venerdì 19 Aprile 2024

44 suicidi in 7 mesi: il sistema carcerario italiano deve essere ripensato

44 suicidi in 7 mesi: sono questi i numeri delle persone che in carcere si sono tolte la vita dall’inizio del 2022. In pratica, uno ogni 5 giorni. È quanto emerge dall’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone sullo stato delle strutture penitenziarie nel nostro Paese. Il numero di suicidi in carcere si discosta molto da quelli registrati al di fuori. L’Italia, con i suoi 0,67 casi di suicidi ogni 10.000 abitanti, è tendenzialmente considerato un Paese con il più basso tasso di persone che si tolgono la vita a livello europeo. Una realtà che cambia totalmente dietro le sbarre, con 10,6 suicidi ogni 10.000 persone detenute (nel 2019 era 8,7 ogni 10mila, circa 13 volte superiore a quello delle persone libere).

La fascia più colpita è quella che va dai venti ai trent’anni, ragazzi che in molti casi si trovavano in carcere da poche ore o che nel giro di poco sarebbero uscite in misura alternativa. In particolare il numero di suicidi – che in totale nel 2021 erano stati 57 – è stato molto alto nelle carceri di Roma Regina Coeli, Foggia, Milano San Vittore, Palermo Ucciardone, Monza, Genova Marassi e Pavia, istituti che – come vedremo – da anni si portano dietro sempre gli stessi problemi.

Il rapporto Antigone denuncia inoltre un abuso di farmaci e psicofarmaci, usati spesso arbitrariamente come “cura” per monitorare situazioni psichiche difficili senza però un’adeguata perizia. Le strutture tendono infatti ad evitare il più possibile il contatto con servizi sanitari esterni al carcere: per la salute mentale dei detenuti resta poco al di là delle pillole. I dati dell’Associazione dicono che il 28% delle persone detenute nelle carceri (fra quelle osservate) assume stabilizzatori dell’umore, antipsicotici o antidepressivi e il 37,5% sedativi o ipnotici.

“Ogni suicidio, va ricordato, è un atto a sé, legato alla disperazione di una persona. Tuttavia, quando i suicidi sono così tanti e in carcere ci si uccide 16 volte in più che nel mondo libero, l’intero sistema penitenziario e quello politico non possono non interrogarsi sulle cause di questo diffuso malessere”, ha ribadito Patrizio Gonnella, presidente di Antigone.

Ma quali sono le cause di cui parla? Primo fra tutti, le condizioni di vita. In base alle visite effettuate da Antigone in 85 istituti penitenziari negli ultimi 12 mesi (dal luglio 2021 al luglio 2022), nel 31% dei casi (1 su 3) gli istituti hanno celle in cui non sono garantiti i 3mq calpestabili per persona. Oltre al sopraffollamento che ne scaturisce, l’Associazione ha rilevato che metà delle carceri visitate non sono dotate di doccia (seppur previste dal regolamento penitenziario del 2000) e che nel 44% degli istituti ci sono celle con schermature alle finestre che limitano il passaggio di aria.

Come dicevamo, quella del sovraffollamento è una grossa piaga da combattere. In Italia ci sono circa 120 detenuti ogni 100 posti disponibili. Peggio di noi solo Cipro, con 135 su 100. Analizzando tutti gli istituti presenti sul territorio, il sovraffollamento effettivo sale al 112%. Circa 20mila (37%) fra i detenuti attualmente rinchiusi in carcere devono scontare un residuo pena inferiore ai tre anni: molti di loro potrebbero ad esempio accedere a misure alternative, lasciando spazio in cella. Per non parlare di chi è ancora in attesa di giudizio.  “Ciò consentirebbe non solo un beneficio per i diretti interessati, ma per tutti coloro che abitano il carcere arginando il sovraffollamento che da sempre lo caratterizza”. Se consideriamo che il 34,8% dei detenuti è in carcere per violazione delle leggi sugli stupefacenti, “intervenire sulla legge sulle droghe potrebbe già ridurre di molto il numero delle persone in galera”.

Un altro tema caldo, di cui si discute spesso quando si parla di detenuti, è quello del lavoro, che ha visto un peggioramento con l’arrivo della pandemia. In generale, anche prima del Coronavirus, il nostro Paese ha sempre mostrato una tendenza a “concepire il carcere più come luogo di espiazione anziché di rieducazione”. E lo dimostrano i dati. In Italia il personale dedicato all’amministrazione penitenziaria e alla custodia è superiore all’80% (la media europea è del 55%). Mentre i dipendenti occupati in attività educative e di formazione professionale sono circa il 2% (la media è del 3,3%). In sintesi, nelle carceri ci sono 1,6 detenuti per agente e più di 80 per educatore.

La sfera psicologica ed emotiva dei carcerati è inoltre turbata dall’assenza degli affetti più cari: soprattutto durante il Covid le strutture hanno limitato molto i contatti con l’esterno, le visite e perfino le chiamate. In molte carceri non esistono spazi adeguati a permettere gli incontri, che finiscono per essere rimandati e alla fine cancellati.

“Di fronte a ogni suicidio non vogliamo che si vada alla ricerca di capri espiatori. Ma chiediamo atti urgenti. Sappiamo che il Governo può solo fare atti di ordinaria amministrazione. Ma allargare con atto amministrativo il diritto a telefonate si può fare. Una telefonata, in un momento di disperazione, può salvare una vita”, conclude Gonnella.

[di Gloria Ferrari]

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3 Commenti

  1. Mi pare di aver letto che l’Italia ha il maggior numero di psicologi al mondo, confronto gli altri stati. Non so se in percentuale o addirittura in numero, nonostante magari ha meno abitanti della Germania, esempio. Perciò, immagino tanti siano anche disoccupati.
    Sarà un idea sbagliata quella di sostituire un po’ di guardie con gente in grado di prendersi cura dei detenuti a livello mentale, e tutto ciò che comporta?

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