sabato 14 Dicembre 2024

L’Italia aumenta gli investimenti sul riciclo della carta (ma c’è ancora molto da fare)

Dei 191,5 miliardi di euro destinati all’Italia attraverso il Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza (PNRR), 130 milioni saranno destinati a promuovere nel nostro Paese il riciclo di carta e cartone. È quanto ha dichiarato il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che ha specificato che il denaro servirà a realizzare 70 progetti: il 64% di questi riguarderà l’area Centro-Sud del Paese (circa 90 milioni di euro impiegati per ammodernare l’impiantistica esistente e costruire nuove strutture), il 36% il Nord Italia. I fondi, a cui potranno accedere aziende che hanno a che fare con la filiera della carta e del cartone, serviranno a dare nuova spinta a un settore, quello della raccolta differenziata, che negli ultimi anni ci ha contraddistinti in Europa. Nel 2021, ad esempio, sono state raccolte circa 3,6 milioni di tonnellate di carta e nel solo comparto degli imballaggi il tasso di riciclo ha superato l’85%.

Partiamo quindi dalle buone notizie: dagli inizi degli anni 2000 in Italia l’industria del riciclo ha perseguito un percorso di crescita costante. Anzi, se nel 1997 la raccolta differenziata dei rifiuti urbani era solo del 9,4 % e l’80% dei rifiuti finiva in discarica, le percentuali del 2020 sono piuttosto diverse: 63% per la raccolta differenziata dei rifiuti urbani e 20% dello smaltimento in discarica. In generale in quel periodo il nostro Paese ha riciclato il 72% di rifiuti tra urbani, speciali e industriali, superando tutti gli altri Stati europei. I dati, contenuti nel Rapporto “Il Riciclo in Italia 2022”, realizzato dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile, presentati in questo modo – e seppur incoraggianti – tengono però conto di una piccola – anche se significante – parte della vicenda.

Secondo i dati Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in realtà – pur aumentando – nell’ultimo biennio il tasso di crescita della differenziata è stato pari all’1,36%, mentre tra il 2011 e il 2019 la percentuale è aumentata del 3% l’anno. Quindi, anche se la produzione di rifiuti è rimasta negli anni grossomodo la stessa (fra le 29 e le 30 milioni di tonnellate), la velocità di smaltimento differenziato si è ridotta. Quello che non si riesce a smaltire – per motivi diversi – finisce per essere incenerito. E negli anni il numero di inceneritori in Italia è diminuito (ce ne sono 11 in meno rispetto al 2013): la quantità di rifiuti non differenziati che finiscono nei forni però è rimasto pressoché costante (sulle 5 milioni di tonnellate).

Andando più a fondo emergono altre criticità, altrettanto significative. C’è ad esempio una spiccata differenza territoriale. Nel 2019 hanno superano l’obiettivo del 65% di raccolta differenziata, fissato al 2012 dalla normativa, 8 regioni: Veneto (74,7%), Sardegna (73,3%), Trentino Alto Adige (73,1%), Lombardia (72%), Emilia Romagna (70,6%), Marche (70,3%), Friuli Venezia Giulia (67,2%) e Umbria (66,1%). Territori per la maggior parte situati nel Nord Italia. Al lato opposto della classifica, tra le peggiori, ci sono invece Calabria (45,2%), Molise (38,4%) e Sicilia (29,5%).

A questo si aggiunge il fatto che lo smaltimento dei rifiuti polimerici (plastica) è ancora un problema. L’Ispra dice che nel 2020 abbiamo generato 3,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici, di cui poco più di 1 milione e mezzo è stato differenziato. E di questo, appena 620mila tonnellate sono state avviate a riciclo. Nonostante qualche progresso, quindi, siamo ancora molto lontani dal poter parlare di economia circolare per la plastica. Intanto, però, l’inquinamento da quest’ultima generato primeggia e causa danni in ogni comparto terrestre. Conferire dei rifiuti plastici nell’apposito contenitore, infatti, non garantisce che questi vengano avviati a seconda vita. Certo, la raccolta differenziata è un’abitudine importantissima, ma, se fatta senza un preciso criterio e senza le strutture adatte a gestirle, può a sua volta generare dei problemi.

Anche se in Italia si differenzia praticamente più che altrove, capita spesso che – a causa di negligenza, poca conoscenza o regole confuse – lo si faccia male, mischiando rifiuti che non dovrebbero stare insieme. Questo inceppa il meccanismo, e riempie le strutture di materiale di scarto destinato invece allo smaltimento. E, a proposito di quest’ultimo passaggio, c’è anche da dire che ci sono pochi impianti adibiti al riciclo e allo smaltimento, pochi rispetto a tutto il materiale che andrebbe invece riciclato o smaltito. Tant’è che l’Italia esporta ancora tantissimi rifiuti all’estero. Ispra dice che nel 2016 abbiamo spedito fuori dai confini 433mila tonnellate di rifiuti.

Secondo Carlo Montalbetti, Direttore Generale di Comieco (Consorzio nazionale recupero e riciclo degli imballaggi a base cellulosica), «i soldi del PNRR saranno utili per ridurre il divario tra il Nord e il Sud del Paese e innovarne l’impiantistica. Adesso si apre la fase di attuazione dei progetti». Vista l’inadempienza degli ultimi anni, è proprio questa che ci fa più paura.

[di Gloria Ferrari]

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