mercoledì 17 Aprile 2024

Gli “Uber files” raccontano molto del comportamento delle multinazionali

In queste ultime ore una rete di giornali internazionali, capitanata dal Guardian, ha pubblicato circa 124mila documenti sottratti a Uber – la società Usa che offre un servizio di noleggio auto con conducente. All’interno degli “Uber files” –  come sono stati rinominati – sono contenuti sms, email e documenti interni di vario genere, tra cui presentazioni, riferiti al periodo tra il 2013 e il 2017 (quello cioè in cui Uber ebbe il suo boom internazionale) che dimostrerebbero l’utilizzo da parte della società di metodi considerati poco etici per affermare il proprio dominio.

Anche se non è chiaro se tali comportamenti possano essere reputati “reati” (e puniti come tali) o possano portare all’apertura di indagini più approfondite, è anche vero che non è la prima volta che Uber viene accusata di mettere in atto comportamenti poco leciti (sin dalla sua fondazione nel 2010).

Il merito della sua crescita rapida e improvvisa è anzi spesso attribuito a una politica aziendale molto dura e irruenta, poco rispettosa di leggi e regole, incarnata dalla figura di Kalanick, cofondatore e amministratore delegato di Uber. Lo stesso fu costretto a dimettersi nel 2017, al culmine di una serie di scandali (tra cui anche accuse di molestie sessuali). È vero che dopo quell’episodio l’azienda ha in parte modificato il suo modo di fare, abbandonando quello che per Kalanick era ormai un vero e proprio motto: «La violenza è garanzia di successo».

In particolare pare che Kalanick abbia fatto in quegli anni particolare pressione sulla classe politica di varie nazioni, instaurando stretti legami con istituzioni e alti rappresentanti e servendosi di tecnologie all’avanguardia e sotterfugi per rivelare alle autorità quante meno informazioni possibili sulla propria attività.

Facciamo alcuni esempi: nei “files”, tra le figure più note, emerge il nome di Emmanuel Macron, che tra il 2014 e il 2016 ha ricoperto il ruolo di ministro dell’Economia. L’attuale presidente francese in quegli anni aveva infatti un rapporto molto stretto con Kalanick, fatto di chiamate e visite reciproche. Tant’è che alla fine Macron promise a Travis (i due si chiamavano per nome) di modificare le regole francesi sui trasporti in modo da agevolare l’ingresso di Uber nel mercato nazionale. Andò così anche con Neelie Kroes, la politica olandese che in quegli anni ricoprì il ruolo di commissaria europea per la Concorrenza.

Facciamo ancora un esempio, questa volta sulle “tecnologie all’avanguardia” utilizzate. I documenti rivelano che l’azienda era riuscita a mettere in piedi una specie di sistema informatico denominato “kill switch”, che funzionava così: in caso di controllo da parte di una qualche autorità, in una qualsiasi delle sedi di Uber, bastava spingere un interruttore virtuale per rendere immediatamente inutilizzabili tutti i computer di quell’ufficio.

È vero che in quegli anni Uber si presentava come una startup che aveva tutte le carte in regola per rivoluzionare il mondo dei trasporti, rendendolo piò concorrenziale e offrendo tariffe a vantaggio dei cittadini. Ci vollero degli anni per capire che per raggiungere quegli obiettivi Uber si sarebbe affidata al denaro di grossi investitori finanziari (una strategia che molti giudicano tuttora sleale nei confronti di chi già opera sul mercato) e metodi molto discutibili.

Tuttavia quello di Uber è solo il caso più recente. Negli ultimi anni molte multinazionali sono di fatto diventate determinanti in alcune decisioni che invece spetterebbero agli Stati, imponendosi in maniera pressante. Il nuovo paradigma di governo – denominato dal World Economic Forum (WEF) “governance 4.0” – è caratterizzato da una verticalizzazione e concentrazione dei poteri decisionali: questi ultimi dai governi nazionali verrebbero demandati a quelli che spesso vengono definiti “attori transnazionali”, che includono non solo i grandi enti sovranazionali, ma anche le associazioni filantropiche, le associazioni di commercio e tutte le organizzazioni non governative.

E poiché “il governo non può più agire come se solo avesse tutte le risposte”, secondo il fondatore del WEF, Klaus Schwab, una graduale cessione dei poteri a questi organismi diventa imprescindibile (come sta già accadendo). D’altronde la sovranità degli Stati nel mondo globalizzato appare già da tempo obsoleta e lo stesso WEF avverte che “sia le nostre istituzioni che i nostri leader non sono più adatti al loro scopo”. Per la gioia delle multinazionali.

[di Gloria Ferrari]

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