Il ministro degli Esteri olandese, Caspar Veldkamp, si è dimesso per non essere riuscito a ottenere l’ok del governo a ulteriori sanzioni contro Israele. Veldkamp ha riconosciuto di non poter adottare misure efficaci a causa della resistenza interna. Tra i suoi sforzi rientra l’imposizione di divieti di ingresso ai ministri israeliani di estrema destra, Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, citando il loro ruolo nell’incitamento alla violenza dei coloni contro i palestinesi. Veldkamp ha inoltre revocato tre permessi di esportazione per componenti di navi militari, mettendo in guardia dal «deterioramento delle condizioni» a Gaza e dal «rischio di un utilizzo finale indesiderato».
Abbiamo forse l’impressione di vedere un buon numero di messaggi postati sui social media a favore della resistenza palestinese, ma in realtà, secondo un gruppo di whistleblower(informatori) impiegati presso Meta – la Big Tech che gestisce Facebook, Instagram e WhatsApp – i messaggi che vediamo effettivamente sono solo una piccola parte di tutti i messaggi pro-Palestina che sono stati postati. La maggior parte non la potremo mai vedere perché è svanita nel nulla, censurata. E, sempre secondo questi informatori, a promuovere la massiccia censura dei post contro il genocidio in corso a Gaza c’è lo Stato sionista di Israele, con la piena complicità dei dirigenti di Meta.
Milioni di post spariti nel nulla
La denunciaappare in due documenti bomba che rivelano come oltre 90.000 post pro-palestinesi siano stati indebitamente rimossi da Facebook e da Instagram su richiesta specifica del governo israeliano. I documenti offrono persino un esempio delle email che Israele ha scambiato con Meta per far sopprimere tutti quei post che Tel Aviv giudica «pro-terroristi» o «antisemiti» (in realtà, dicono gli informatori, si tratta di normali messaggi di solidarietà per la causa palestinese.) Inoltre, a causa dell’effetto a cascata insito negli algoritmi usati da Meta per vagliare in automatico i messaggi postati sulle sue piattaforme, altri trentotto milioni di post pro-Palestina sarebbero spariti nel nulla dal 7 ottobre 2023. In pratica, si tratta della più grande operazione di censura di massa nella storia moderna, concludono questi informatici militanti che ora, con il loro sito ICW (International Corruption Watch), hanno indossato anche i panni di giornalisti investigativi alla Julian Assange.
Ma non si tratta soltanto di denunce di atti di censura. Le rivelazioni dell’ICW mostrano come l’Intelligenza Artificiale (IA) possa essere facilmente manipolata per dare risposte tendenziose: proprio quelle volute da chi abbia avuto i mezzi per “avvelenare il pozzo” dei dati, come, in questo caso, Israele. Si tratta di una denuncia che ci deve far riflettere tutti. Perché se l’IA può essere manipolata, allora anche noi possiamo essere manipolati ogni volta che leggiamo una cosiddetta risposta “obiettiva” generata dall’IA in una ricerca su Google, ogni volta che poniamo un quesito a un’app IA che si professa “imparziale” come ChatGPT o, infine, ogni volta che scegliamo di guardare un video segnalatoci da una lista creata dall’IA di YouTube in base a sedicenti criteri di “popolarità”. (In un precedente studio, l’ICW ha mostrato come, in realtà, gli algoritmi di YouTube – in maniera estremamente sottile – spingano a visionare video politicamente orientati a destra.) In altre parole, l’apparente neutralità degli algoritmi usati non solo da Meta ma da tutte le Big Tech è puramente illusoria e dobbiamo esserne consapevoli.
Una protesta pro-palestinese contro la censura di Meta
Per Meta i meccanismi sono imparziali
Meta sostiene, invece, che i meccanismi che usa per censurare determinati messaggi postati sui suoi social media siano imparziali. Infatti, spiega Meta, in alto a destra di ogni post che appare su Facebook o su Instagram c’è un tasto «Report» («Segnala») per consentire a chiunque di segnalare che quel post andrebbe rimosso – perché, ad esempio, sprona alla violenza, usa la calunnia o costituisce bullismo. Quindi tutti gli utenti possono fare una “proposta di rimozione” (takedown request) riguardante qualsiasi post che essi giudicano offensivo; saranno poi gli algoritmi di Meta a decidere se un post è davvero da rimuovere o meno, in base a una valutazione “obiettiva”. In conclusione, secondo Meta, se spariscono tanti post pro-palestinesi dalle sue piattaforme, è soltanto perché molti utenti li hanno segnalati come offensivi e l’algoritmo “obiettivo” di Meta ha convalidato questo giudizio.
