mercoledì 14 Maggio 2025
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Storico annuncio del leader curdo Abdullah Ocalan: “il PKK deve deporre le armi e sciogliersi”

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Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) in carcere dal 1999, ha invitato le sigle curde a deporre le armi e ha ordinato lo scioglimento dello stesso PKK. L’annuncio è arrivato in occasione di una visita in carcere da parte dei politici del partito turco filo-curdo DEM, i quali hanno diffuso una sua dichiarazione scritta. In essa, Öcalan sostiene che, se una volta la lotta armata contro lo Stato era necessaria, adesso, con il riavvicinamento da parte dei politici turchi, non lo è più. Rimane da capire se l’appello di Öcalan sia rivolto anche ai gruppi attivi nel Rojava (il cosiddetto “Kurdistan siriano”), che in questo momento sembrano a un passo dal venire integrate nell’esercito siriano. Questi non sono infatti formalmente parte del PKK, e le parole di Öcalan sembrano riferirsi al solo contesto turco.

Le dichiarazioni di Öcalan erano attese da giorni. Dalla rottura dell’isolamento di Öcalan dello scorso dicembre, quando la Turchia ha permesso ai politici di DEM di visitare il leader del PKK per la prima volta in 10 anni, i dialoghi per cercare una pace sembrano essersi fatti più serrati. Tutto è partito con un’apertura da parte di Devlet Bahçeli, leader del Partito del Movimento Nazionalista, il più grande alleato esterno del presidente turco. Bahçeli ha chiesto a Erdoğan di aprire un colloquio con Öcalan per porre fine al conflitto, che dura da oltre trent’anni, suggerendo la possibilità di liberare il fondatore del PKK in cambio di un suo eventuale ordine di deporre le armi. La richiesta di cessare i combattimenti da parte di Öcalan, insomma, era nell’aria; non si può tuttavia dire lo stesso dell’ordine di scioglimento del gruppo. In questo, l’annuncio di Öcalan segna il maggiore tentativo di riconciliazione da parte del leader del PKK mai fatto. L’ultima volta che aveva lanciato un appello per la tregua è stata nel 2013, quando aveva annunciato il cessate il fuoco con la Turchia e il ritiro dei guerriglieri del PKK dal territorio turco, dando il via alle trattative di pace, poi arenatesi nel 2015, evento che ha portato al suo isolamento.

Nel testo letto dai delegati di DEM in sede di conferenza stampa, lungo una pagina e mezzo, Öcalan parla delle condizioni storiche che hanno portato alla nascita del PKK e alla «alleanza millenaria» che lega turchi e curdi. «Gli ultimi 200 anni di modernità capitalista hanno cercato di smantellare questa alleanza», dando il via a una necessaria lotta armata. Le cose, però, con la riapertura dei dialoghi, sembrano stare cambiando, e «oggi, il nostro dovere fondamentale è riorganizzare questa fragile relazione storica in uno spirito di fratellanza, senza ignorare le fedi». L’obiettivo non deve dunque essere quello «ultranazionalista» di costituire uno Stato, ma quello di «organizzarsi democraticamente». In una parola, coesistere con la Repubblica Turca. Essendo il discorso incentrato sulla storia del PKK e sulle relazioni tra il popolo curdo e quello turco, non è chiaro se l’appello di Öcalan sia rivolto anche alle forze curde attive nel Rojava, come le Forze Democratiche Siriane, l’Unità di Protezione delle Donne (YPJ) e l’Unità di Protezione Popolare (YPG). Queste, tra l’altro, sebbene condividano parte del proprio impianto ideologico con il PKK, non sono formalmente legate a esso. I gruppi del Rojava, inoltre, sono in aperta trattativa con il nuovo governo del Paese e sembrano avere trovato un accordo per entrare a far parte dell’esercito siriano. La notizia è stata confermata da diversi media curdi, ma manca ancora la conferma dal leader del nuovo governo siriano, Al-Jolani. Non sono noti i dettagli degli accordi.

Di seguito il testo integrale, tradotto in italiano, dell’annuncio di Abdullah Ocalan.

Appello per la Pace e una Società Democratica

Il PKK è nato nel XX secolo — il secolo più violento della storia — nel contesto creato da due guerre mondiali, la Guerra Fredda, la repressione delle libertà e, soprattutto, la negazione dell’identità curda.

