mercoledì 11 Dicembre 2024

No, la “Trattativa Stato-mafia” non può essere smentita dalla Cassazione

La Corte di Cassazione ha messo la parola fine a uno dei processi più importanti della storia recente del nostro Paese: quello sulla “Trattativa Stato-mafia“. Gli ermellini hanno assolto in via definitiva dal reato di “violenza o minaccia a corpo politico dello Stato” l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri – che ha da poco finito di scontare una pena a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa, comminatagli in un processo parallelo – e gli ex vertici del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno per “non aver commesso il fatto”. Prescritti, invece, i mafiosi Leoluca Bagarella e Antonino Cinà a causa della riqualificazione del reato nella forma “tentata”. La sentenza è stata accolta con giubilo da molti dei giornali mainstream e da grossi personaggi della politica italiana, che in queste ore continuano a ripetere in coro che la trattativa Stato-mafia non sarebbe mai esistita. Cioè una gigantesca menzogna.

Ma andiamo con ordine. Tecnicamente, la Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Palermo il 23 settembre 2021, in cui i mafiosi erano stati condannati e gli uomini dello Stato assolti (gli ex Ros perché “il fatto non costituisce reato”; Dell’Utri per “non aver commesso il fatto”). In primo grado, nel 2018, sia gli uomini dello Stato che i membri di Cosa Nostra erano invece stati raggiunti da condanne pesantissime. La Corte Suprema ha diramato un comunicato in cui ha sinteticamente spiegato le ragioni del verdetto. “La sentenza – si legge – ha confermato la decisione della Corte di assise di appello di Palermo nella parte in cui ha riconosciuto che negli anni 1992-1994 i vertici di Cosa Nostra cercarono di condizionare con minacce i Governi della Repubblica italiana (Governi Amato, Ciampi e Berlusconi), prospettando la prosecuzione dell’attività stragista se non fossero intervenute modifiche nel trattamento penitenziario per i condannati per reati di mafia ed altre misure in favore dell’associazione criminosa”. I giudici proseguono scrivendo che, nei confronti di Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, in relazione alle minacce ai danni dei Governi Ciampi e Amato, la prescrizione è intervenuta “essendo decorsi oltre 22 anni dalla consumazione del reato tentato”. Inoltre, la Corte “ha escluso ogni responsabilità degli ufficiali del Ros, Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno – peraltro già assolti in appello sotto il profilo della mancanza di dolo – negando ogni ipotesi di concorso nel reato tentato di minaccia a corpo politico”, mentre in merito alla minaccia nei confronti del Governo Berlusconi, di cui erano accusati Marcello Dell’Utri e Bagarella, “la sentenza ha confermato quanto deciso dalla Corte d’Assise di appello di Palermo, che ha riconosciuto l’estraneità del primo e che ha dichiarato la prescrizione del reato nei confronti di Bagarella”.

Come era ampiamente prevedibile, l’importantissimo verdetto è stato ripreso dalle principali testate e tg nazionali a suon di fake news. La più evidente è l’asserzione secondo cui la trattativa Stato-mafia sia un’invenzione dei pm e che, in realtà, non sia mai esistita. Lo hanno scritto con titoloni a caratteri cubitali, tra i tantissimi organi di informazione, Libero, Il Messaggero, Il Riformista, Il Giornale, Il Dubbio, l’Huffington Post e Tempi. «Secondo la sentenza della Cassazione, la trattativa a questo punto proprio non c’è stata», ha detto testualmente Enrico Mentana su La7 nel corso del suo telegiornale della sera. In realtà, è tutto falso, poiché l’esistenza della “trattativa” è stata pienamente confermata da diverse sentenze passate in giudicato. Già nel lontano 1998, i giudici della Corte d’Assise di Firenze, che si esprimevano sulla strage di via dei Georgofili del 1993, avevano sostenuto che “l’iniziativa dei Ros (perché di questo organismo si parla, posto che vide coinvolto un capitano, il vicecomandante e lo stesso comandante del Reparto) aveva tutte le caratteristiche per apparire come una ‘trattativa‘”, che peraltro partorì conseguenze incredibilmente nefaste, poiché “l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione”.