Ma chi abbia usato il tasto «Report» sa benissimo che solo in alcuni casi una richiesta di rimozione fatta da un utente qualsiasi viene accettata. La procedura illustrata da Meta non può spiegare la sparizione di trentotto milioni di post pro-palestinesi.
Ciò che Meta non dice pubblicamente, infatti, è che esiste anche un secondo canale per far rimuovere post indesiderati ed è proprio quello che ha usato Israele. Si tratta di un indirizzo email riservato, divulgato solo a governi o a grossi enti internazionali, che consente loro di presentare richieste di rimozione che verranno prese in carico prioritariamente, non da un algoritmo, ma da un essere umano (un “verificatore”). Molti governi, infatti, ricorrono a questa procedura per far censurare messaggi postati dai loro cittadini malcontenti. Meta accoglie le loro richieste, almeno in parte, sia per compiacenza, sia per evitare che le sue piattaforme vengano oscurate in quei Paesi.
Israele, invece, è un caso a parte. Inoltra a Meta richieste di censurare i commenti critici postati dai propri cittadini solo nell’1,3% dei casi. (A titolo di paragone, il 95% delle richieste di rimozione fatte dal governo brasiliano riguarda messaggi postati dai cittadini brasiliani.) Ciò significa che nel 98,7% dei casi il governo israeliano chiede a Meta di censurare messaggi pro-Palestina postati sui social da cittadini che abitano fuori da Israele. E lo fa attraverso una sua Cyber Unit creata appositamente. Così Israele risulta il Paese con il maggior numero di richieste di rimozione pro capite – tre volte di più di qualsiasi altro Paese.
Non solo, ma a differenza di altri Paesi, Israele beneficia di un tasso di accettazione delle sue richieste del 94%, cifra che l’ICW giudica palesemente forzata e anche pericolosa. Infatti, siccome le accettazioni dei verificatori umani vengono poi usate per addestrare gli algoritmi di IA, quegli algoritmi subiscono un “avvelenamento” anti-palestinese e cominciano poi a censurare in automatico ogni futuro post con contenuti simili ai post rimossi dai verificatori umani su richiesta della Cyber Unit. In questa maniera, Israele riesce a censurare il resto del mondo.
Un dato sorprendente emerge poi dalle rivelazioni dei whistleblower dell’ICW. Il Paese con il maggior numero di richieste di rimozione fatte dalla Cyber Unit non sono gli Stati Uniti o un paese europeo, bensì l’Egitto, che vanta il 21% del totale delle richieste di rimozione israeliane. Perché questa attenzione particolare all’Egitto? I documenti sul sito dell’ICW non lo dicono ma è facile indovinare: Facebook è il primario strumento di comunicazione tra gli egiziani ed è stata proprio una valanga di post su Facebook che ha innescato, nel gennaio e febbraio del 2011, manifestazioni antigovernative gigantesche in piazza Tahrir al Cairo (alcune con due milioni di partecipanti) e la conseguente caduta del regime del dittatore Mubarak. Oggi, un simile massiccio tam-tam di post su Facebook contro il blocco degli aiuti umanitari per Gaza al valico di Rafah potrebbe innescare un assalto popolare a quel varco. Infatti, esso si trova a sole cinque ore di macchina dal Cairo. Chiaramente, dunque, Israele ha ogni interesse a prevenire una simile protesta: se i manifestanti fossero due milioni come nel 2011, il loro assalto al varco sarebbe incontrollabile. Donde l’assoluta priorità data alla rimozione dei post egiziani pro-palestinesi.
In foto: Hosni Mubarak, l’ex dittatore egiziano dal 1981 all’11 febbraio 2011. È stata proprio una valanga di post su Facebook che ha innescato manifestazioni antigovernative gigantesche in piazza Tahrir al Cairo e la conseguente caduta del regime
I documenti fatti trapelare dai whistleblower di Meta sono stati elaborati da un informatico specializzato in IA, che si fa chiamare “nru”, per creare due documenti che egli ha poi pubblicato sul sito ICW: Meta Leaks Part 1 l’11 agosto 2025 e Meta Leaks Part 2 il 15 agosto 2025. I due documenti esistono anche in formato pdf: la prima parte si trova qui e la seconda parte qui. Una bozza della prima parte è apparsa l’11 aprile 2025 su DropSite News ma senza provocare reazioni. Ciò non significa, tuttavia, che la censura dei post pro-palestinesi da parte di Meta sia passata inosservata o che non susciti interesse.
