venerdì 19 Aprile 2024

La lobby delle armi si riunisce a Verona e trova nuove sponde politiche

Il Consiglio regionale del Veneto ha condiviso sui propri profili social una foto che ritrae Joe Formaggio, consigliere di Fratelli d’Italia, con un mitra in mano in visita alla fiera delle armi di Verona. «In rappresentanza della Regione. Sempre al fianco della lobby dei cacciatori e delle armi», si legge sul post. Formaggio, fortemente contestato, ha ribadito la sua posizione («Quella foto l’hanno scattata a me. Dopodiché, se il Consiglio ha ritenuto di pubblicarla, se ne chieda conto al Consiglio»), aggiungendo poi di aver portato con sé all’evento anche il figlio, perché «meglio che lasciarlo a casa a guardare la schifezza di Sanremo». Il consigliere, nonché ex sindaco della città di Albettone, in provincia di Vicenza – per cui diede il suo contributo alla costruzione del «poligono da tiro più grande del Veneto» – è noto da tempo per la sua posizione di totale apertura sul possesso delle armi.

Joe Formaggio alla fiera di Verona, post Consiglio Regionale Veneto

Nel corso della carriera politica Formaggio si è schierato più volte a favore di cittadini indagati per aver impugnato un’arma, prima ancora che fossero i tribunali a stabilire se si trattasse o meno di legittima difesa. Come accaduto con Graziano Stacchio, l’uomo che il 3 febbraio del 2015 ha imbracciato il suo fucile per impedire ai ladri di assaltare l’oreficeria vicina alla sua pompa di benzina, definito da Formaggio un eroe prima ancora che qualsiasi sentenza si fosse pronunciata: tant’è che l’ex sindaco si era pure fatto fare una t-shirt con su scritto “Io sto con Stacchio”. D’altronde Formaggio le armi è sempre pronto a tirarle fuori visto che si è spesso vantato di dormire con il fucile sotto il cuscino, per usarlo contro potenziali criminali («li aspettiamo col fucile in mano»).

Sul tema della legittima difesa e della diffusione delle armi da fuoco si discute praticamente da sempre, ma le polemiche si accentuano spesso durante le campagne elettorali o in occasione di qualche fatto di cronaca, quando la cosiddetta “emergenza sicurezza” diventa argomento di propaganda. È lecito, a questo punto, farsi due domande: abbiamo davvero un problema di sicurezza? E in ogni caso, aumentare il numero di armi in circolazione ci farebbe sentire più al sicuro?

La risposta, tralasciando opinioni e punti di vista, sta nei dati. Partiamo dal primo quesito. Secondo il Censis, istituto di ricerca socio-economica, negli ultimi 10 anni le denunce di reati in Italia sono diminuite del 25,4%, passando da 2 milioni e 800 del 2012 a 2 milioni e 100mila del 2021. Nello stesso arco di tempo gli omicidi volontari sono diminuiti del 42,4% (da 528 del 2012 a 304 del 2021), le rapine del 48,2% (da 42.631 a 22.093), i furti nelle abitazioni del 47,5% (da 237.355 a 124.715) e i furti di autoveicoli del 43,7% (da 195.353 a 109.907). Nel 2021, tra l’altro, in 32 province italiane (abitate da 11 milioni di persone) non si è verificato neppure un omicidio.

Certo, questi dati non rispondono alla seconda domanda. I dati Censis infatti, se da una parte hanno messo in luce il calo dei reati, dall’altra hanno mostrato che una delle più grandi paure degli italiani (per il 52% degli intervistati) è proprio quella di rimanere vittima di reato. Non si vuole certo negare che, specie in alcuni quartieri delle nostre città, la sicurezza sia un problema, secondo alcuni questa insicurezza si deve combattere mettendo più armi in giro: “I buoni devono potersi armare per difendersi dai cattivi” è grossomodo l’argomentazione in voga tra i difensori del diritto alle armi libere d’oltreoceano e non solo. Ma più libertà nel detenere fucili e pistole equivale realmente ad avere una società più sicura? Anche in questo caso ci vengono in soccorso i dati.

