venerdì 29 Marzo 2024

Le elezioni in Serbia e Ungheria premiano i partiti sovranisti e neutrali

Domenica 3 aprile sia in Serbia che in Ungheria si sono svolte le elezioni parlamentari: si tratta delle prime elezioni in Europa dall’inizio del conflitto in Ucraina che hanno visto vincitori i leader dei cosiddetti partiti “sovranisti”. Sono stati riconfermati, infatti, con maggioranza schiacciante, Victor Orban in Ungheria – al suo quarto mandato – e il presidente uscente Aleksander Vucic in Serbia, che domina la politica del Paese dal 2012. Ciò che contraddistingue i due Paesi è l’indipendenza sul piano politico e geopolitico dalle posizioni istituzionali assunte da Bruxelles. Proprio tale indipendenza ha permesso ai due stati di distinguersi dall’atteggiamento che i Paesi UE hanno assunto nei confronti della Russia, assumendo una posizione neutrale e continuando a mantenere normali rapporti commerciali e diplomatici col Cremlino.

Si tratta degli unici due Stati europei, infatti, che non hanno imposto sanzioni a Mosca e che hanno rifiutato di inviare armi a Kiev, schierandosi per una risoluzione pacifica e diplomatica del conflitto. Proprio per questo, sono spesso designati come Paesi “sovranisti”, termine che ha assunto un connotato spregiativo all’interno del contesto euro-atlantico, finendo per indicare qualunque governo che si discosti dalle decisioni UE e Nato, contrassegnandolo automaticamente come illiberale e autoritario.

La vittoria di Orban in Ungheria

I risultati delle elezioni ungheresi vedono Orban vincitore con il 53% dei voti: la sua coalizione, composta dal partito di governo Fidesz e dai cristiano-democratici di Kdnp ha ottenuto 134 seggi su un totale di 199, superando tutti e sei i partiti di opposizione – unificati in una lista dall’ultracattolico europeista Peter Marki-Zay – che si sono attestati al 35% delle preferenze. Grande l’esultanza del leader ungherese che, a scrutini conclusi, ha affermato: «è una vittoria così grande che si vede dalla Luna e di certo si vede anche da Bruxelles». Da sempre, il leader ungherese è contrario alle politiche “globaliste” e sovranazionali dell’Unione Europea e la vittoria elettorale gli ha fornito l’occasione per ribadire la sua contrarietà al sistema decisionale comunitario che spesso scavalca la volontà dei parlamenti nazionali.

Ma a far prevalere Orban nella competizione elettorale non sono stati solo i “tradizionali” temi che vedono l’Ungheria contrapposta alla UE, quali la questione dei migranti, ma anche la questione ucraina. I sondaggi pre-elettorali avevano infatto confermato come la maggior parte degli ungheresi approvi la posizione di neutralità assunta dal Presidente che gli ha comportato, peraltro, forti critiche dallo stesso leader ucraino Zelensky che si era rivolto a Orban come «unico in Europa a sostenere apertamente Putin». Tuttavia, gli ungheresi vedono nella guerra una minaccia all’economia e alla stabilità della nazione e ritengono che la soluzione non consista nell’invio di armi o nell’imposizione di sanzioni. Tutto ciò ha permesso al presidente ungherese di affermare a elezioni concluse: «abbiamo vinto anche a livello internazionale contro il globalismo. Contro Soros. Contro i media mainstream europei. E anche contro il presidente ucraino». La vittoria del partito conservatore ungherese ha senza dubbio irritato Bruxelles e gli ambienti “filoeuropeisti”, dai quali sono arrivate accuse di presunti brogli elettorali e di forte influenza della propaganda attuata dal governo. Tuttavia, al momento l’opposizione non ha chiesto di aprire indagini sulla correttezza del procedimento elettorale e non ha potuto far altro, dunque, che ammettere la sconfitta.

La vittoria di Vucic in Serbia

Contemporaneamente a quelle ungheresi, anche in Serbia si sono svolte le elezioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica e per rinnovare la camera unica del Parlamento: il Presidente uscente Alexander Vucic è stato riconfermato con più del 60% delle preferenze, mentre il suo partito – il Partito Progressista Serbo – ha ottenuto il 43,45% dei voti, conquistando 122 seggi in Parlamento su un totale di 250. Vucic – che ha ottenuto il secondo mandato presidenziale – si è auto-rappresentato come unico leader in grado di garantire stabilità e pace non solo alla Serbia, ma all’intera regione e ha puntato molto sui risultati economici raggiunti dalla sua amministrazione. Esattamente come Orban, non si è allineato alle sanzioni contro la Russia decise dall’Unione europea, sebbene abbia condannato l’invasione dell’Ucraina: ciò ha sicuramente infastidito Bruxelles che si aspettava un allineamento da parte di tutti quei paesi candidati ufficialmente a entrare nella UE come la Serbia. Tuttavia, il passato recente del Paese ha spinto Belgrado ad assumere un atteggiamento neutrale quando non simpatizzante nei confronti di Mosca: i bombardamenti della NATO avvenuti nel 1999 e decisi da Washington senza alcuna autorizzazione delle Nazioni Unite – quindi al di fuori del diritto internazionale – hanno provocato migliaia di morti e vittime civili in Serbia. Da qui il risentimento verso gli Stati Uniti che ha rinsaldato il tradizionale legame culturale tra Serbie e Russia, accumunate dal credo religioso cristinano ortodosso. Non a caso, la Serbia è stato l’unico Paese europeo in cui si sono svolte manifestazioni a favore della Russia, dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina.Il governo di Vucic è stato attento a mantenere una posizione equidistante sia dal Cremlino che dall’Unione europea, cercando innanzitutto di non ledere gli interessi nazionali. E proprio in questa direzione è da leggere la decisione dell’amministrazione serba di non interrompere le relazioni col Cremlino. Decisione che, anche in questo caso, ha contribuito alla vittoria dell’uscente presidente serbo, già ministro durante il governo di Slobodan Milosevic.

[di Giorgia Audiello]

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5 Commenti

  1. Il sovranismo non mi piace ma l’autonomia è una scelta giusta, si può scegliere l’autonomia senza essere sovranisti.
    Anche perchè è chiaro che ogni Paese ha i suoi interessi, l’Europa è disposta a farsi carico dei danni economici e di fornitura del gas russo? Se la risposta è no, l’Italia può e deve fare scelte differenti.

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