Non si tratta del primo caso
Anzi, già un anno e mezzo fa (21 dicembre 2023), Human Rights Watch (HRW) ha formalmente accusato Meta di censurare con sistematicità una buona parte dei commenti pro-palestinesi postati su Instagram e Facebook. Come prove, HRW ha raccolto e analizzato le lamentele di un migliaio di utenti di queste piattaforme i cui post sono stati fatti sparire da Meta. Purtroppo, si tratta di prove necessariamente indirette perché HRW non ha accesso agli algoritmi usati; quindi Meta ha potuto attribuire le soppressioni dei post a non meglio precisati “bug” che ha poi promesso di correggere col tempo. E così, tutto è finito lì. Fino ad oggi.
Infine, grazie alla loro denuncia della tecnica di “avvelenamento del pozzo” dei dati praticata da Israele, abbiamo un’idea più chiara dei limiti dell’Intelligenza Artificiale. L’IA è palesemente un “pappagallo stocastico”, ovvero una creatura che “parla” usando calcoli di probabilità al posto di una vera consapevolezza di quello che dice. Questo pappagallo può essere ammaestrato, poi, a presentare prioritariamente le informazioni che i suoi padroni hanno voluto con maggiore insistenza fargli incamerare. In altre parole, apprendiamo che chiunque controlli l’addestramento di un’IA controllerà le basi e influenzerà le possibilità di deduzione grazie a cui quell’IA creerà le sue risposte. Oggi chi controlla l’IA in Occidente è una manciata di miliardari della Silicon Valley legati alla lobby sionista ma anche a tutte le più grosse lobby.
In conclusione, l’IA è da usare sì, ma con cautela; in quanto ai prodotti Meta (Facebook, Instagram, WhatsApp), meglio smettere di usarli. Per quanto riguarda la vicenda Meta Leaks, essa svela soltanto una parte degli intrighi sionisti per soffocare il grido che sale da Gaza.
La Missione di Supporto delle Nazioni Unite in Libia ha dichiarato che il suo quartier generale di Tripoli è stato attaccato. L’attacco, sostiene il ministero degli Interni libico, sarebbe stato condotto con un missile anticarro, ma sarebbe stato sventato dalle forze del Paese. Il missile avrebbe tuttavia colpito una abitazione a Janzour, città nel distretto di Zawiya, nella regione della Tripolitania. Le autorità hanno dichiarato di avere sequestrato un pick-up con a bordo altri due missili e una piattaforma di lancio. Non sono registrate vittime. Ignoti gli autori dell’attacco.
Oggi pomeriggio, in Iran, cinque poliziotti sono stati uccisi in un attacco nella provincia sud-orientale del Sistan e Belucistan. La notizia è apparsa sui media iraniani, che attribuiscono l’attacco ai beluci dell’organizzazione separatista Jaish al-Adl. Secondo un resoconto della polizia provinciale, gli autori dell’attacco avrebbero preso di mira due unità di pattuglia della polizia del distretto di Damen, nella contea di Iranshahr, mentre erano in servizio. Le operazioni per identificare gli aggressori sono ancora in corso. I beluci sono una minoranza distribuita in una regione chiamata Belucistan, situata a cavallo tra Iran, Afghanistan e Pakistan. In questi tre Paesi sono attive diverse firme separatiste per l’indipendenza dei beluci.
L’ONU ha dichiarato oggi ufficialmente la carestia a Gaza attraverso la Classificazione Integrata della Sicurezza Alimentare (Integrated Food Security Phase Classification – IPC), un organismo sostenuto dalle stesse Nazioni Unite che si occupa di monitorare i livelli di fame nel mondo. L’IPC ha dichiarato che 514.000 persone, ovvero circa un quarto dei palestinesi di Gaza, stanno soffrendo di grave malnutrizione. Tra queste, 280.000 si trovano nella regione settentrionale di Gaza City, dichiarata in stato di carestia. Si tratta della prima dichiarazione di questo tipo relativa all’enclave palestinese. Perché un’area venga classificata in stato di carestia, almeno il 20% della popolazione deve soffrire di gravi carenze alimentari, con un bambino su tre affetto da malnutrizione acuta e due persone su 10.000 che muoiono ogni giorno di fame, malnutrizione e malattie. Parallelamente un’inchiesta indipendente ha rivelato che la percentuale di vittime civili a Gaza è di gran lunga superiore rispetto a quella dei militanti legati alle sigle islamiche come Hamas o la Jihad islamica.
