa o del rischio. Dunque sul Paese graverà un’ulteriore voce di spesa, data dalla somma dei tassi. La via per interrompere tale vortice è quella degli investimenti efficaci, capaci di aumentare l’economia complessiva del Paese. Alla luce delle politiche neoliberiste dell’Unione europea, pare chiaro l’obiettivo di ridurre il ruolo dello Stato, e dunque della spesa pubblica, rimpiazzandolo con il settore privato.

I governi nazionali dovranno, infine, presentare relazioni periodiche sullo stato di avanzamento per facilitare il monitoraggio sull’attuazione degli impegni. «Se il Paese non si adegua viene messo automaticamente in procedura per disavanzo eccessivo e i mercati potrebbero reagire negativamente», ha dichiarato Lorenzo Bini. Applicando le nuove regole, in caso di procedura d’infrazione l’Italia potrebbe essere chiamata a versare multe per 950 milioni di euro ogni sei mesi, fino a un massimo cumulabile di 9,5 miliardi di euro.

[di Salvatore Toscano]

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