sabato 27 Luglio 2024

Mapuche, un popolo indigeno esempio di lotta e amore per la terra

In tutto il mondo ogni giorno miliardi di persone compiono un gesto inconsapevole, che gli permette di andare ovunque: camminare. Quella terra su cui si posano centinaia di milioni di scarpe non appartiene a nessuno. E di chi è, se non nostra? Della terra stessa.

È il pensiero che sta dietro all’intera esistenza dei Mapuche, che alcuni chiamano anche Reche, Aucas o Araucani, il popolo che prima dell’arrivo dei colonizzatori spagnoli abitava in autonomia la Regione ora occupata dagli stati del Cile e dell’Argentina. Per la loro comunità il “wallmapu” (la terra appunto) non appartiene a nessuno: è piuttosto un territorio di cui prendersi cura.

Nel nostro giornale vi abbiamo parlato spesso dei Mapuche, soffermandoci soprattutto sulle continue battaglie (molte delle quali soffocate nel sangue) che la comunità porta avanti in difesa del territorio natio, obiettivo di conquista di numerose multinazionali globali.

Una guerra che purtroppo spesso li vede sconfitti (non è sempre facile avere la meglio su corruzione, denaro, e interessi statali), nonostante i Mapuche siano il gruppo etnico più popoloso nel cono Sudamericano e maggiormente restio all’occidentalizzazione. Per tutti questi motivi, la loro etnia è frequentemente vittima di violenza, soprusi, omicidi e sparizioni, tutte rappresaglie compiute a volte dallo stato cileno e altre da quello argentino.

Ma c’è ancora molto da raccontare.

Mapuche

Il rapporto con i Governi centrali

«Fin dall’inizio, lo Stato del Cile è stato costruito su un ‘ideale’ di omogeneità che non considera i popoli indigeni, dimenticandone la cultura, la lingua, e il sistema di rappresentanza. E così da 200 anni», ha detto l’accademica mapuche Verónica Figueroa Huencho e professoressa all’Università del Cile. Che significa questa affermazione? Partiamo dal presupposto che il Cile ha plasmato il suo modello statale sulla base di quello europeo (in altre parole dei colonizzatori). Nello specifico, la Costituzione dice che la sovranità spetta alla nazione intera, ma non vi è traccia o riferimento alcuno di altri popoli o minoranze etniche. Va da sé che comunità come quella Mapuche siano totalmente escluse dalle decisioni governative e da tutto quello che, in generale, concerne allo Stato.

Un’organizzazione non conforme alla realtà dei fatti: uno degli ultimi censimenti effettuati nel paese (risalente al 2017) attestava che più del 10% della popolazione cilena (quasi 2 milioni di persone) fosse indigena. Allo stesso modo, secondo un sondaggio Cadem-Plaza Pública, risalente al 2020, il 93% degli intervistati sarebbe favorevole al riconoscimento dei Mapuche nella Costituzione e il 73% riterrebbe giusto riservare loro dei seggi al Congresso.

I Mapuche arrivarono per primi nelle terre che poi sarebbero state chiamate Cile e Argentina. Qui in Patagonia – un’area di 800mila km quadrati che comprende i due Paesi – si diffusero in maniera piuttosto graduale, così come nella pampa argentina. Gli indigeni appartenenti alla comunità erano principalmente allevatori, almeno fino all’arrivo dei colonizzatori spagnoli prima e degli Stati cileni e argentini dopo (più o meno con un paio di secoli di ritardo rispetto agli spagnoli), la cui occupazione ha costretto gran parte delle persone a lasciare via via sempre più terreno.

«Nel 1803 possedevano cinque milioni di ettari. Nel 1927 gliene restavano non più di 500mila», ricorda Sergio Caniuqueo, storico mapuche e ricercatore del Centro di studi interculturali e indigeni. «Continuano a perdere altre terre. Una parte gli fu restituita negli anni sessanta, nell’ambito di una riforma agraria portata avanti dal presidente socialista Salvador Allende. Ma la riforma fu ritirata dalla dittatura di Pinochet (1973-1990), che accordò dei sussidi alle imprese forestali per stabilirsi nella regione». Niente ha potuto neppure il sistema di restituzione istituito nel 1993 dalla Corporación nacional de desarrollo indigena (Conadi), unita al ministero dello sviluppo, e che Consente allo stato di riacquistare dei terreni privati per ridistribuirli alle famiglie native che ne fanno richiesta. Finora lo stato ha ricomprato 215mila ettari di terra. «È ancora poco, e il sistema non è abbastanza trasparente», sostiene Hernando Silva, dell’ong Observatorio ciudadano.

mapuche

Che per i Mapuche non sarebbe stata più vita facile dopo l’arrivo dei colonizzatori, era chiaro sin dall’inizio e ancora di più dalla formazione dello Stato cileno, nel 19esimo secolo, quando agli indigeni fu tolto gran parte del potere sulle proprie terre, molte volte con metodi illeciti o ingannevoli.

