martedì 13 Maggio 2025
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Corea del Sud: manifestazioni a favore e contro il presidente

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I cittadini della Corea del Sud sono scesi in piazza per protestare sia a favore che contro il presidente Yoon Suk Yeol, sotto processo con l’accusa di tradimento. Le manifestazioni sono iniziate oggi, sabato 1° marzo, e seguono di qualche giorno l’udienza sull’impeachment contro di lui. In particolare, i sostenitori di Yoon si stanno riunendo in piazza Gwanghwamun, nel centro di Seoul, mentre i suoi critici stanno tenendo una manifestazione parallela presso la stazione di Anguk. Secondo gli organizzatori, alle loro manifestazioni parteciperanno rispettivamente circa 100.000 persone.

Clamoroso alla Casa Bianca: Trump umilia Zelensky in diretta

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È senza precedenti quanto accaduto nello studio ovale della Casa Bianca, mentre il presidente statunitense Donald Trump e il suo omologo ucraino Vladimir Zelensky parlavano davanti alla stampa e alle tv. L’incontro, che doveva servire a riavvicinare i due grazie all’accordo sui materiali rari ucraini, si è trasformato in un litigio in diretta, con Trump che ha attaccato frontalmente Zelensky. «Stai giocando con la Terza Guerra Mondiale»; «senza le armi degli Stati Uniti avresti perso la guerra in due settimane»; «non hai le carte in mano. Non puoi venire qua a dire voglio questo, voglio quello»; fino a «non sei tanto intelligente»: sono alcune delle frasi che Trump ha rivolto al presidente ucraino durante l’incontro. Che al termine dell’incontro è stato allontanato dalla Casa Bianca, con il presidente USA che ha dichiarato che potrà tornare solo «quando sarà pronto per la pace» con la Russia.

L’atmosfera si è surriscaldata quando Trump ha detto al presidente ucraino che «dovrà fare compromessi» con la Russia per arrivare ad una tregua e Zelensky ha risposto esortandolo a «non scendere a compromessi con un assassino», riferendosi a Putin. «Dovresti ringraziare il presidente per aver cercato di porre fine a questo conflitto», ha detto a quel punto il vicepresidente americano JD Vance, aggiungendo che l’Ucraina sta affrontando seri problemi. Zelensky ha ribattuto celebrando la resistenza ucraina e affermato che anche gli Stati Uniti hanno i loro problemi. Tra i due è andata avanti una discussione, poi interrotta da Trump che rivolgendosi al presidente ucraino ha detto: «Stai giocando con la vita di milioni di persone. Stai giocando con la Terza Guerra Mondiale».

A quel punto il presidente ucraino ha provato a chiedere la parola, affermando: «Posso rispondere?» e Trump lo ha zittito dicendo: «No, hai già parlato molto». Poi Trump ha sbottato: «Il tuo paese è in grande difficoltà. Non stai vincendo. Grazie allo stupido presidente che c’era prima, ti abbiamo dato 350 miliardi. Dovresti esserci grato per quello che ti abbiamo dato. Non sei nelle condizioni di dettare le regole con noi, non hai carte in mano. Non puoi venire qua a dire voglio questo, voglio quello», ha affermato al presidente ucraino che ha provato a ribattere dicendo di non essere venuto per giocare a carte.

Lo scontro verbale è andato avanti per diversi minuti, tra lo sguardo attonito di molti presenti e con l’ambasciatrice ucraina ripresa a guardare in basso con le mani tra i capelli. «Senza le armi degli Stati Uniti avresti perso la guerra in due settimane», un’altra delle frasi che Trump ha rivolto a Zelensky, mentre in un altro passaggio lo ha insultato dicendogli che «non è tanto intelligente».

