martedì 23 Aprile 2024

Ogni giorno in Italia muore un senza fissa dimora

Sono 387 le persone senza dimora morte in Italia nel corso del 2022, più di una al giorno, per la quasi totalità uomini, per due terzi stranieri e con una età media di 49 anni. Quattro quelle che si contano già nei primi giorni del 2023. Di alcune di loro conosciamo il nome, il cognome e il Paese d’origine, di centinaia di altre è impossibile accertarne l’identità. Corpi invisibili che finiscono nell’oblio e che di anno in anno, diventano sempre di più. Nel 2021 i decessi sono stati 251, nel 2020 invece 212, quasi la metà di quelli registrati nei mesi appena trascorsi. «I dati, purtroppo, confermano la costante di un morto al giorno, una dimensione della tragedia mai vista in questi anni», ha commentato Michele Ferraris, responsabile della comunicazione della Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora (Fio-Psd).

Morti senza dimora 2022/Fonte Fio.PSD
Morti senza dimora 2022/Fonte Fio.PSD

La maggior parte delle vittime viene ritrovata per strada (46,8%), in sistemazioni di fortuna (29,7%) e in stazione (9%). Si muore anche in ospedale (12,2%), e nei boschi, campi, pinete, fiumi e mare o in automobile, così come nei sottoscala, parcheggi, cavalcavia e case abbandonate. Le cause che portano alla morte sono diverse: molti sono stroncati da un malore, altri finiscono investiti da un’auto o dal treno. «In genere si muore in situazioni in cui non ci si troverebbe mai, se non si vivesse in strada e se non si fosse per questo psicologicamente o fisicamente molto provati» dice il responsabile. Nel restante dei casi, le vittime muoiono dopo aver subito una violenza, o per overdose. Succede anche che la morte sopraggiunga per annegamento o per suicidio. Infine c’è l’ipotermia. In generale, anche se non è così facile stabilire con certezza quali siano state le ragioni primarie che hanno portato alla morte, circa il 60% dei decessi avviene per via di incidenti, violenza e suicidio, mentre il restante 40% per motivi di salute.

Al contrario di quanto solitamente si tende a pensare, non è vero che tutti i senza dimora muoiono uccisi dal freddo. In realtà si contano vittime tutti i mesi, anche se è chiaro che le basse temperature portano maggiore sofferenza (e certo, talvolta anche la morte) e sono nemiche di chi non ha la garanzia di avere un tetto sotto cui ripararsi. «I piani freddo dei comuni sono in grado di ammortizzare i decessi» ha proseguito Ferraris. Si tratta di un progetto, portato avanti dai servizi sociali dei comuni, attivato annualmente quando le temperature si fanno rigide. Prevede, tra le altre cose, la predisposizione di posti letto in strutture come scuole o palestre, che possono anche rimanere aperte tutto il giorno, e maggiori uscite delle Unità Mobili. «Sicché i numeri di marzo e settembre, oppure di gennaio ed agosto, sono simili». Certo, non è facile trovare posto per tutti, soprattutto in città più piccole che non hanno a disposizione grossi edifici come quelli di Torino o Milano.

Secondo i dati Istat (terzo Censimento permanente della popolazione e delle abitazioni, autunno 2021), in Italia le persone senza dimora sono poco più di 96mila, il 38% delle quali è di nazionalità straniera e in prevalenza maschile (212,4 uomini ogni 100 donne) con un’età media tra i 41 e i 45 anni per gli italiani e di 35 per gli stranieri. Un incremento, rispetto a 7 anni fa, di circa il 20% o forse più, principalmente perché «sono aumentate le situazioni di grave povertà soprattutto legate ai nuclei familiari. Chi era al limite della sopravvivenza ha risentito molto degli aumenti delle bollette o dell’inflazione alimentare». E in mancanza di un sistema che attutisca il più possibile tali traumi, il rischio che queste cifre continuino ad aumentare è piuttosto ampio. «Si può iniziare col dormire in macchina, poi subentrano depressione e altri problemi di salute. Si innesca così un ciclo negativo che travolge tutti gli aspetti della vita», dice Ferraris.

Secondo gli ultimi dati, i più aggiornati, messi a disposizione dall’Istat l’estate scorsa, nel 2021 in Italia vivevano in povertà assoluta – condizione definita tale quando non si raggiunge la spesa minima mensile, soggetta a variabili, per beni e servizi considerati necessari per mantenere uno standard di vita accettabile – circa 5,6 milioni di persone, cioè il 9,4% di tutta la popolazione. Il triplo rispetto a quindici anni fa, quando la povertà assoluta riguardava il 3,1% dei cittadini.

Eppure, povertà o meno, teoricamente il diritto ad avere una casa (almeno quello) dovrebbe essere garantito a tutti. La carta sociale dell’UE, all’articolo 31, recita proprio queste parole: “Tutte le persone hanno diritto all’abitazione”, che questa sia “vivibile” e che rispetti la dignità di ogni cittadino dell’Unione. Nella carta si legge inoltre che uno degli obiettivi principali dei Paesi dovrebbe essere quello di prevenire e ridurre fino ad eliminare completamente lo status di “senza tetto”, garantendo ad esempio la presenza sul territorio di alloggi economicamente accessibili a tutti. Ad oggi, in Italia, il prezzo medio di un affitto (tralasciando la grandezza e le condizioni dell’abitazione) si aggira attorno ai 538 euro. Una cifra non propriamente definibile alla portata di tutti.

[di Gloria Ferrari]

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