Ad oggi i Mapuche sono la popolazione indigena più popolosa del Cile, ma stanziata (solo) principalmente nelle regioni di La Araucanía e Bío Bío, con una piccola minoranza anche (seppur significativa) nella Patagonia argentina.

Ciò che è certo è che il progetto principe che lo Stato aveva (ed ha?), oltre alla privazione delle terre, era la nazionalizzazione dei Mapuche, a cui avrebbe fatto seguito l’assimilazione. Tentare, cioè di inculcare l’idea secondo cui l’unico modello valido è quello basato sullo standard europeo, sinonimo di civiltà e modernità, a cui tutta la popolazione (compresi e soprattutto gli indigeni) avrebbero dovuto omologarsi. In che modo? Non sono rare le testimonianze di famiglie indigene costrette a far studiare i propri figli nelle scuole statali, imponendo dunque l’apprendimento di una certa lingua e di certe tradizioni, diverse da quelle Mapuche (la cui divulgazione era invece vietata).

L’ignoranza alla base del pregiudizio

Da cosa dipende un tale trattamento (oltre all’idea che le terre indigene appartengano a tutti)? «Manca il dialogo e c’è ignoranza. I libri di scuola ci hanno tradizionalmente trattati come un gruppo di persone che esistono ad un certo punto del passato. E a ciò si aggiungono anche i pregiudizi, gli stereotipi, il ridicolo che si fa dei nostri cognomi, la descrizione di indiani, selvaggi». È la spiegazione che ha fornito l’accademica mapuche Verónica Figueroa Huencho. Va da sé che ad una comunità a cui non viene neppure riconosciuto lo status di “persone” (e i cui individui invece vengono definiti spesso con gli stessi appellativi che potrebbero essere affibbiati agli animali) è difficile pensare che gli siano concessi dei propri diritti a livello statale. Tanto più che lo stesso governo reputa i Mapuche degli incompetenti, per il fatto di non sfruttare la terra al suo massimo potenziale, ma al contrario di prendersene cura, rispettandola.

Mapuche

Chiariamo una cosa, che in un mondo ideale non dovremmo nemmeno puntualizzare, ma che a scanso di equivoci scriviamo in questo pezzo: i Mapuche non sono ai margini della società. Uscite dall’immaginario comune che li vede analfabeti e vestiti di foglie. Molti di loro sono medici, altri ricercatori, funzionari, avvocati, professori e così via. Sintetizzando: vivere in una società che non somiglia a quella occidentale non significa vivere in maniera sregolata e incivile.

Detto questo, e a sostegno di ciò che abbiamo appena scritto, ci vengono incontro le parole di Rubén Sánchez, mapuche ed ex direttore dell’ong Observatorio ciudadano: «C’è una ferita aperta, con una società cilena che non accetta che ce ne sia un’altra, e che quest’altra ci fosse da prima».

I danni della multinazionale italiana Benetton

Un pensiero che si rispecchia nel modo di comportarsi dello stato e nelle concessioni territoriali che distribuisce in lungo e in largo alle multinazionali. Parliamo, ad esempio, della famiglia Benetton, che in Argentina occupa all’incirca 900mila ettari di territorio (il più delle volte espropriati o strappati ai Mapuche). A che gli servono? Produzione intensiva di cotone, oppure sfruttamento delle materie prime, di cui il sottosuolo è pieno. In queste zone spesso si trovano punti di approvvigionamento idrico (come i pozzi) importanti per la sopravvivenza di centinaia di abitanti e che improvvisamente non sono più accessibili.

Negli anni chi ha provato ad apporsi ai soprusi ha messo di fatto a repentaglio la propria vita. Alcuni indigeni sono spariti nel nulla o sono stati ritrovati morti. Come l’episodio del 2019, quando un gruppo di attivisti Mapuche della comunità Lof Kurache ha fisicamente occupato un pezzo di terreno di proprietà dei Benetton. Le guardie hanno usato tutti i mezzi a loro disposizione per disperdere la protesta. Qualche anno prima, nel 2017, nella stessa zona Santiago Maldonado è stato visto vivo per l’ultima volta durante uno scontro con la polizia. L’uomo è stato trovato morto tre mesi più tardi.

I fautori di questi massacri sono ben conosciuti dalla comunità, che non esita (ogni volta) ad accusarli. Sono i Carabineros e i gruppi paramilitari che controllano la zona, il cui metodo preferito consiste nel mettere a tacere il dissenso. Quella che portano avanti i Mapuche, infatti, non è solo una lotta identitaria e personale. Quello della comunità è un vero urlo rivolto al mondo, per porre attenzione sullo sfruttamento ambientale che si ripete di continuo in quei territori.

