giovedì 14 Novembre 2024

Human Right Watch: i dati dei bambini in DAD sono stati rivenduti

Nel pieno della crisi pandemica i Governi di tutto il mondo hanno cercato di preservare il sistema scolastico confidando sulla DAD, la didattica a distanza che ha sfruttato la digitalizzazione per consentire il conseguimento delle lezioni in remoto. Prive di un’infrastruttura statale dedicata, le varie Amministrazioni hanno dovuto appoggiarsi a entità private, le quali, accusa ora lo Human Rights Watch, hanno spesso venduto i dati raccolti dagli studenti minorenni.

L’investigazione recentemente pubblicata ha coinvolto 164 industrie del settore – le cosiddette “EdTech” – supportate da 48 diversi Governi. Analizzando i dettagli tecnici e le policy di queste realtà, l’organizzazione non governativa ha stimato che la maggior parte di loro ha messo a rischio la privacy dei minori, quando non l’ha compromessa del tutto. Nell’89% dei casi presi in considerazione, le informazioni raccolte sarebbero state infatti cedute ad aziende terze, le quali si occupano di sviluppare meccanismi di targetizzazione delle pubblicità e di brokeraggio dati.

Le piattaforme didattiche in questione avrebbero spiato gli infanti illegalmente, installando nei propri sistemi infrastrutture e tecnologie capaci di tracciare le abitudini dei singoli utenti. Quanto raccolto, sarebbe poi stato utilizzato da realtà esterne alla didattica per sviluppare algoritmi capaci di sintetizzare le caratteristiche e gli interessi dimostrati dai bambini di oggi, cosa che in molte nazioni è considerata illegale. Per capire la portata della manovra, basti sapere che lo Human Rights Watch stima che le 164 EdTech abbiano complessivamente condiviso le informazioni raccolte con 196 aziende specializzate nelle inserzioni pubblicitarie, ovvero che i pacchetti di informazioni siano finiti in mano a più imprese di quante non siano quelle che li hanno raccolti.

Il report in questione cita un unico caso italiano, quello di WeSchool. L’EdTech in questione è stata accusata di aver ceduto i dati a Facebook e Nielsen Group, accusa che è stata però immediatamente contestata dall’azienda. Luca Ghirimoldi, Head of Operations di WeSchool, ci ha sottolineato che quanto riscontrato dal report faccia riferimento a un contratto che non è stato applicato nel contesto della DAD, contesto che in epoca di massima crisi sanitaria ha imposto soluzioni straordinarie concordate direttamente con il Ministero dell’Educazione.

In pratica, il documento in questione non garantisce all’azienda la possibilità di adoperare i dati raccolti ai fini commerciali, al massimo questi possono essere usati nell’ottica della ricerca. In tal senso, lo scorso aprile, WeSchool, Fondazione Cariplo e il Politecnico di Milano hanno pubblicato uno studio sull’innovazione digitale dei processi educativi che si è basato proprio sui dettagli informatici recuperati in periodo pandemico.

Sul tema, Ghirimoldi ci ha assicurato che «tutti i dati personali (compresi gli id degli utenti) sono stati completamente anonimizzati prima della condivisione e condivisi tramite un repository criptato». Siamo dunque tutelati? Prima di poterne esserne certi è importante vedere cosa avrà da ribattere lo Human Rights Watch, entità con cui abbiamo provato a entrare in contatto, ma che non ci ha ancora fornito un riscontro diretto. Non ci stupirebbe scoprire che l’organizzazione sia al momento inabissata dalle contestazioni sui risultati della sua ricerca, a prescindere che le obiezioni in questione siano legittime o meno.

[di Walter Ferri]

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1 commento

  1. Strano che sia citata la piattaforma Weschool e non Google! Io, comunque, non ho dato, e non darò mai, il mio consenso all’utilizzo di una piattaforma privata per fare Da ( che già di per sé è deleteria). Se lo Stato italiano lo ritiene uno strumento indispensabile, che allestisca una piattaforma pubblica con le dovute tutele e la integri nei regolamenti scolastici.

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