Dal punto di vista teorico, programmatico, strategico e tattico, è stato profondamente influenzato dalla realtà del sistema socialista reale del secolo scorso. Tuttavia, il crollo del socialismo reale negli anni ’90, dovuto a ragioni interne, insieme alla dissoluzione delle politiche di negazione dell’identità nel Paese e ai progressi nella libertà di espressione, hanno portato il PKK a uno stato di perdita di significato e ripetizione eccessiva. Di conseguenza, come movimenti simili, ha esaurito il proprio ciclo di vita, rendendo necessaria la sua dissoluzione.

Nel corso di una storia lunga oltre 1.000 anni, turchi e curdi hanno mantenuto un’alleanza — prevalentemente basata su una cooperazione volontaria — per preservare la loro convivenza e resistere alle potenze egemoniche.

Gli ultimi 200 anni di modernità capitalista hanno cercato di smantellare questa alleanza. Le forze coinvolte, in linea con i propri interessi di classe, hanno principalmente servito questo obiettivo. Questo processo si è accelerato con le interpretazioni assimilazioniste della Repubblica [turca]. Oggi, il nostro dovere fondamentale è riorganizzare questa fragile relazione storica in uno spirito di fratellanza, senza ignorare le fedi.
L’emergere e l’ampio sostegno al PKK — la più lunga e vasta insurrezione e [il più lungo e vasto] movimento armato nella storia della Repubblica [turca] — sono derivati dalla chiusura dei canali politici democratici.

Il risultato inevitabile di una traiettoria ultranazionalista — come quello di uno Stato-nazione separato, del federalismo, dell’autonomia amministrativa o di soluzioni culturaliste — non riesce a fornire una risposta alla sociologia storica e sociale.

Il rispetto delle identità, il diritto alla libera espressione e la possibilità di organizzarsi democraticamente — permettendo a ogni segmento della società di plasmare le proprie strutture socio-economiche e politiche — possono realizzarsi solo attraverso l’esistenza di una società e di uno spazio politico democratici.

Il secondo secolo della Repubblica [turca] potrà ottenere una continuità duratura e fraterna solo se sarà coronato dalla democrazia. Non esiste un’alternativa alla democrazia per costruire e attuare un sistema. Non può esserci un’altra via. La riconciliazione democratica è il metodo fondamentale.

Anche il linguaggio di questa era di pace e società democratica deve essere sviluppato in conformità con la realtà.

Alla luce dell’attuale clima, plasmato dall’appello del signor Devlet Bahçeli, dalla volontà espressa dal signor Presidente e dagli approcci positivi di altri partiti politici nei confronti di tale appello, faccio un appello al disarmo e me ne assumo la responsabilità storica.

Così come ogni organizzazione e partito contemporaneo la cui esistenza non sia stata interrotta con la forza farebbe volontariamente, convocate il vostro congresso e prendete la decisione di integrarvi con lo Stato e la società: tutti i gruppi devono deporre le armi e il PKK deve sciogliersi.

Rivolgo i miei saluti a tutti i segmenti della società che credono nella convivenza e ascoltano il mio appello.

Abdullah Öcalan

[di Dario Lucisano]

Nuove regole UE: deregolamentazione e stop al Green Deal (ma senza ammetterlo)

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Dopo le proteste dei lavoratori di tutta Europa a Bruxelles contro le politiche industriali europee e le precedenti manifestazioni degli agricoltori che hanno scosso l’Europa lo scorso anno, la Commissione europea ha presentato ieri le nuove regole industriali per rilanciare la competitività dell’economia del Vecchio continente, pesantemente gravata da una serie di obblighi burocratici e dall’alto costo dell’energia. Nello specifico, le istituzioni comunitarie hanno presentato il cosiddetto “Pacchetto Omnibus” e il correlato Clean Industrial Deal, che alcuni funzionari europei avevano annunciato agli inizi di febbraio durante la manifestazione a Bruxelles dei lavoratori, presentandolo come un nuovo patto sociale. Il primo, in particolare, si concentra sulla riduzione degli obblighi e della frequenza di rendicontazione, aprendo di fatto la strada a una sorta di deregolamentazione industriale e mandando definitivamente in soffitta gli obiettivi del Green Deal, l’ambizioso programma di decarbonizzazione su cui Ursula von der Leyen aveva incentrato il suo primo mandato. La Commissione europea, tuttavia, non ammette la retromarcia rispetto agli obiettivi del Green Deal e, al contrario, il commissario per l’Economia, Valdis Dombrovskis, ha affermato che «Questo programma di semplificazione non è deregolamentazione» e che «meno burocrazia vuol dire più competitività e più investimenti». In tal senso «ridurre le regole Ue inutilmente complesse è una parte fondamentale del nostro piano per rendere l’Europa più competitiva».