Mapuche

Cosa ha fatto (e non ha fatto) la politica

Come avevamo accennato all’inizio dell’articolo, la dittatura in Cile (che ha dettato legge per 16 anni) ha contribuito ad inasprire espropriazioni e soprusi. Nonostante a partire dagli anni ’90 – con la deposizione di Pinochet – il Cile abbia vissuto una certa fase di transizione democratica, dalle coalizioni che si sono alternate al Governo sono arrivate solo promesse. Anche in questo caso mai concretizzate.

Al presidente Pinochet seguì il conservatore Patricio Aylwin (primo eletto democraticamente), che provò a coinvolgere i popoli indigeni nelle decisioni del paese, promettendo loro riconoscimento e rispetto della cultura. Questo non avvenne perché i Mapuche rifiutarono di dare fiducia al partito al governo. E non senza una giustificazione. Un progetto promosso dalla stessa coalizione pochi mesi prima (e che aveva a che fare con delle dighe) aveva causato un grave allagamento nei territori Mapuche, annegando di fatto gran parte dei raccolti. Una sfiducia che non potremmo definire totalmente ingiustificata.

Lo stesso è accaduto negli anni successivi. Nel 2000, ad esempio, sotto il governo progressista di Ricardo Lagos, la polizia divenne sempre più violenta nei confronti degli indigeni. Molti di loro (quelli che non furono ammazzati) finirono in carcere, vittime di molestie denunciate poi negli anni successivi e di ingiustizie (come l’applicazione nei loro confronti della legge antiterrorismo introdotta da Pinochet, che prevede condanne più dure e lunghe).

Alcune comunità non sono rimaste a guardare. In quegli anni nacquero tra i Mapuche gruppi armati, che attaccavano individui e multinazionali che si opponevano al recupero dei terreni o che sfruttavano in maniera impropria le risorse del territorio. Ma «noi non siamo per lo scontro. Nella nostra comunità le cose si fanno con il dialogo», ha detto una donna mapuche.

Mapuche

Gabriel Boric: l’ennesimo traditore?

«Le popolazioni autoctone, derubate delle loro terre ma non della loro storia», sono queste le parole con cui l’11 marzo del 2022 l’appena eletto presidente Gabriel Boric, esponente di sinistra, si pronunciava alla nazione, salutando e ringraziando anche nella lingua dei nativi. Molti dei presenti avevano interpretato il suo discorso come un’apertura nei confronti degli indigeni.

Vittoria Cile Boric

Tuttavia, dopo anni di promesse vane, Boric avrebbe dovuto affrontare per davvero la questione della restituzione delle terre, soprattutto perché la sua campagna elettorale promuoveva un programma incentrato sull’ambientalismo e sulla decarbonizzazione del Cile, perché il suo sarebbe stato “il primo governo ecologista della storia del Cile”. Il presidente inoltre si era dato come priorità quella di garantire l’individualità delle comunità locali e indigene.

Com’è andata poi nella realtà?

Negli scorsi giorni l’amministrazione del presidente Gabriel Boric ha dichiarato lo stato di emergenza nel sud del Cile, dopo l’intensificarsi delle violenze e degli scontri delle ultime settimane tra lo stato e i gruppi indigeni mapuche, guidati dalle organizzazioni Resistenza Mapuche Lavkenche (RML), Coordinamento Arauco-Malleco (CAM) e Liberazione Nazionale Mapuche (LNM). Con il decreto, la Ministro dell’Interno e della sicurezza pubblica Izkia Siches ha di fatto acconsentito che i militari sorveglino (di nuovo) le strade e le autostrade nelle aree del conflitto, cioè quelle sottratte ai Mapuche o dove questi ancora vivono.

Di che azioni parla la ministra? A fine aprile alcuni indigeni hanno tentato di sabotare alcune attività di imprese estrattive presenti in loco, incendiando una delle sedi delle aziende, un fuoristrada, tre camion e alcune scavatrici di un famoso impresario di legname, conosciuto tra i Mapuche come uno dei più grandi usurpatori di terre. Attacchi simili sono proseguiti anche nelle settimane successive, così come simile a quella di Piñera si sta dimostrando la politica di Boric.

Le organizzazioni di resistenza mapuche hanno fatto sapere che quanto stabilito dal governo garantisce che “i soldati si insedieranno nuovamente nel Wallmapu, proteggendo gli interessi del grande capitale. È la piena espressione della dittatura militare che noi mapuche abbiamo sempre subito, dittatura di cui ora si è fatto carico il governo di Boric”.

[di Gloria Ferrari]

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4 Commenti

  1. Quando son andato in Argentina in Patagonia li ho incontrati ,che emozione,che grande popolo,è stata un esperienza unica. Bellissimo servizio grazie.

Comments are closed.

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