mercoledì 12 Novembre 2025
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Nelle Filippine nasce una nuova area protetta grazie agli sforzi delle comunità locali

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Le Filippine hanno ufficialmente istituito una nuova area marina protetta, la Bitaug Marine Protected Area (MPA), dopo una campagna durata 18 anni promossa dalle comunità locali, associazioni di pescatori, organizzazioni della società civile e agenzie governative. L'annuncio è stato dato lo scorso 13 agosto dalla Wildlife Conservation Society (WCS), che ha affermato come all'interno dell'area protetta sia vietato pescare squali e razze, tranne che per scopi di ricerca. Inoltre, il piano di gestione dell'MPA consente attività di ecoturismo, come snorkeling e immersioni, con i proventi che saran...

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Veneto, dichiarato stato d’emergenza dopo allagamenti

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Il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, ha dichiarato lo stato di emergenza regionale a causa degli allagamenti nelle province di Padova e Venezia, causati da forti piogge. Non si segnalano danni significativi a persone o strutture, ma gli allagamenti hanno creato disagi, interrompendo la circolazione ferroviaria tra Padova e Venezia, ora ripristinata, e causando un blackout a Mestre che ha coinvolto circa mille utenze. Le reti fognarie delle città hanno avuto difficoltà a smaltire l’acqua, ma le vasche di laminazione a Venezia, Mestre e Marghera hanno ridotto la pressione sugli argini.

A Milano è stato sgomberato il centro sociale Leoncavallo

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“Il prefetto Piantedosi l’aveva promesso alla destra: il centro sociale più famoso d’Italia deve scomparire. I simboli fanno paura, la storia ancora di più. Lanciamo un presidio e un’assemblea pubblica oggi alle ore 18.00 in via Watteau. Ora decide Milano!”. È il messaggio lanciato via social dallo spazio pubblico e autogestito del Leoncavallo, da questa mattina sotto sgombero da parte delle forze dell’ordine, che ricorda l’annuncio dell’oggi ministro dell’Interno Piantedosi, quando era ancora un prefetto. Il Leoncavallo identificato come simbolo da abbattere nella Milano in mano ai palazzinari, un luogo pubblico di cultura e alternative che non può essere accettato nella città della speculazione edilizia per eccellenza, dove conta solo il profitto.

Anche le tempistiche non sembrano essere casuali: l’ufficiale giudiziario era atteso il prossimo 9 settembre per il 133esimo tentativo di sfratto. Ma sono stati anticipati i tempi, proprio in questa estate del 2025, che ha visto la Procura di Milano aprire un’inchiesta pesantissima sul cosiddetto “sistema” di speculazione edilizia, che sarebbe stato favorito da scorciatoie procedurali, appalti pilotati e processi decisionali deviati nella gestione urbanistica del Comune. Tra gli indagati figurano figure di primo piano, tra cui il sindaco Giuseppe Sala, l’assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi, l’immobiliarista Manfredi Catella (Coima), l’ex presidente della Commissione Paesaggio Giuseppe Marinoni, l’architetto Stefano Boeri e altri professionisti. Ad aggiungere ulteriore pressione sulla situazione, manco a dirlo, sono i soldi. La Corte d’appello civile di Milano, il 9  ottobre  2024, ha stabilito che fosse il ministero dell’Interno a dover risarcire i proprietari dell’immobile, la società L’Orologio srl (gruppo Cabassi), di circa 3 milioni di euro per il mancato sgombero del centro sociale. Successivamente, lo stesso Ministero chiede all’associazione identificata come responsabile dell’occupazione (Le Mamme Antifasciste del Leoncavallo) di rimborsare la somma. In pratica: lo Stato paga, ma poi pretende che l’associazione ricopra quell’importo, in un ribaltamento paradossale di responsabilità.