Nel dettaglio, il nuovo Pacchetto Omnibus si concentra sulla riduzione della complessità normativa e prevede, tra le altre cose, misure volte a snellire i settori della rendicontazione finanziaria di sostenibilità (CSRD), gli impegni per la due diligence relativa alla sostenibilità e l’adeguamento alla Tassonomia UE. La CSRD è la normativa che prevede la standardizzazione della rendicontazione della sostenibilità aziendale, predisponendo una relazione basata sulla cosiddetta “Doppia materialità”. Ciò significa che le aziende devono riportare sia l’impatto dei fattori di sostenibilità sul loro business sia il loro impatto sull’ambiente e sulla società. Originariamente, questa normativa era prevista per aziende con più di 250 dipendenti, mentre ora con le nuove regole si applicherà solo ad aziende con più di 1000 dipendenti, rimuovendo così da questo adempimento oltre l’80% delle aziende. Per quanto riguarda la Tassonomia, invece, il nuovo pacchetto prevede una rendicontazione volontaria della stessa per le aziende con più di 1000 dipendenti che rientreranno nell’ambito della CSRD come ridefinito dal Pacchetto Omnibus, riducendo quindi il numero di imprese obbligate a riportare il loro allineamento alla Tassonomia. Il regolamento sulla Tassonomia Europea era stato introdotto per classificare le attività economiche in base alla loro sostenibilità ambientale allo scopo di guidare le decisioni di investimento e allineare i flussi finanziari con gli obiettivi climatici dell’UE.

Per quanto riguarda la “due diligence” (in italiano “dovuta diligenza”) – regolata dalla normativa Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD o CS3D) – questa sarà notevolmente indebolita. La Due Diligence è stata predisposta per obbligare le aziende a identificare, prevenire e mitigare gli impatti negativi ambientali e sui diritti umani per le operazioni nell’ambito delle catene di fornitura. Con il Pacchetto Omnibus, però, da ora in avanti le valutazioni relative ai fattori di rischio si applicheranno solo ai fornitori diretti, mentre la periodicità richiesta per il monitoraggio verrà drasticamente ridotta da una volta all’anno a una volta ogni cinque anni. Inoltre, non ci sarà più obbligo di porre termine ai contratti con i fornitori che non sono conformi alla normativa e sarà rimossa la responsabilità civile nel caso di inadempienze, ovvero le aziende non saranno soggette a sanzioni. In altre parole, viene smontato il programma “verde” per la sostenibilità su cui la Commissione aveva fondato la sua missione politica, riducendo il Green Deal a pura retorica, come era stato anticipato in un precedente articolo de L’Indipendente.

La semplificazione della normativa dovrebbe andare a beneficio delle piccole e medie imprese, considerato che per quelle con più di mille dipendenti le regole rimangono in parte invariate. Secondo le stime della Commissione, le nuove misure dovrebbero portare un risparmio complessivo sui costi amministrativi annuali di circa 6,3 miliardi di euro, permettendo la mobilitazione di una capacità di investimento pubblico e privato aggiuntiva di 50 miliardi. Rispetto all’altro pilastro della riforma delle politiche verdi, il Clean Industrial Deal, questo si concentrerà soprattutto su industrie ad alta intensità e tecnologie pulite, ponendo al centro la questione della circolarità per ottimizzare le materie prime e introducendo un nuovo quadro di aiuti di Stato, da sempre demonizzati dall’UE. È stata proposta, infatti, una Banca per la decarbonizzazione industriale che dovrebbe garantire 100 miliardi di euro di finanziamenti.

Le nuove regole europee per l’industria arrivano in un momento di forte crisi per l’industria europea, gravata dagli alti prezzi energetici e da vincoli burocratici non presenti nei Paesi con cui deve competere, come USA e Cina. L’inversione di tendenza della UE mostra l’insuccesso delle politiche verdi e soprattutto l’incapacità delle istituzioni europee di applicarle senza farle pagare alle piccole e medie imprese e alle fasce meno abbienti della popolazione.