L’inchiesta, condotta congiuntamente dal media The Guardian, dalla rivista israelo-palestinese +972 Magazine e dal quotidiano in lingua ebraica Local Call ha messo in evidenza come cinque palestinesi su sei uccisi dall’esercito israeliano a Gaza fossero civili. Si tratta di dati tratti da un database classificato dell’intelligence militare israeliana. A maggio, secondo le autorità sanitarie di Gaza, 53.000 palestinesi erano stati uccisi dagli attacchi israeliani, un numero che comprendeva sia combattenti che civili. Sempre a maggio, i funzionari dell’intelligence dello Stato ebraico avevano segnalato 8.900 miliziani di Hamas e della Jihad islamica come morti o «probabilmente morti», secondo quanto emerso dall’indagine. Ciò significa che i combattenti rappresentano solo il 17% delle vittime totali, mentre il restante 83% è costituito da civili. Si tratta di un rapporto estremamente sbilanciato, tanto da superare anche quello di conflitti molto cruenti, come la guerra in Siria o in Sudan. Contattato per un commento da Local Call e +972 Magazine – entrambi media israeliani – l’esercito dello Stato ebraico non ha smentito l’esistenza del database né la validità dei dati rispetto alle morti dei militanti palestinesi. Tuttavia, contattati dal Guardian – come riferisce lo stesso quotidiano britannico – i rappresentanti delle forze israeliane hanno di fatto negato che i dati fossero corretti, senza ulteriori specificazioni.
Secondo quanto riportato da Local Call, anche l’esercito israeliano ritiene attendibile il bilancio delle vittime del ministero della Salute di Gaza, nonostante i politici israeliani facciano passare tali numeri come propaganda. Tuttavia, il numero dei morti è quasi sicuramente sottostimato, in quanto il Ministero della Salute di Gaza elenca solo le persone i cui corpi sono stati recuperati, non le migliaia sepolte sotto le macerie. Secondo alcune testimonianze dirette, inoltre, Israele aumenta il numero delle vittime di militanti di Hamas per bilanciare il numero delle vittime civili all’interno dei documenti. A confermare la falsificazione dei numeri è stato il generale in pensione Itzhak Brik, ex consigliere del primo ministro Benjamin Netanyahu all’inizio della guerra, ora tra i suoi critici più accaniti. «Non c’è assolutamente alcuna correlazione tra i numeri annunciati e ciò che sta realmente accadendo. È solo un grande bluff», ha affermato. Secondo i dati dell’Uppsala Conflict Data Program, che monitora le vittime civili in tutto il mondo, rispetto alla situazione a Gaza, i civili hanno costituito una percentuale maggiore di morti solo a Srebrenica (non nella guerra in Bosnia nel suo complesso), nel genocidio ruandese e durante l’assedio russo di Mariupol nel 2022.
Oggi è arrivata anche la conferma dello stato di carestia a Gaza, dopo che Gran Bretagna, Canada, Australia e molti altri Stati europei hanno dichiarato che la crisi umanitaria ha raggiunto «livelli inimmaginabili», senza tuttavia fare nulla di concreto per fermare Israele. Alcuni Stati, anzi, continuano a inviare armi allo Stato ebraico. L’IPC ha sottolineato che l’analisi pubblicata oggi riguarda solo le persone residenti nei governatorati di Gaza, Deir al-Balah e Khan Younis. Non è stato possibile, invece, controllare le condizioni e classificare il governatorato di Gaza settentrionale a causa delle restrizioni di accesso e della mancanza di dati, e ha escluso qualsiasi popolazione rimanente nella regione meridionale di Rafah, in quanto in gran parte disabitata. Precedentemente, l’IPC ha riscontrato lo stato di carestia anche in alcune zone della Somalia nel 2011, nel Sud Sudan nel 2017 e nel 2020 e nel Sudan nel 2024. L’unica differenza è che a Gaza l’eccidio della popolazione civile avviene con il coinvolgimento diretto di diverse potenze occidentali.