Mentre lo sgombero è in atto, la destra al governo esulta. “Decenni di illegalità tollerata, e più volte sostenuta, dalla sinistra: ora finalmente si cambia. La legge è uguale per tutti: afuera!”, scrive il segretario della Lega Matteo Salvini sui social, al quale fa eco proprio Piantedosi: “Il Governo ha una linea chiara: tolleranza zero verso le occupazioni abusive. Dall’inizio del nostro mandato sono già stati sgomberati quasi 4mila immobili, tra alloggi di edilizia residenziale pubblica ed edifici di particolare rilievo. Lo sgombero del Leoncavallo è solo un altro passo di una strategia costante e determinata che porteremo ancora avanti”.
La domanda delle domande, che corre sulla bocca di tutti, è soltanto una: perché se la linea del governo è quella della “tolleranza zero verso le occupazioni abusive” non si riserva lo stesso trattamento a Casa Pound? E non se lo chiedono solo gli “antagonisti” dei centri sociali, ma anche un ex ministro di Forza Italia come Elio Vito, che sui social si domanda: “A Milano è stato sgomberato lo storico centro sociale del Leoncavallo. Adesso toccherà a Casapound, vero?”.

Perché il Leoncavallo non è solo un edificio, non sono solo muri di cemento da sottrarre alla cittadinanza attiva per essere restituiti al mercato immobiliare della città dove uno studente fa fatica a trovare una stanza in cui alloggiare e famiglie con due stipendi non arrivano alla fine del mese: è un simbolo che va abbattuto. A 50 anni dalla nascita di quello che è il centro sociale più conosciuto e attivo d’Italia – 31 se si considera lo spostamento nell’attuale sede – molti non possono dimenticare l’omicidio di Fausto e Iaio (Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci) entrambi 18enni, che furono ammazzati per il loro impegno in un’inchiesta sul traffico di eroina nel quartiere. L’assassinio, un agguato in piena regola, avvenne il 18 marzo del 1978 quando i due ragazzi furono freddati con 8 colpi di pistola da un killer che ancora oggi rimane senza nome e senza volto, così come i mandanti. Subito dopo l’omicidio nacque un forte impegno contro la diffusione delle droghe nel quartiere. In particolare, il gruppo Mamme del Leoncavallo – composto dalle madri dei due ragazzi insieme ad altre donne attive nel centro – si costituì fin da subito, poi formalizzandosi come associazione onlus nel 1992, con lo scopo di difendere il centro, mantenere viva l’attenzione sull’omicidio e contrastare lo spaccio di eroina. Non sono bastati 50 anni di servizi sociali (asilo e scuola materna autogestite, scuola e doposcuola popolare, mensa, consultorio, sportello sanitario gratuito), formazione e cultura (radio, concerti, festival e dibattiti, case delle donne, biblioteca e laboratori artistici, sportello migranti) messi a disposizione della comunità, e oggi, dopo la proposta del Comune di Milano di un possibile trasferimento delle attività in via San Dionigi, stiamo assistendo all’ennesimo atto di forza, che rappresenta una sconfitta per tutti.

Gli scienziati hanno osservato un nuovo ecosistema nelle profondità oceaniche

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È lungo circa 2.500 chilometri, si trova a una profondità superiore ai 6.000 metri e contiene vongole, vermi tubicoli e microbi in grado di vivere in un ambiente estremo dove la luce solare non arriva: è l’ecosistema chemiosintetico ritenuto il più esteso e profondo mai osservato, scoperto in due delle fosse oceaniche più remote del pianeta, quella delle Curili-Kamčatka e quella delle Aleutine occidentali. Lo rivela un nuovo studio condotto da un team internazionale guidato dall’Accademia Cinese delle Scienze, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature. A bordo della nave di ricerca Tan Suo Yi Hao e con il sommergibile Fendouzhe, gli autori hanno documentato come la vita in queste profondità si basi non sulla fotosintesi, ma sulla chemiosintesi: i batteri trasformano metano e idrogeno solforato provenienti da infiltrazioni del fondale in energia, sostenendo un’intera catena ecologica. «Sebbene consideriamo la fossa adodale un ambiente molto estremo, gli organismi chemiosintetici possono vivere felicemente lì», ha commentato Mengran Du, coautrice dello studio.