[di Giorgia Audiello]

Dall’UE nessuna sanzione al Ruanda per i massacri in RDC

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Il Lussemburgo ha bloccato l’approvazione del pacchetto di sanzioni contro il Ruanda proposto dalla Commissione Europea. Il voto, avvenuto ieri, mercoledì 26 febbraio, avrebbe introdotto misure restrittive nei confronti di Kigali, a causa del suo coinvolgimento nell’avanzata del movimento ribelle dell’M23 in Congo. Tra di esse, il congelamento di 20 milioni di euro erogati dall’UE lo scorso novembre nell’ambito del Fondo europeo per la pace. I ministri dei 27 Stati membri hanno inoltre sospeso le consultazioni sull’eventuale interruzione dei rapporti di difesa con il Paese. Il Lussemburgo ha giustificato la sua posizione con la volontà di attendere l’esito dei negoziati tra i ministri degli Esteri africani, previsti per questa settimana.

Oligarchi USA senza freni: Bezos impone al Washington Post di sostenere il liberismo

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Da oggi in poi, il Washington Post pubblicherà quotidianamente editoriali per difendere e sostenere il libero mercato. A deciderlo è stato lo stesso Jeff Bezos, fondatore di Amazon e proprietario del quotidiano statunitense dal 2013. Parte del «successo» degli Stati Uniti, si legge in una nota diffusa ieri, 26 febbraio, dallo stesso Bezos, sta nella sua «libertà nel campo economico»: per tale motivo, le politiche liberiste vanno difese. In risposta alla scelta della proprietà, l’editorialista capo, David Shipley, ha rassegnato le sue dimissioni. La scelta di Bezos è in netto contrasto con le dichiarazioni che il plurimiliardario ha rilasciato da quando è proprietario del giornale, in cui sosteneva che non avrebbe mai interferito nella linea editoriale del quotidiano. Come già fatto con la cancellazione dei programmi di rappresentanza delle minoranze di Amazon, Bezos ha gettato la maschera dell’ipocrisia, palesando ciò che era evidente da sempre: i grandi media e le aziende seguono i dettami provenienti dall’alto col fine ultimo di servire gli interessi della proprietà e dei più ricchi. L’unica differenza è che ora non lo nascondono più.

Il cambio di rotta nella linea editoriale del Washington Post è stato annunciato con una nota condivisa con lo staff del quotidiano ieri mattina e resa nota al pubblico alle 15:30. «Scriveremo ogni giorno a sostegno e in difesa di due pilastri: libertà personali e libero mercato», ha scritto Bezos. «Naturalmente tratteremo anche altri argomenti, ma i punti di vista che si oppongono a questi pilastri verranno lasciati alla pubblicazione di altri». Il compito di fornire una pluralità di vedute, continua la nota, non è più dei giornali, anche quando monopolizzano il mercato locale: «Oggi è internet a fare questo lavoro». Bezos motiva tale scelta sostenendo che le libertà personali e di mercato sono i valori fondativi degli USA, che hanno reso il Paese la superpotenza che è. Il panorama mediatico, inoltre, afferma Bezos, non offre un’adeguata copertura su queste tematiche e per tale motivo il Washington Post «coprirà questa mancanza». Bezos sostiene di aver offerto a Shipley di «guidare questo nuovo capitolo». Le opzioni che gli aveva offerto erano due: «Se la risposta non era “diavolo sì”, allora doveva essere “no”», in quello che, di fatto, appare come un ultimatum. «Dopo un’attenta considerazione, David ha deciso di allontanarsi». Ironicamente, dopo aver lasciato intendere di aver posto a Shipley un aut-aut tra accettare o dimettersi, il patron di Amazon ha difeso la sua posizione dicendo che «la libertà è etica e riduce al minimo la coercizione».