Più recentemente, la sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello di Firenze il 24 febbraio 2016 – che per tale attentato ha punito con l’ergastolo il mafioso Francesco Tagliavia ed è divenuta irrevocabile nel 2017 – considera “provato che dopo la prima fase della cd. trattativa avviata dopo la strage di Capaci, peraltro su iniziativa esplorativa di provenienza istituzionale (cap. De Donno e successivamente Mori e Ciancimino), arenatasi dopo l’attentato di via D’Amelio, la strategia stragista proseguì alimentata dalla convinzione che lo Stato avrebbe compreso la natura e l’obiettivo del ricatto proprio perché vi era stata quell’interruzione”. Già nel 2012, in primo grado, i giudici avevano sancito che “una trattativa indubbiamente vi fu e venne, quantomeno inizialmente, impostata su un ‘do ut des‘. L’iniziativa fu assunta dai rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini di mafia”. Al processo “Trattativa Stato-mafia”, infatti, i giudici erano chiamati a stabilire se gli imputati avessero effettivamente trasmesso la minaccia di Cosa Nostra al cuore delle istituzioni e se tale condotta potesse eventualmente avere rilievo penale, e non se la trattativa fosse o meno esistita (dato, appunto, già “storicizzato”).

«Arrivi vigore a tutti da questa sentenza che dà la convinzione e anche la speranza che la giustizia, se sbaglia, può tornare indietro. Io non ho il dono della dimenticanza e per me chi sbaglia deve pagare. Magistrati onorevoli hanno finalmente restituito la dignità non a mio padre, non ai ‘combattenti’ che mai l’hanno perduta, ma alla giustizia stessa di cui predicano il verbo», ha commentato trionfante Danila Subranni, figlia di uno degli imputati più importanti coinvolti nel processo (Antonio Subranni, il capo del Ros all’epoca dei fatti in esame) e, accidentalmente, anche portavoce del gruppo di Forza Italia. Un altro imputato, Mario Mori, presente in aula durante la lettura della sentenza, ha dichiarato di essere «sempre stato convinto» della propria innocenza. Contemporaneamente, a esultare è stato anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi, che ha voluto mandare «un abbraccio di solidarietà ai servitori dello stato oggi assolti in via definitiva dopo tanti anni di gogna mediatica e alle loro famiglie». Su Twitter, ha scritto che «i giustizialisti di certe procure e di certe redazioni dovrebbero scusarsi o al massimo tacere per qualche anno».

Dall’altra parte della barricata, si è invece espresso Antonio Ingroia, l’ex magistrato che sostenne l’accusa in primo grado: «Il fatto c’è, c’è stata anche la minaccia che costituisce la premessa della trattativa, una minaccia che però ora i giudici di Cassazione dicono che non è una minaccia compiuta, ma una minaccia tentata. Così rimane senza conseguenze penali per nessuno. Anche i mafiosi, per i quali il reato viene dichiarato prescritto». Ingroia ha definito la sentenza «contraddittoria», mentre «la sentenza di appello aveva una sua logica, seppure discutibile». Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo, ha invece così commentato la decisione: «Siamo stati degli illusi credere che lo Stato potesse processare se stesso perché “il fatto” c’è stato, ci sono state le stragi, c’è stato il furto dell’Agenda Rossa, ci sono stati i depistaggi ma non ci sono i colpevoli». O meglio, «i colpevoli ci sono, ma sono dentro alle stesse strutture di questo Stato assassino e depistatore e quindi sono intoccabili».

Per comprendere appieno il verdetto, non resta ora che attendere le motivazioni. Con un’unica certezza: i fatti avvenuti nella cornice della “Trattativa Stato-mafia” – tassello verificato della storia del nostro Paese – per la giustizia italiana non costituiscono reato.

[di Stefano Baudino]

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3 Commenti

  1. Dunque la magistratura sancisce definitivamente che in Italia il delinquere nel modo più feroce e minacciare le istituzioni è di fatto un diritto, se si è abbastanza spietati. A quando l’avvio di rapporti diplomatici ufficiali con le organizzazioni criminali? Così almeno dichiariamo apertamente la nostra vigliaccheria e togliamo l’ipocrisia dalla lotta alla mafia.

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