Le fosse oceaniche rappresentano alcuni degli ambienti meno esplorati e più ostili della Terra. Per decenni gli scienziati hanno ritenuto che la vita potesse sopravvivere a tali profondità solo grazie al materiale organico proveniente dalla superficie – organismi morti o particelle trasportate dalle correnti – che cadeva lentamente sul fondale, anche se già dagli anni Ottanta, tuttavia, si era ipotizzata l’esistenza di comunità basate sulla chemiosintesi anche nelle zone più estreme, simili a quelle osservate nelle sorgenti idrotermali e nelle cosiddette “infiltrazioni fredde”. Tuttavia, spiegano gli autori, finora le prove erano limitate, in quanto pochi insediamenti di molluschi e tappeti microbici erano stati individuati in altre fosse, come quella giapponese e nella Fossa delle Marianne. La nuova scoperta, quindi, amplierebbe radicalmente questa visione, mostrando che l’energia chimica, e non solo quella derivata dalla superficie, può sostenere ecosistemi vasti e complessi anche oltre i 9.000 metri. Significa che il ciclo del carbonio nelle profondità oceaniche è molto più articolato di quanto si pensasse e che le fosse potrebbero giocare un ruolo cruciale nell’immagazzinamento del metano e nella regolazione dei gas serra.

Fotografia di gruppi di vermi tubicoli che estendono tentacoli rossi, con piccoli molluschi (punti bianchi) vicino ai tentacoli, a 9.320 metri. Credit: Istituto di Scienze e Ingegneria delle Acque Profonde/Accademia Cinese delle Scienze (IDSSE, CAS)

In particolare, durante le immersioni, i ricercatori hanno osservato a profondità tra i 5.800 e i 9.533 metri comunità densissime di vermi tubicoli siboglinidi, alcune formate da migliaia di individui, insieme a vongole, gasteropodi e policheti. Le analisi dei sedimenti, poi, hanno mostrato concentrazioni insolitamente elevate di metano, prodotto dai microbi attraverso la riduzione microbica della CO₂. I batteri che vivono in simbiosi con i vermi e le vongole, spiegano gli esperti, utilizzano questo metano per generare energia e cibo, rendendo indipendenti gli organismi dalla luce solare. Secondo gli autori, quindi, le fosse agiscono non solo come serbatoi ma anche come centri di riciclo del metano, sequestrando quantità di carbonio organico fino a 70 volte superiori rispetto al fondale circostante: «Una grande quantità di carbonio rimane nei sedimenti e viene riciclata dai microrganismi», ha spiegato Du, sottolineando che questo processo potrebbe avere un impatto significativo sul bilancio globale del carbonio e che la ricerca indica che comunità simili potrebbero essere diffuse in altre fosse oceaniche, aprendo nuove prospettive per lo studio della vita negli ambienti estremi e per la comprensione del ruolo degli abissi nella regolazione climatica del pianeta.

Nigeria: espulsi 50 cittadini cinesi accusati di cybercrimini

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La Nigeria ha espulso 50 cittadini cinesi e un tunisino, accusandoli di cyberterrorismo e frode informatica. L’espulsione è stata disposta dalla Commissione per i crimini economici e finanziari (EFCC) del Paese, in coordinazione con il servizio immigrazione nigeriano. L’EFCC ha spiegato che le persone coinvolte sono state arrestate in un’operazione condotta questa notte a Lagos contro una delle maggiori organizzazioni criminali informatiche del Paese, in seguito a cui sono stati arrestati 192 cittadini stranieri. L’operazione rientra in una più ampia stretta sulle reti di criminalità informatica gestite da organizzazioni straniere, avviata il 15 agosto; da quel giorno, la Nigeria ha espulso un totale di 102 persone.

USA, le critiche a Israele zittite a suon di sanzioni: colpiti altri 4 giudici della CPI

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Il segretario di Stato americano, Marco Rubio, ha annunciato che gli Stati Uniti emetteranno sanzioni nei confronti di altri 4 giudici della Corte Penale Internazionale, accusandoli di costituire una «minaccia» per gli USA e per Israele. I giudici in questione sono Kimberyly Prost (di nazionalità canadese), Nicolas Guillou (Francia), Nazhat Shameem Khan (Fiji), e Mame Mandiaye Niang (Senegal). La prima è stata sanzionata per avere permesso alla CPI di indagare sui crimini statunitensi in Afghanistan, mentre gli altri tre per avere autorizzato o legittimato l’emissione di mandati d’arresto contro Netanyahu e il suo ex ministro Gallant. In precedenza, gli USA avevano già emesso sanzioni contro giudici della CPI e contro il procuratore Karim Khan, che aveva chiesto l’emissione di mandati di arresto contro Netanyahu. Ora, le persone coinvolte avranno conti e proprietà negli USA congelati e nessuna realtà statunitense potrà avere legami con loro o facilitare il loro lavoro.