La scelta di cambiare la linea editoriale del Washington Post smentisce apertamente le dichiarazioni in cui Bezos rassicurava i lettori che non avrebbe interferito sulle politiche del giornale. Con essa, il plurimiliardario non ha fatto altro che palesare che, se non ha mai messo il naso nelle questioni interne al Post, è stato perché non ne ha mai avuto bisogno. A due mesi dall’elezione di Trump, prima ancora del suo insediamento, Amazon, la stessa azienda che si colorava con i colori dell’arcobaleno durante il “Pride Month”, cancellava dalle proprie politiche pubbliche i riferimenti ai programmi di diversità e inclusione per la difesa dei diritti della comunità queer e delle minoranze nere e sudamericane. Tali iniziative erano state avviate dopo l’omicidio di George Floyd e poi rilanciate negli ultimi due anni, in piena amministrazione Biden, la stessa che ha fatto delle battaglie di diversità e inclusione uno dei suoi cavalli di battaglia. I motivi dietro il taglio delle politiche di inclusione da parte di Amazon non differiscono da quelli del loro stesso inserimento: compiacere l’amministrazione in carica. In questo, la scelta di cambiare la linea editoriale del Post non è tanto diversa da quella presa da Bezos per le politiche di Amazon: il giornale si deve limitare a fare gli interessi del proprietario, che spesso, soprattutto in ambito economico, coincidono con quelli del presidente.

[di Dario Lucisano]

I fondi d’investimento americani all’assalto dell’Italia

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Società private come BlackRock e Vanguard gestiscono patrimoni rispettivamente di oltre 10.000 e quasi 8.500 miliardi di dollari. Ciò significa che, se fossero una nazione, costituirebbero rispettivamente la terza e la quarta economia del mondo, dopo Stati Uniti e Cina. Con i loro patrimoni quasi illimitati e di fronte a governi che cercano, in maniera quasi disperata, soldi freschi per tappare i buchi di bilancio creati da decenni di austerità e aggravati dalla crisi seguita alle sanzioni contro la Russia, stanno trovando porte spalancate in tutta Europa per accaparrarsi percentuali sempre ma...

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Ancora attacchi hacker ai siti italiani, undicesimo giorno consecutivo

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Per l’undicesimo giorno consecutivo, attacchi informatici hanno preso di mira diversi siti italiani. Si tratterebbe sempre del gruppo NoName057 secondo quanto riportato alla stampa, il quale sarebbe responsabile dei blocchi rilevati sui siti dell’Associazione nazionale magistrati, della Direzione investigativa antimafia e dell’Ordine nazionale dei giornalisti, oltre a quelli di diverse amministrazioni locali. Colpiti i portali delle regioni Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Umbria, nonché quelli di numerosi comuni, tra cui Brescia, Parma, Prato e Perugia, molti dei quali risultano irraggiungibili. Gli attacchi effettuati, di tipo DDoS (Distributed Denial of Service), puntano a sovraccaricare i server e bloccarne l’accesso. L’Agenzia per la cybersicurezza nazionale ha allertato e supportato i target, informando le autorità.

Potere d’acquisto dei cittadini: italiani in fondo alla classifica europea

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Una nuova statistica diffusa dall’Eurostat certifica il basso potere d’acquisto dei cittadini italiani rispetto al resto degli europei. Se è noto che gli stipendi in Italia sono più bassi della media (attestandosi a 24.206 euro annui, in Europa occidentale meglio solo di Spagna e Grecia), la graduatoria sul potere d’acquisto – che parametra il valore degli stipendi a fronte del costo di beni e servizi – rivela una situazione ancora peggiore. Secondo il Purchasing power standard (PPS), una moneta artificiale che consente di confrontare i dati sul reddito tra Paesi con diverso costo della vita, il reddito parametrato degli italiani è di 24.051 PPS, contro una media europea di 27.530. Se la passano meglio degli italiani tutti i Paesi del continente (il valore più alto si registra in Svizzera con 35,089, poi figurano Germania e Islanda), compresa la Spagna con 24.474 PPS. Peggio solo la Grecia con 20.065 PPS, i Paesi balcanici e quelli baltici.

Il PPS è un’unità di misura che consente di confrontare il valore reale degli stipendi tra diversi Paesi, neutralizzando le variazioni di prezzo tra le nazioni e consentendo di comprendere quanto effettivamente si può acquistare con uno stipendio medio. Nel 2023, la media UE del reddito netto di una persona single senza figli si attesta a 27.500 PPS. L’Italia, con 24.000 PPS, si colloca ben al di sotto, con un divario del 15% rispetto alla media europea. Se confrontata con la Spagna (24.500 PPS), il distacco è meno evidente, ma le differenze diventano più marcate rispetto alla Francia (28.500 PPS) e alla Germania (34.900 PPS). Il dato più allarmante è che l’Italia si trova al 19° posto su 34 Paesi OCSE, superata non solo dalle maggiori economie continentali, ma anche da Stati più piccoli e con economie meno sviluppate. Il problema non è solo legato al livello degli stipendi, ma anche al loro rapporto con il costo della vita. In Svizzera, il Paese che guida la classifica, il reddito netto medio è di 47.000 PPS, quasi il doppio rispetto all’Italia. Anche Paesi come i Paesi Bassi, la Norvegia e l’Austria registrano retribuzioni medie superiori ai 35.000 PPS, evidenziando quanto sia svantaggiato il potere d’acquisto degli italiani. Tra le nazioni che si posizionano sotto l’Italia figurano Grecia, Portogallo e Polonia, mentre le ultime posizioni sono occupate da Bulgaria, Lettonia e Slovacchia, con un potere d’acquisto che si aggira intorno ai 14.000 PPS.

