venerdì 11 Ottobre 2024

Obbligo vaccinale Covid: la Corte Costituzionale pubblica le motivazioni delle sentenze

Hanno suscitato non poco scalpore le motivazioni recentemente pubblicate con cui la Corte costituzionale ha giustificato le tre sentenze emesse lo scorso primo dicembre con le quali ha confermato la legittimità dell’obbligo della vaccinazione Covid per il personale sanitario e delle relative sanzioni. La Consulta ha ritenuto le disposizioni legittime e necessarie per proteggere il “bene supremo” della salute pubblica basandosi sull’assunto – ormai ampiamente confutato – che l’inoculazione serva ad impedire o rallentare il contagio: in realtà è noto da tempo che i sieri a mRna non impediscano la trasmissione del virus, bensì che evitino – eventualmente – l’aggravarsi della malattia. Le sentenze sono state emesse tutte come risposta ai ricorsi presentati da diversi tribunali amministrativi regionali che avevano presentato questioni di legittimità costituzionale.

Nel dettaglio, la prima sentenza ha rigettato il ricorso del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana che aveva a sua volta sollevato questioni di legittimità costituzionale circa l’obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 per il personale sanitario, da un lato, e la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie per inadempimento dello stesso, dall’altro. La Corte ha rigettato tutte le questioni di legittimità sollevate ritenendo che «la scelta assunta dal legislatore al fine di prevenire la diffusione del virus, limitandone la circolazione, non possa ritenersi irragionevole né sproporzionata, alla luce della situazione epidemiologica e delle risultanze scientifiche disponibili». Come accennato, tuttavia, era noto fin da subito che i sieri non fossero in grado di «prevenire la diffusione del virus» e diversi studi in merito erano già usciti nel 2021, tanto che la raccomandazione era quella di continuare ad usare i dispositivi di protezione individuale. In uno studio pubblicato su The Lancet, infatti, si legge che «La vaccinazione non elimina completamente il rischio di infezione e pertanto i dispositivi di protezione individuale e i test diagnostici si dovranno continuare a utilizzare fino a quando la prevalenza del virus SarsCoV2 non sarà così bassa da ridurre il rischio di trasmissione». Sempre su The Lancet, inoltre, nel 2022 era apparso un articolo dal titolo “Trasmissibilità di Sars-CoV-2 tra individui completamente vaccinati” in cui si riportava che l’impatto della vaccinazione sulla trasmissione del Sars-CoV-2 e delle sue varianti non sembrava essere significativamente diverso da quello tra persone non vaccinate. Lo studio, quindi, suggeriva esplicitamente che «si possono riconsiderare le attuali politiche di vaccinazione obbligatoria».

La seconda sentenza, invece, risponde alle questioni di legittimità sollevate dai Tribunali ordinari di Brescia, di Catania e di Padova e ha stabilito che la previsione per i lavoratori sociosanitari dell’obbligo vaccinale piuttosto che quello di sottoporsi a quotidiani test diagnostici non ha costituito una soluzione irragionevole o sproporzionata rispetto ai dati scientifici disponibili. Per la Corte, infatti, «il sacrificio imposto agli operatori sanitari non ha ecceduto quanto indispensabile per il raggiungimento degli scopi pubblici di riduzione della circolazione del virus, ed è stato costantemente modulato in base all’andamento della situazione sanitaria, peraltro rivelandosi idoneo a questi stessi fini». La Consulta ha anche sottolineato come «la mancata osservanza dell’obbligo vaccinale ha riversato i suoi effetti sul piano degli obblighi e dei diritti nascenti dal contratto di lavoro, determinando la temporanea impossibilità per il dipendente di svolgere mansioni implicanti contatti interpersonali o che comportassero, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio». Secondo i giudici costituzionali, l’inoculazione avrebbe permesso la tutela della salute del personale sanitario e dei pazienti, evitando «l’interruzione di servizi essenziali per la collettività». Anche in questo caso, però, i fatti contraddicono la versione della consulta, in quanto gli ospedali hanno registrato una carenza diffusa di personale medico non solo per via della sospensione dei sanitari non vaccinati – che erano comunque una minoranza del totale – ma anche a causa dell’assenza di personale positivo al virus, a riprova del fatto che la vaccinazione non ha impedito la diffusione del contagio anche nei reparti. A mero titolo d’esempio, alcuni giornali nel gennaio 2022 titolavano «Covid, ospedali in ginocchio: assenti 40.000 operatori sanitari tra positivi e no vax». In particolare, Il Mattino scriveva che «Almeno 12.000 tra medici e infermieri sono positivi: per almeno una settimana non possono lavorare. Detta in altri termini: ogni giorno 1.800 operatori sanitari scoprono di essere infetti e devono lasciare il reparto».

La terza sentenza risponde, infine, alle questioni di legittimità poste dal TAR Lombardia circa il caso di una psicologa sospesa dall’ordine perché priva del requisito di vaccinazione, nonostante svolgesse l’attività unicamente da remoto e fosse assente quindi qualunque rischio di diffondere il contagio. I giudici amministrativi hanno ritenuto la sospensione in contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, non comportando l’attività alcun rischio di diffusione del COVID-19, in quanto svolta da remoto, mediante l’utilizzo di strumenti telematici e telefonici. Tuttavia, le questioni poste sono state dichiarate inammissibili dalla Consulta per via di una motivazione puramente formale riguardante un preliminare profilo processuale, che ha escluso una valutazione nel merito delle stesse: il difetto di giurisdizione del tribunale amministrativo regionale che le ha sollevate. Le toghe, dunque, si sarebbero nascoste dietro motivi puramente formali che hanno impedito di entrare nel merito della questione. Da notare anche come sia le sentenze che le relative motivazioni potrebbero essere non prive di parzialità politica, in quanto i redattori delle stesse – Filippo Patroni Griffi e Stefano Petitti – risultano avere legami politici e posizioni arbitrariamente orientate alla vaccinazione: il primo, infatti, è stato membro dei governi Monti e Letta, mentre il secondo è autore di un podcast sulla disciplina dell’obbligo vaccinale.

Le motivazioni e le scelte della Consulta, dunque, potrebbero essere state suggerite non tanto da ricerche scientifiche, dai dati e dai fatti – che spesso contraddicono le ragioni dei giudici costituzionali – quanto piuttosto da una linea “pro-governativa” influenzata da posizioni politiche e componenti ideologiche che esaltano la “scienza” e sopprimono qualunque diritto in nome del bene supremo della “salute”.

[di Giorgia Audiello]

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