L’amministrazione degli Stati Uniti ha così intensificato la sua pressione sulla Corte penale internazionale (CPI). Marco Rubio ha giustificato le sanzioni, dichiarando che i giudici sanzionati hanno partecipato «direttamente alle azioni della Corte per indagare, arrestare, detenere o perseguire cittadini degli Stati Uniti o di Israele, senza il consenso di entrambe le nazioni». Per gli USA, ha detto il segretario di Stato, la CPI rappresenta «una minaccia alla sicurezza nazionale» e uno «strumento di lotta giuridica contro i nostri alleati». Secondo Rubio, il Dipartimento di Stato è fermamente contrario alla «politicizzazione» della Corte e a quello che definisce «l’abuso di potere» da parte di quest’ultima. Il governo israeliano ha accolto con favore la decisione, con il premier Benjamin Netanyahu che ha elogiato l’iniziativa degli Stati Uniti, affermando che si tratta di un’«azione decisiva contro la campagna di diffamazione e menzogne» che avrebbe colpito il Paese e il suo esercito. La reazione della CPI è stata di forte condanna. Il tribunale ha definito le sanzioni un «flagrante attacco all’indipendenza di un’istituzione giudiziaria imparziale» e un affronto «agli Stati parte della Corte e all’ordine internazionale basato sulle regole». La Corte ha sottolineato che continuerà a svolgere «imperterrita» il proprio mandato, esortando gli Stati che ne fanno parte e i sostenitori del diritto internazionale a «fornire un sostegno fermo e costante» al suo lavoro.

Il 21 novembre 2024, la Corte Penale Internazionale (CPI) aveva emesso mandati d’arresto per il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l’ex Ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandoli di crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi durante il conflitto a Gaza. Tra le accuse, l’uso della fame come metodo di guerra e attacchi deliberati contro la popolazione civile. In risposta, nel 6 febbraio 2025, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva firmato un ordine esecutivo imponendo sanzioni contro la CPI, che hanno previsto il congelamento dei beni e delle risorse di funzionari, dipendenti e collaboratori della Corte Penale Internazionale, estendendosi anche ai loro familiari più stretti. A queste persone è stato inoltre vietato l’ingresso negli Stati Uniti. A giugno, gli Stati Uniti avevano sanzionato quattro giudici della Corte, a causa di quella che hanno definito una «grave minaccia e politicizzazione», oltre che un «abuso di potere» da parte dell’istituzione.

In ultimo, dopo mesi di tentativi di affossamento, a luglio gli USA hanno deciso di sanzionare anche la Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, l’italiana Francesca Albanese. L’ordine, firmato da Marco Rubio, si basa sullo stesso decreto con cui Trump aveva aperto la strada alle sanzioni contro membri della Corte Penale Internazionale. Albanese, insomma, è stata accusata di avere contribuito direttamente ai tentativi della CPI di indagare, arrestare o perseguire cittadini israeliani e statunitensi con il suo ultimo rapporto, “Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio”, all’interno del quale ha smascherato le aziende che fiancheggiano Israele nel suo progetto genocidario traendone profitto. Il report, evidentemente, non è andato giù all’amministrazione statunitense: Albanese, ora, sarà soggetta a limitazioni come il divieto di entrare negli USA, e le associazioni statunitensi non potranno sostenerla nel suo lavoro.

Sabotaggio Nord Stream: arrestato a Rimini un sospettato ucraino

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Un cittadino ucraino sospettato di aver partecipato alle esplosioni del 2022 che hanno danneggiato i gasdotti Nord Stream è stato arrestato in Italia, nella provincia di Rimini, dai Carabinieri. L’uomo, identificato come Serhii K., è stato arrestato oggi su mandato di arresto europeo emesso dalla Procura federale tedesca. L’indagine ha rivelato che l’uomo e i suoi complici erano partiti da Rostock, in Germania, a bordo di uno yacht con documenti falsi. Le esplosioni, avvenute nel settembre 2022 e non seguite da rivendicazioni ufficiali, sono state considerate un atto di sabotaggio.