L’ex presidente dello Sri Lanka, Ranil Wickremesinghe, è stato arrestato oggi, venerdì 22 agosto, dal Dipartimento di investigazione criminale con l’accusa di uso improprio di fondi statali. Il suo arresto è avvenuto dopo che si è presentato al Dipartimento, a Colombo, per testimoniare in un’indagine in merito a una sua visita a Londra per la laurea della moglie. Wickremesinghe, avvocato che ha ricoperto la carica di primo ministro per sei volte, era diventato presidente nel 2022 durante la crisi economica che aveva costretto il suo predecessore, Gotabaya Rajapaksa, a fuggire. È stato sconfitto alle elezioni presidenziali dello scorso anno.
Roblox è una delle piattaforme di gioco più popolari e iconiche al mondo, punto nevralgico dell’intrattenimento per milioni di bambini. Un crocevia digitale che ambisce a essere un’utopia creativa e sociale, ma che oggi si ritrova nuovamente sotto accusa per non aver saputo proteggere i suoi giocatori più vulnerabili: i minori. In anfratti non troppo nascosti del videogioco è infatti possibile imbattersi in contenuti sessualmente espliciti o allusivi e, fatto ancor più grave, in tentativi di adescamento da parte di adulti. Problemi già noti, ma che negli ultimi mesi hanno raggiunto un punto di rottura: gli utenti chiedono le dimissioni del fondatore e CEO David Baszucki, mentre le istituzioni hanno avviato le prime cause legali.
Distribuito gratuitamente, Roblox si presenta come un portale colorato e accogliente, basato interamente sui contenuti progettati dagli utenti. Non esiste un gioco unico: la piattaforma è piuttosto un enorme arcipelago di “esperienze” ideate e gestite dai giocatori stessi. Complice questa libertà creativa, il prodotto è carico di insidie, tuttavia l’azienda ha dimostrato sforzi di moderazione spesso insufficienti, se non addirittura uno smaccato disinteresse nel contrastare effettivamente le criticità. Baszucki, intervistato dalla BBC lo scorso marzo, aveva dichiarato: “Se non vi sentite a vostro agio, non lasciate che i vostri figli siano su Roblox”, una posizione che di fatto sposta ogni responsabilità sulla supervisione dei genitori.
In assenza di un’azione concreta da parte dell’azienda, sono nati spontaneamente gruppi di “vigilantes”: utenti che si sono organizzati per identificare e segnalare alle autorità gli adulti che, mossi da scopi di natura sessuale, tentano di approcciare i giocatori più giovani per poi spostarli su piattaforme di messaggistica esterne. Un intento nobile, che però, non essendo supervisionato da professionisti, rischia di trasformarsi in tragedia annunciata. Ancor più che tali attività sono spesso condotte anche con lo scopo di produrre contenuti video da caricare poi sui social, dettaglio che alimenta la ricerca dello scandalo in favore di una maggiore viralità. Consapevole di questo pericolo, il 13 agosto Roblox ha confermato la sospensione di tutti gli account coinvolti in queste iniziative di vigilanza.
La decisione ha acceso ulteriormente le polemiche, dando nuova linfa a una petizione avviata a inizio mese su Change.org per chiedere un ricambio ai vertici aziendali, così da avviare riforme radicali del sistema. La raccolta firme denuncia un sistema di moderazione inefficace, una gestione caotica delle segnalazioni e un atteggiamento punitivo nei confronti degli utenti che hanno cercato di denunciare comportamenti predatori. Parallelamente, la vicenda ha assunto una dimensione istituzionale: lo Stato della Louisiana ha intentato una causa legale contro la Roblox Corporation. L’azione, guidata dalla procuratrice generale Liz Murrill, accusa l’azienda di essere diventata un “terreno fertile” per i molestatori e i pedofili. “È praticamente stagione di caccia per i predatori su questa app”, ha dichiarato Murrill, accusando l’impresa di anteporre “i profitti davanti alla sicurezza dei bambini”.
