sabato 20 Aprile 2024

India, prostitute messe in carcere solo perché sieropositive

Un tribunale dello stato del Maharashtra, situato nell’India occidentale, ha ordinato la detenzione di una donna, presumibilmente una lavoratrice del sesso, in una casa di “protezione” per la durata di due anni, poiché accusata di poter essere un pericolo per la società a causa del suo stato di sieropositività.

La donna, che ha mantenuto l’anonimato previsto dalla legge sulle persone che vivono con l’HIV, è stata presa in custodia ad agosto, nonostante numerosi attivisti sostengano che un’azione di questo tipo contraddica direttamente una legge del 2017 che condanna la discriminazione nei confronti delle persone che convivono con l’HIV. Secondo la normativa, va inteso come discriminatorio qualsiasi onere, obbligo, responsabilità, disabilità o svantaggio che la persona subisce prettamente sulla base della sua sieropositività. “La detenzione di due anni di una persona solo perché convive con l’HIV è una violazione dei diritti umani,” ha detto a VICE World News Firoz Khan, responsabile del programma dell’organizzazione no profit per i diritti dell’HIV Alliance India.

Soprattutto perché spesso il personale assunto in queste strutture non ha informazioni adeguate, corrette e complete: succede che le persone sieropositive subiscano discriminazioni anche mentre mangiano o utilizzano i servizi igienici, perché considerate (erroneamente) altamente contagiose.

Eppure in India quasi due milioni di persone convivono con l’HIV, due milioni di persone che lottano per cancellare pregiudizi basati sulla non conoscenza: perché no, non rappresentano alcuna minaccia per la società.

Al contrario, invece, la decisione del tribunale ha messo in luce la necessità di fare chiarezza sull’HIV, per eliminare uno stigma che affligge e alimenta la disinformazione, soprattutto nei confronti delle sex worker: proprio come previsto dalla Corte Suprema, lavoratrici del sesso hanno diritto ad una normale vita, dignitosa. In queste zone il lavoro sessuale non è sempre una libera scelta. Nella maggior parte dei casi le donne sono costrette a prostituirsi per sopravvivere, ma la legge non fornisce loro alcuna forma di protezione. Di fatto, le sex worker possono esercitare l’attività in privato ma non possono aggregarsi o farlo in maniera più organizzata, pubblicamente. La prostituzione organizzata è illegale, e nessuna legge sul lavoro si occupa di chi la pratica.

E non si tratta solo di lavoro. Non avere una regolamentazione alle spalle comporta decine di altre conseguenze. Un accesso limitato all’assistenza sanitaria, ad esempio. Il 90% delle lavoratrici del sesso affette da sieropositività ha dichiarato di aver assistito o subito discriminazione in virtù della propria condizione: abusi che si trasformano in paura, isolamento e silenzio. Per molte di loro è diventato impossibile rivelare il proprio stato di sieropositività a chiunque altro.

Nel 2017, si stima che l’1,6% delle lavoratrici del sesso in India vivesse con l’HIV. E anche se questa cifra varia da uno stato all’altro, il paese ha compiuto buoni progressi nella riduzione delle infezioni a partire dal 2001.

E i numeri potrebbero diminuire ancora, e ancora, se si riuscisse a fare una sola cosa: corretta informazione.

[di Gloria Ferrari]

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