mercoledì 30 Aprile 2025

Le produzioni intensive hanno cancellato 4 milioni di aziende agricole in Europa

I dati sono incontestabili e sono emersi in maniera evidente. Si tratta del prodotto di politiche agricole portate avanti dalla UE nell’arco degli ultimi decenni, ma si può dire che il processo di distruzione della piccola e media azienda agricola sia cominciato nel 1962, quando a livello europeo è nata la PAC, ovvero la Politica Agricola Comune. L’agricoltura e l’allevamento intensivi che si sono sviluppati negli ultimi decenni sono una concausa importante della crisi climatica, dell’inquinamento delle falde idriche, dell’inaridimento dei suoli, della riduzione della biodiversità e della perdita di salute del suolo e dei consumatori. Ma c’è un altro danno, economico, che ora viene evidenziato: la conseguenza di decenni di queste politiche è stata l’emorragia delle piccole aziende, spazzate via dall’industrializzazione del settore agricolo.

Il problema emerge da un’inchiesta del quotidiano inglese The Guardian. Il numero di allevatori (piccole aziende) di pollame nella sola UE, è diminuito di 3,4 milioni tra il 2005 e il 2016. Mentre il numero dei capi di bestiame e di pollame è aumentato in termini assoluti, in questo stesso periodo, il numero di allevamenti è diminuito drasticamente, dimostrando che c’è stata un’enorme intensificazione dell’agricoltura e che le piccole aziende agricole sono andate perdute. Il numero totale di tutti i tipi di aziende agricole nell’UE è sceso nello stesso periodo da 14,5 milioni a 10,3 milioni. Parliamo dunque di 4,2 milioni di aziende in meno. Per esempio in Italia, da quanto emerge nell’inchiesta del quotidiano britannico si è verificata una diminuzione del 76% nel numero di aziende che allevano suini.

[Graphic Credit: The Guardian. Fonte: Eurostat e banche dati nazionali. Nota: i dati escludono la Croazia]

La UE ora promette di rimediare

L’Unione Europea ora promette di arginare la drastica perdita di piccole aziende agricole, introducendo radicali riforme dei sussidi all’agricoltura per cercare di arrestare il declino delle piccole aziende agricole e proteggerle dall’intensificazione dell’agricoltura industriale intensiva favorita da decenni di politiche precedenti. Janusz Wojciechowski, commissario europeo per l’agricoltura, ha dichiarato: “La mia intenzione è fermare questo processo di scomparsa delle piccole aziende agricole. Il settore alimentare europeo in passato era basato su piccole aziende agricole e dovrebbe esserlo anche in futuro”.

Wojciechowski ha ammesso che le precedenti versioni della PAC (Politica Agricola Comune) avevano prodotto vasti sconvolgimenti. “Il motivo per cui abbiamo perso 4 milioni di aziende agricole nell’UE è stato un errore della PAC. Il sostegno era troppo orientato all’agricoltura industriale e non abbastanza alle piccole e medie aziende agricole“, ha affermato. La PAC dell’Unione Europea infatti, che ha dominato l’agricoltura europea sin dalla sua introduzione nel 1962. ha determinato una intensificazione, con più bestiame riunito in un numero minore di aziende agricole, molte delle quali strutture grandi di tipo industriale. Gli agricoltori e allevatori più grandi beneficiano maggiormente del sistema di sovvenzioni: circa l’80% dei 40 miliardi di euro di sussidi diretti emanati ogni anno dalla UE va a solo il 20% degli agricoltori

Le riforme della PAC promesse dalla UE includeranno misure per incoraggiare gli agricoltori a lasciare più spazio alla fauna selvatica, ad adottare standard biologici per il bestiame, a utilizzare meno fertilizzanti chimici e pesticidi e a coltivare suoli sani. Wojciechowski ha dichiarato al Guardian: “Proteggere le piccole e medie aziende agricole è una priorità. Non è vero che abbiamo bisogno di aziende agricole sempre più grandi per la sicurezza alimentare. Le piccole aziende agricole possono garantire la sicurezza alimentare per i cittadini dell’UE“.

Queste riforme potrebbero fermare a mio avviso solo in parte la perdita delle piccole aziende agricole nell’UE, ma un ritorno al modello agricolo basato sulle piccole aziende a livello strutturale su tutto il territorio europeo sembra sempre più improbabile, a giudicare da come sono stati i trend negli ultimi decenni. Come al solito tante promesse ma pochi fatti concreti che vanno nella direzione giusta, esattamente come avviene nelle conferenze per il clima dei G20 da anni a questa parte (almeno dal 2005 con la Conferenza di Parigi). Tanti buoni propositi a parole e sulla carta, ma niente di buono e realmente concreto nella pratica.