Nei fondali dell’Atlantico sono stati mappati 3000 fusti di scorie radioattive

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La missione scientifica internazionale Noddsum, lanciata dal Centre National de la Recherche Scientifique, ha individuato e mappato oltre 3.000 fusti di scorie radioattive sui fondali dell’Atlantico nord-orientale. I rifiuti individuati sono parte di una discarica sottomarina composta da centinaia di migliaia di barili scaricati tra il 1946 e il 1993 da Paesi tra cui Italia, Francia e Regno Unito. I contenitori, sebbene spesso fortemente degradati, non hanno mostrato anomalie radioattive significative. Non esiste, tuttavia, tracciabilità sui materiali, ritenuti a bassa attività. La missione è durata un mese, durante il quale sono stati impiegati robot e campionamenti per studiare i siti e l’impatto sulla biodiversità; il CNRS prevede di lanciare una seconda missione per effettuare ulteriori rilevamenti sulle zone attorno ai barili.

La missione Noddsum, acronimo per Nuclear Ocean Dump Site Survey Monitoring (Monitoraggio del Sito di Scarico Nucleare Oceanico), è iniziata lo scorso 15 giugno e la prima spedizione si è conclusa l’11 luglio. Noddsum ha l’obiettivo di mappare e analizzare l’impatto sulle acque di parte dei 200.000 barili radioattivi scaricati da Italia, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Svezia e Svizzera nel Golfo di Buscaglia, che si estende dalla costa occidentale della Francia a quella settentrionale della Spagna. In totale, la missione ha localizzato con precisione quasi 3.350 fusti distribuiti su un’area di 163 chilometri quadrati, tra i 3.000 e i 5.000 metri di profondità, a 1.000 km a sud-ovest di Brest e 650 km a nord-ovest di La Coruña.

Secondo quanto spiega la squadra di ricerca, composta da 21 membri, le condizioni dei fusti rinvenuti variano notevolmente: alcuni sono stati trovati praticamente intatti, altri aperti, e altri ancora in avanzato stato di corrosione. La missione ha rilevato possibili perdite di materiale sconosciuto: non è infatti noto cosa i fusti contengano, poiché quando vennero scaricati non vi erano regole sulla tracciabilità; tuttavia, gli studiosi hanno spiegato che con ogni probabilità i barili dovrebbero contenere rifiuti a bassa intensità radioattiva, coperti da cemento o bitume. Nonostante le perdite, non sono state registrate attività radioattive anomale.

Dopo la spedizione, la missione è continuata – e sta continuando – anche in laboratorio: gli scienziati hanno infatti prelevato 300 campioni di sedimenti a circa 150 metri dai fusti, un totale di 5.000 litri d’acqua e 17 pesci che vivono nelle profondità marine. Pesci e materiale prelevati saranno sottoposti a misurazioni di laboratorio per valutarne l’eventuale contaminazione radioattiva. Nei prossimi due anni è prevista l’organizzazione di una seconda spedizione, per prelevare campioni di organismi marini e avvicinarsi ulteriormente ai barili.

La Nuova Zelanda raddoppia le spese militari e compra velivoli USA

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Il governo neozelandese ha annunciato una spesa militare di 2,7 miliardi di dollari neozelandesi (1,3 miliardi di euro) per modernizzare le forze armate, inclusi l’acquisto di elicotteri dagli Stati Uniti. La decisione è motivata dall’aumento delle tensioni globali e dal deterioramento della sicurezza. Tradizionalmente, la Nuova Zelanda ha speso meno in difesa rispetto agli altri membri dei Five Eyes (Stati Uniti, Gran Bretagna, Canada e Australia). L’acquisto di aerei ed elicotteri militari costituisce il primo annuncio di un piano governativo finalizzato a raddoppiare la spesa per la difesa dall’1 per cento al 2 per cento del Pil nel prossimo decennio.