In risposta, Roblox ha ribadito le proprie politiche contro i contenuti sessuali e annunciato nuove misure di controllo. L’azienda ha ricordato che, almeno sulla carta, simili contenuti sono sempre stati vietati e ha promesso l’introduzione di una “nuova tecnologia” in grado di rilevare e bloccare comportamenti inappropriati. Nei prossimi mesi, inoltre, limiterà l’accesso alle esperienze prive di valutazione tecnica e aggiornerà le proprie linee guida: i minori di 17 anni non potranno più accedere a esperienze ambientate in “spazi privati (come stanze da letto e bagni)” o in “contesti per adulti (come bar e club)”. Una riforma che punta anche a rafforzare la verifica anagrafica, imponendo un controllo più capillare dei documenti d’identità.
Giovedì, in Colombia, due attentati attribuiti a gruppi dissidenti delle FARC hanno causato almeno 18 morti e oltre 70 feriti. Nel primo attacco, un drone ha abbattuto un elicottero della polizia vicino a Medellín, uccidendo 12 persone durante un’operazione anti-coca. Poche ore dopo, una bomba esplosa in una macchina a Cali ha ucciso 6 persone e ne ha ferite decine. Medellín e Cali sono le principali città del paese dopo Bogotá. Dopo l’attacco, Cali ha dichiarato la legge marziale, e il governo valuta misure aggiuntive per la sicurezza. Nessun gruppo sino ad ora rivendicato gli attentati.
Delle 98 opere previste per le sempre più imminenti Olimpiadi Milano-Cortina, poco meno della metà non vedranno la luce in tempo per godersi l’evento sportivo. Sono infatti almeno 44 le opere che Società Infrastrutture Milano-Cortina (SIMICO) ha in progetto che termineranno solo dopo l’avvio dei giochi olimpici, che si svolgeranno a febbraio 2026. A queste se ne aggiungono altre 5 su cui l’azienda fornisce, nel migliore dei casi, dati poco chiari. Parte delle opere che verranno “ultimate”, inoltre, lo saranno solo a metà, e altre, quelle temporanee, dovranno venire smantellate. Nella lista compaiono prevalentemente i progetti sulle infrastrutture stradali, tra i più importanti per la gestione del flusso del pubblico e tra i pochi ad avere una potenziale applicazione anche dopo l’evento. I ritardi sono solo l’ultimo dei problemi dell’organizzazione delle Olimpiadi del 2026, che sin dal lancio dei vari progetti è stata costellata da critiche e mala gestione, e che oggi deve fare fronte alla sostanziale irrealizzabilità di molte delle opere in cantiere.
Trento e Bolzano
Nell’area delle province autonome di Trento e Bolzano si contano un totale di 44 progetti, tra interventi sulle palazzine e opere infrastrutturali. Di questi, quelli che non termineranno in tempo per i giochi sono almeno 12. A Trento parte dei lavori per la riqualificazione dell’impianto da pattinaggiodi velocità inizieranno a settembre dell’anno prossimo, oltre sei mesi dopo il termine dell’evento; l’opera, dal valore di 17,8 milioni di euro, prevede il miglioramento della struttura e dei locali tecnici, e la costruzione di un nuovo edificio con un campo da basket e un poligono da tiro con l’arco. A essa si aggiungono i lavori sullo stadio di sci di fondo, dal valore di 2 milioni di euro, e quelli temporanei sugli immobili pubblici, di 330mila euro, che non è noto quando inizieranno. Gli altri progetti riguardano il settore dei trasporti e quello stradale: i treni ibridi di cui doveva dotarsi la linea Trento-Bassano del Grappa – progetto da 65 milioni di euro – arriveranno a dicembre 2027; la galleria tra la Val di Cembra e l’Altopiano di Pinè, dal valore di 13 milioni, terminerà ad aprile 2027; il potenziamento della rete di trasporto pubblica locale nelle valli di Fiemme e Fassa, dal valore di 74 milioni, terminerà a dicembre 2026. Ultimi, ma non meno importanti, i lavori di collegamento tra le strade provinciali 81 e 71, che contano diversi progetti; di questi, tre, dal valore complessivo di quasi 12 milioni di euro, non termineranno prima di fine 2026.