Prendiamo come caso studio quello americano, Paese in cui a partire dal 2009 l’acquisto di pistole per la difesa personale ha superato pure la vendita dei fucili usati per la caccia e dove in generale le armi in circolazione (dati 2018) sono circa 400 milioni. Per questi motivi, secondo il rapporto diffuso dal “The American Journal of Medicine”, negli Stati Uniti il rischio di essere uccisi da un’arma da fuoco è 25 volte più alto della media delle nazioni OCSE con alto reddito – e la probabilità di rimanere vittima di un colpo partito accidentalmente è 6 volte più alta. La correlazione tra armi e morti si baserebbe su un principio piuttosto lineare: se il malvivente in procinto di commettere un’aggressione teme che la vittima possa essere armata (e viceversa, o se un poliziotto teme che l’aggressore possa essere armato), è più facile che decida di sparare per uccidere.

In Italia, nonostante la riduzione dei reati sopra citata, nel periodo tra il 2014 e il 2017, ad esempio, 200mila cittadini in più hanno fatto richiesta – e hanno ricevuto – una licenza per porto d’armi – principalmente per uso caccia e per uso sportivo. “Un numero che, sicuramente, è da mettere in relazione con i successi dei nostri tiratori nelle diverse competizioni internazionali, ma che risulta essere molto meno consistente rispetto agli effettivi atleti tesserati. Difficile non mettere in relazione questo aumento della voglia di sparare anche con la diffusione della paura e con la tranquillità apparente che può derivare dal saper maneggiare un’arma da fuoco”, scrive il Censis. Motivo per cui, tra l’altro, il 39% della popolazione sarebbe favorevole a modificare la legge sul porto d’armi, rendendo i criteri per poter disporre di un’arma da fuoco per difesa personale meno rigidi. Se in America nel 2016 sono avvenuti 14.415 omicidi volontari con arma da fuoco, pari a 4,5 ogni 100.000 abitanti, in quell’anno in Italia, dove le leggi sono più restrittive, se ne verificavano 150, pari a 0,2 per 100.000 residenti.

Si potrebbe argomentare la differenza tra Italia e Stati Uniti adducendola a una presunta maggiore violenza intrinseca della società americana. Dopotutto le comparazioni statistiche che si basano su due soli dati sono naturalmente deboli. A risolvere questo specifico dubbio arriva in soccorso il dato che mette a confronto il tasso di morti per arma da fuoco rapportato al tasso di armi detenute nei principali paesi occidentali.

Fonte: Gunpolicy.org, United Nations Development Programme

Pur con qualche eccezione, in linea generale la correlazione è evidente al primo colpo d’occhio: i Paesi con meno armi in circolazione sono generalmente quelli con meno morti per arma da fuoco. D’altra parte, anche prendendo in considerazione una sola nazione federale come gli Stati Uniti, le statistiche dimostrano che gli Stati USA con più armi in circolazione sono anche i più violenti e che il tasso di vittime cala progressivamente con la diminuzione del tasso di armi possedute.

Fonte: Injury Prention, CDC, vox.com

Eventi come l’European outdoor show (EOS) di Verona – “una fiera volta ad incentivare la diffusione delle armi in Italia”, come l’ha descritta l’associazione Rete Italiana Pace e Disarmo in un comunicato stampa – non sembrano andare quindi nella direzione di una società più sicura. D’altra parte ogni fiera di settore non è certo un evento filantropico, ma un’occasione commerciale che punta a rafforzare gli affari delle aziende che vi investono. La fiera di Verona, continua la Rete per il Disarmo, rappresenta “un’anomalia nel panorama fieristico dei paesi dell’Unione europea”,  visto che l’EOS espone tutti i tipi di “armi comuni” – quindi, non solo quelle dedicate ad uno specifico settore- e consente l’accesso ad ogni tipo di pubblico – e quindi non solo agli operatori specializzati di settore -, e permette l’ingresso anche ai minorenni purché accompagnati da un adulto. Una lobby che in Italia trova sempre più spesso sponde a livello politico.

[di Gloria Ferrari]

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