Uno dei principali fattori che incidono sul potere d’acquisto in Italia è la tassazione elevata. L’Eurostat evidenzia come il nostro sistema fiscale, con una forte progressività e detrazioni selettive, penalizzi soprattutto le fasce di reddito medio-alte. Per chi guadagna 50mila euro annui, ad esempio, l’imposta marginale è la stessa di chi ha un reddito di 200mila euro, creando un evidente squilibrio. Inoltre, per molte fasce di reddito, gli aumenti salariali non corrispondono a un incremento effettivo del potere d’acquisto, a causa di meccanismi fiscali che riducono il netto percepito. Questo fenomeno, noto come “fiscal drag”, contribuisce a limitare la crescita della spesa delle famiglie e, di conseguenza, a frenare l’economia nazionale. Il basso potere d’acquisto italiano ha ripercussioni dirette sulla domanda interna e sulla competitività del Paese: se i cittadini possono permettersi meno beni e servizi rispetto ai loro omologhi europei, l’economia risulta più debole e meno attrattiva per gli investimenti. Uno scenario che, fisiologicamente, si traduce in una crescita economica lenta e in difficoltà strutturali che penalizzano la produttività.

[di Stefano Baudino]

Hamas e Israele si scambiano ostaggi e prigionieri

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Come da accordi, Hamas ha riconsegnato ad Israele tramite la Croce Rossa i corpi di 4 ostaggi deceduti e, d’altra parte, sono stati liberati 641 prigionieri palestinesi. Lo riportano Wafa e le agenzie di stampa israeliane, sottolineando che lo scambio è avvenuto nella nottata di oggi, giovedì 27 febbraio e che rappresenta l’ultimo previsto per l’attuale prima fase di cessate il fuoco, entrata in vigore il 19 gennaio scorso. Secondo il Ministero della Salute israeliano, verranno effettuati esami completi sulle salme per determinare le cause di morte degli ultimi quattro corpi restituiti. D’altra parte, Hamas ha dichiarato di essere pronta ad avviare i colloqui sulla seconda fase di cessate il fuoco.

Leggere prima di dormire, anche solo per pochi minuti, è un rimedio contro lo stress

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leggere prima di dormire

In un mondo che ci spinge a essere sempre più performanti, trovare un metodo per gestire lo stress e migliorare la qualità del sonno, concedendoci un riposo veramente sereno, è diventato un obiettivo comune. Tra le molteplici teorie e tecniche per conciliare un sonno tranquillo, alcune più efficaci di altre, una spicca per la sua semplicità e capacità di produrre risultati concreti: leggere anche solo per poco tempo. Uno studio condotto dall'Università del Sussex ha dimostrato che dedicare sei minuti alla lettura prima di andare a letto è uno dei metodi più efficaci per ridurre lo stress. I ri...

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Migranti, 112 sbarcano a Livorno

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Oggi, mercoledì 26 febbraio, 112 migranti salvati dalla nave Ocean Viking della ONG Sos Méditerranée sono sbarcati a Livorno. I migranti sono stati soccorsi al largo delle coste libiche in due distinte operazioni di salvataggio portate avanti lo scorso fine settimana. In un primo momento, nella notte tra sabato e domenica, l’imbarcazione ha avviato un’operazione per soccorrere 25 migranti, tra cui tre donne incinte, a bordo di un’imbarcazione in vetroresina. Domenica mattina, invece, altri 87 migranti sono stati salvati su una barca di legno in collaborazione con la polizia italiana. Secondo l’ONG, la maggior parte delle persone coinvolte proviene da Bangladesh, Egitto, Somalia e Siria.