Pensiamo infatti a cosa è successo all’agricoltura europea negli ultimi decenni: in Francia, Germania e Paesi Bassi, più di un terzo degli allevamenti di bestiame e pollame è scomparso dal 2005. Quasi 120.000 allevamenti di pollame sono stati persi in Francia tra il 2005 e il 2016 e quasi 36.000 in Germania. Tra gli Stati membri dell’UE di lunga data, il declino del numero di piccole aziende agricole va avanti da decenni. Ma gli agricoltori dell’Europa orientale hanno subito ancora più sconvolgimenti dal 2004, quando molti di questi Stati sono entrati a far parte della UE: dal 2005, la Bulgaria ha perso il 72% dei suoi allevamenti di bestiame e pollame, l’Ungheria il 48%, la Polonia il 54% e la Slovacchia il 72%. Nel Regno Unito, il calo nel periodo di 12 anni dal 2005 al 2016 è stato del 25%, con 45.500 allevamenti di bestiame e pollame persi tra il 2005 e il 2016. 

I danni della PAC al sistema agricolo europeo

La PAC, nata all’indomani della seconda guerra mondiale con l’intento di promuovere l’autosufficienza alimentare in Europa (ridurre cioè importazioni di beni alimentari extra-UE), ha premiato metodi di allevamento sempre più intensivi e industrializzati. Gli agricoltori sono stati incoraggiati a produrre più cibo ad ogni costo, utilizzando più fertilizzanti chimici e pesticidi e portando il bestiame da piccoli greggi e mandrie nei campi, in allevamenti intensivi su larga scala e confinamento al chiuso in capannoni.

Seguendo questo modello la produzione alimentare è certamente aumentata, ma l’ambiente ne ha sofferto. Per esempio il numero di specie di uccelli nell’UE si è dimezzato in tre decenni, secondo il Consiglio europeo per il censimento degli uccelli. Anche le popolazioni di insetti sono crollate: il numero in Germania è diminuito di tre quarti negli ultimi 25 anni, secondo uno studio sulle aree protette, e il numero di farfalle sui terreni coltivati in Inghilterra è diminuito del 58% tra il 2000 e il 2009. Solo un quarto delle specie nell’UE ha un buono stato di conservazione e l’80% degli habitat chiave è in cattive condizioni, secondo l’osservatorio ambientale europeo

Greenwashing, più che vere riforme agroecologiche UE

Nel 2019 cinque organizzazioni in rappresentanza di oltre 2.500 esperti hanno scritto a Ursula von der Leyen, presidente entrante della Commissione europea, e al Parlamento europeo, per chiedere importanti cambiamenti al modo in cui opera la PAC. Verranno ascoltati? Io ne dubito. “I produttori di nicchia che offrono pratiche agricole sostenibili sopravvivono a malapena con la vendita dei loro prodotti a ristoranti o piccoli negozi, oppure vendono direttamente i loro animali vivi. Sono tagliati fuori dal sistema dominante”, ha dichiarato Fabio Ciconte, direttore dell’organizzazione ambientalista Terra Onlus. Non è un caso che molti attivisti per l’Ambiente e operatori del mondo del Biologico avvertano che le promesse e i propositi dell’UE per una nuova PAC e per un nuovo modello di sviluppo agricolo, basato su progetti pseudoecologici che hanno slogan come “From farm to fork” e “Green Deal”, saranno probabilmente un greenwashing piuttosto che una vera trasformazione della politica agricola dell’UE in una che sia positiva per i piccoli agricoltori e l’ambiente. Secondo Maria Grazia Mammuccini, imprenditrice agricola toscana e presidente di FederBio, ad esempio, l’idea di agricoltura che permea il PNRR non è centrata sul cibo, sulla salute dei campi e sulla salute delle persone: “si tratta di rovesciare un modello che non ha funzionato. Per più di mezzo secolo si è provato a creare un’agricoltura a immagine dell’industria. Si sono così ottenuti aumenti di produzione, ma il prezzo è stato altissimo in termini di terra fertile persa, inaridimento che avanza, equilibri idrici saltati, impatti sanitari consistenti. Era un modello tutta ripresa e niente resilienza. E quella ripresa si è esaurita”.

[di Gianpaolo Usai]

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