A Bolzano, invece, sono almeno 5 i progetti che non vedranno la luce prima dell’inizio dei giochi olimpici, tutti, a esclusione di uno, proprio legati ai trasporti e alla viabilità: si tratta del bacino di accumulo dell’acqua per l’innevamento delle piste da sci da fondo di Anterselva, dal valore di 5 milioni di euro. Per quanto riguarda, invece, i lavori sulle strade, erano previste delle modifiche su due incroci della statale 49, dal valore di 31,3 milioni di euro, che inizieranno a novembre 2025 e termineranno nel 2027; sulla stessa SS49 era previsto un ampliamento con la costruzione di una terza corsia, i cui lavori inizieranno dopo i giochi e termineranno a novembre 2026. Era poi in cantiere la costruzione di una galleria nell’abitato della cittadina di Perca, dal valore di 140 milioni, che terminerà a novembre 2026. Il collegamento tra Valbadia e Cortina, sede della maggior parte degli eventi sportivi, è composto da due interventi dal valore rispettivamente di 6,3 milioni e 4,3 milioni, che tuttavia non è chiaro se termineranno; nella stessa area doveva venire eliminato un vecchio passaggio a livello, per lavori dal valore di 18,2 milioni, che tuttavia inizieranno a marzo 2026 e termineranno ad agosto 2027.
Veneto
La vecchia pista da bob di Cortina Eugenio Monti, oggetto della riqualifica
In Veneto, SIMICO ha in progetto la costruzione di due varianti stradali sulla statale Alemagna, una a Longarone, dal valore di circa 396 milioni di euro, e una a Cortina, per quasi mezzo miliardo; i lavori per le varianti non sono ancora cominciati e la loro conclusione è prevista rispettivamente per il 2029 e il 2032. Sempre a livello stradale, era prevista la sistemazione delle strade cortinesi, progetto da 20 milioni di euro che terminerà a giugno del 2026, e la costruzione di una strada secondaria che dovrebbe penetrare nell’abitato di Cortina, dal valore di circa 52 milioni di euro, che dovrebbe iniziare a venire costruita a maggio 2026.
Ai progetti stradali si uniscono le opere per le Olimpiadi in quella che, almeno sulla carta, dovrebbe essere la sede più importante dell’evento: la ristrutturazione del trampolino simbolo delle Olimpiadi del 1956 (10 milioni), dove avrebbero dovuto essere costruite aree ristoro e sale d’aspetto, terminerà solo in parte; del cosiddetto progetto di “mobilità intermodale”, fiore all’occhiello di SIMICO, pensato per collegare infrastrutture e sedi dell’evento (127 milioni di euro), verrà ultimata solo la cabinovia, malgrado esso comprenda anche stazioni e mezzi di trasporto, un maxi-parcheggio per 750 auto, e un edificio con servizi e aree ristoro; la riqualificazione di Piazza Mercato (7,5 milioni), dove avrebbe dovuto essere costruito un parcheggio sotterraneo, dovrebbe iniziare a giugno 2026, e l’appalto non è ancora stato assegnato; infine, il nuovo impianto a fune nella tratta Apollonio – Socrepes (35 milioni) terminerà nel luglio del 2026.
C’è poi il complesso della pista da bob Eugenio Monti, tra le opere di riqualifica che più hanno fatto discutere. Contro la sua ristrutturazione si sono mossi centinaia di cittadini e diversi movimenti per l’ambiente, che hanno denunciato i danni ambientali e il consumo di suolo legati all’opera. La costruzione dello stadio dovrebbe terminare a novembre, ma alcune delle opere collaterali non finiranno per tempo: si tratta del memoriale dedicato alle discipline del bob, skeleton e slittino (2,5 milioni), che terminerà a dicembre 2026, e della foresteria per atleti che fa parte del medesimo progetto a più lotti, dal valore di 4,8 milioni, che inizierà a venire costruito solo a maggio 2026. Ai ritardi sulle opere cortinesi si aggiungono gli interventi per l’accessibilità dell’Arena di Verona, dove si terranno la cerimonia di chiusura delle Olimpiadi e quella di apertura delle Paralimpiadi, (progetto di circa 19 milioni di euro), che termineranno a dicembre del 2026.