Nuove colonie e assalto a Gaza: Israele accelera la colonizzazione della Palestina

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Con l’approvazione del piano di insediamento E1 per la colonizzazione della Cisgiordania, Israele getta la maschera e dichiara apertamente di volere «seppellire l’idea di uno Stato palestinese». Lo ha fatto davanti a tutti quegli Stati occidentali forti a parole ma deboli nei fatti, che si dicono pronti a riconoscere uno Stato di Palestina a settembre, quando, nella visione di Israele, della Palestina non rimarrà più niente. Il piano dello Stato ebraico non si presta più a fraintendimenti politici: appropriarsi di tutto il territorio della Palestina storica, dalla Cisgiordania fino alla Striscia di Gaza, dove il ministro della Difesa ha dato il via libera all’occupazione della capitale, che attende soltanto l’autorizzazione finale. Nel frattempo, le incursioni dell’esercito nella Striscia si fanno sempre più serrate e Netanyahu ha disposto di accorciare i tempi per la presa definitiva di Gaza.

L’approvazione del cosiddetto “piano di espansione E1” è arrivata ieri pomeriggio, e ha lo scopo dichiarato di impedire ogni possibilità di nascita dello Stato palestinese. Il piano è stato rilanciato lo scorso mese, nel mezzo di un silenzio stampa da parte dei media di tutto il mondo (ne abbiamo parlato in un articolo de L’Indipendente), e prevede la costruzione di quasi 3.500 unità abitative tra Gerusalemme Est e Maale Adumim che spaccherebbero in due la Cisgiordania. E1 risale agli anni ’90 ma, vista la sua portata, è stato fermato svariate volte a causa della pressione internazionale. L’area designata collegherebbe giuridicamente e urbanisticamente la parte orientale di Gerusalemme a Maale Adumim, isolando i quartieri palestinesi di Gerusalemme Est dalle aree della Cisgiordania non occupate, e separando di fatto Betlemme, la stessa Gerusalemme Est e Ramallah. A promuoverlo è stato il ministro di estrema destra Bezalel Smotrich.

Il via libera a E1 è arrivato in parallelo all’approvazione del piano di occupazione di Gaza City da parte del ministro della Difesa Israel Katz. Il piano, denominato “Carri di Gedeone B” per richiamare l’offensiva lanciata a maggio di quest’anno, dovrebbe prevedere lo sfollamento da Gaza City di circa un milione di palestinesi, che avrebbero tempo fino al 7 ottobre 2025 per spostarsi a sud dell’enclave. Per portare a termine le operazioni, il ministro della Difesa Israel Katz avrebbe richiamato 60 mila riservisti, che andrebbero ad aggiungersi alle decine di migliaia già mobilitate. Il portavoce dell’esercito Effie Defrin avrebbe dichiarato ai giornali che le operazioni di offensiva alla periferia di Gaza City sono già iniziate, e che nella notte Israele avrebbe già preso possesso di parte del territorio. Dopo il via libera di Katz, l’ufficio del primo ministro ha affermato che Netanyahu ha «disposto che i tempi per la presa del controllo delle ultime roccaforti terroristiche e la sconfitta di Hamas vengano accorciati».

Nel frattempo continua il genocidio a Gaza. Nella sola giornata di ieri Israele ha ucciso almeno 81 persone, di cui 30 in fila per gli aiuti. Dall’escalation del 7 ottobre, Israele ha distrutto, danneggiato o reso inutilizzabile il 92% delle case (l’ultimo aggiornamento è di questo mese, luglio 2025), l’83% delle terre coltivabili e il 71% delle serre (i dati più recenti sono di aprile 2025), il 91,8% delle scuole (dato aggiornato all’ 8 luglio 2025), l’89% delle strutture idriche (febbraio 2025) e, in generale, il 78% di tutte le strutture della Striscia (8 luglio 2025); la metà degli ospedali risulta funzionante (13 agosto 2025), e l’86,3% del territorio della Striscia è sotto ordine di evacuazione o interdetto ai civili. In totale, l’esercito israeliano ha inoltre ucciso direttamente almeno 62.122 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.