Lombardia
Tra tutte le regioni coinvolte nelle opere per le Olimpiadi invernali, la Lombardia è senza ombra di dubbio quella più indietro coi lavori. In Lombardia sono previsti un totale di 29 progetti: di questi, uno solo è terminato, 7 dovrebbero finire entro l’inizio dell’evento e 20 non termineranno in tempo; sull’ultimo non ci sono dati disponibili. Dei 20 progetti in ritardo, inoltre, la metà esatta inizierà a venire costruito solo dopo le Olimpiadi, e uno a Olimpiadi in corso. I problemi in Lombardia partono dalla stessa Milano, dove doveva venire potenziato il parcheggio già esistente nella venue di pattinaggio, (progetto da 1,7 milioni). I lavori inizieranno ad aprile 2026. Spostandosi un po’ più a ovest, ci sono i cantieri sulla statale 336, verso Varese, dal valore di 56 milioni; anch’essa inizierà dopo la fine delle Olimpiadi (precisamente a settembre 2026) e terminerà nel 2030. Analogo destino per le strade di Entratico, Trescore Balneario e Zandobbio – nel bergamasco –, dal valore di 179 milioni, che inizieranno a marzo del 2027 e termineranno sempre nel 2030; il secondo lotto del medesimo progetto, dal valore di 47 milioni, inizierà a marzo 2027 e finirà nel 2029.
Nel lecchese, una delle aree più interessate dai cantieri, i progetti sono quasi tutti in ritardo: la ciclabile di Abbadia Lariana, dal valore di 32 milioni, terminerà nel 2027; la galleria di Vercurago, tra Calolziocorte e la stessa lecco, dal valore di 253 milioni di euro, inizierà a venire edificate a novembre del 2027 e terminerà nel 2033; la rotatoria che dovrebbe venire costruita allo svincolo di Dervio, dal valore di 48 milioni, inizierà a giochi in corso (il 13 febbraio) e terminerà nel 2027; i lavori di potenziamento sulla linea ferroviaria Milano-Tirano (che collega il capoluogo meneghino con la Valtellina passando dal lecchese), 33 milioni di euro, sono in corso da anni, ma termineranno solo a settembre 2026.
La Valtellina e in generale la provincia di Sondrio non sono messe meglio. Il cosiddetto “svincolo Sassella” di Castione Ardevenno, criticato ampiamente dai comitati locali che ne contestano i danni ambientali e paesaggistici, vale 21 milioni, ma inizierà a marzo 2026, e terminerà nel 2027; la tangenziale sud di Sondrio, dal valore di 43,5 milioni terminerà solo in parte, e finirà completamente nel 2027; la soppressione dei passaggi a livello insistenti sulla Statale38, relativi alla linea ferroviaria Sondrio–Tirano, dal valore di 66 milioni, terminerà nel 2027; la galleria a Ponte di Legno, dal valore di 62 milioni, inizierà a gennaio 2027 e terminerà nel 2029; un’altra galleria, da edificare sul passo del Tonale, vale 16 milioni di euro, inizierà a gennaio 2027 e terminerà nel 2029; l’adeguamento funzionale dell’impianto sportivo dedicato al biathlon di Valdidentro, dal valore di 8 milioni, inizierà a maggio 2026 e terminerà nel 2027.
Chiudono la lista Bormio e Livigno, due dei centri valtellinesi più interessati dai progetti. Nella prima, è prevista la costruzione di un impianto a fune, dal valore di 44,6 milioni, che dovrebbe terminare nel 2027; anche qui, come a Trento, era in programma una riqualifica di immobili comunali che tra le altre cose sarebbero dovuti servire all’accoglienza e al supporto (lavori per un valore di 6 milioni), ma non ci sono dati sul progetto. Per quanto riguarda Livigno, invece, della analoga riqualifica degli immobili (anch’essa da 6 milioni), adibiti a ospitare para-atleti, si sa che i lavori inizieranno ad aprile 2026, un mese dopo la chiusura delle stesse Paralimpiadi. In ritardo anche la costruzione delle cabinovie per collegare i versanti sciistici della località montana (47 milioni), l’intervento sulla pista Livigno Aerials & Moguls, da un milione, che inizierà a maggio 2026, e il parcheggio interrato in località Bondi, dal valore di 33,8 milioni, che verrà concluso a settembre 2026.
Giovedì, la giudice federale Kathleen Williams ha ordinato la chiusura del carcere per immigrati irregolari “Alligator Alcatraz” in Florida, gestito dal governo federale e voluto da Donald Trump, entro 60 giorni. La Florida ha annunciato ricorso, il che potrebbe sospendere l’ordine, permettendo la continuazione della struttura. La sentenza vieta anche nuovi ingressi e impone il trasferimento dei detenuti. La causa è stata avviata da gruppi ambientalisti e nativi americani, che hanno denunciato la mancanza di valutazioni sull’impatto ambientale, dato che la struttura è situata nelle Everglades.
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