La conferenza stampa che avrebbe dovuto tenersi al termine dell’incontro è stata annullata. Secondo l’emittente statunitense Fox News, Zelensky è stato cacciato dalla Casa Bianca. Mentre il presidente americano è tornato sulla questione con un post sul suo social network, Truth, nel quale ha scritto: «Oggi abbiamo avuto un incontro molto significativo alla Casa Bianca. Ho appreso molte cose che non si sarebbero mai potute capire senza una conversazione sotto una tale pressione. È sorprendente ciò che emerge attraverso le emozioni, e ho stabilito che il presidente Zelensky non è pronto per la pace se l’America è coinvolta, perché ritiene che il nostro coinvolgimento gli dia un grande vantaggio nei negoziati. Non voglio vantaggi, voglio la pace. Ha mancato di rispetto agli Stati Uniti d’America nel loro amato Studio Ovale. Potrà tornare quando sarà pronto per la pace».

Corno alle scale: via libera alla distruzione del bosco per fare posto allo sci

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Il nuovo impianto di Corno alle Scale, sull’appennino bolognese, ha ottenuto il via libera anche dal Consiglio di Stato. Il massimo organo della giurisdizione amministrativa si è infatti espresso rigettando il ricorso di diverse associazioni ambientaliste che avevano denunciato l’assenza di una valutazione di impatto ambientale per l’opera. L’impianto sorgerà a cavallo di due Parchi regionali, nonché di un sito protetto a livello UE. Ciononostante, tra le altre cose, la costruzione prevede l’eliminazione di un’area boschiva di circa 1356 metri quadrati. Seppur si tratti di un appezzamento dalle dimensioni contenute, nulla dovrebbe giustificare la distruzione di un ecosistema in aree tutelate, a maggior ragione se per fini controversi come lo sviluppo di infrastrutture sciistiche.

Quindi, ache se la neve è sempre più scarsa, la seggiovia Polla-Lago Scaffaiolo nel comprensorio sciistico del Corno alle Scale, in sostituzione della seggiovia Direttissima e della sciovia Cupolino, si farà, e senza alcuna Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). I giudici del Consiglio di Stato hanno respinto il ricorso dell’associazione Un altro Appennino è possibile, la quale da anni tenta di contrastare il progetto tra ricorsi, manifestazioni e presidi. Con quasi 7 milioni di fondi pubblici la nuova seggiovia sostituirà, con un tracciato di oltre 996 metri, i 919 metri dell’attuale seggiovia Direttissima e i 645 metri della sciovia Cupolino. Con una stazione di valle, una intermedia e una di monte, il nuovo impianto arriverà a 1782 metri di quota. Non verranno realizzate nuove piste, ma nella fase preliminare complementare alla costruzione sarà necessaria “l’eliminazione di un’area boschiva di circa 1356 metri quadrati nel primo tratto di linea del nuovo impianto”.

⁠L’idea di un collegamento impiantistico tra la provincia di Pistoia e quelle di Bologna e Modena risale al 2016 e – a detta dell’assessore dell’Emilia-Romagna alle Infrastrutture e al Turismo, Andrea Corsini – rappresenta “un progetto strategico per lo sviluppo del turismo della nostra regione”. Regione a cui, nel 2020, il comune di Lizzano in Belvedere presentava un’istanza di verifica di assoggettabilità a VIA. Nel 2021 la Regione aveva però optato per escludere il progetto dalla procedura, nonostante l’intervento ricadesse all’interno sia del Parco Regionale Alto Appennino Modenese e del Parco Regionale Corno alle Scale che della Zona di Protezione Speciale “Monte Cimone, Libro Aperto, Lago di Pratignano”, nonché in prossimità della Zona di Protezione Speciale ”Corno alle Scale”.  Nonostante le denunce del mondo associativo, tali criticità sono state comunque ritenute poco significative dal Consiglio di Stato, il quale nella sentenza ha spiegato che “il giudizio di prevalenza operato dalla Regione si presenta, in ogni caso, privo di profili di evidente irragionevolezza poiché si è basato sulla maggioranza dei pareri espressi, tra i quali figurano anche quelli delle Autorità specificamente competenti in materia ambientale e paesaggistica”.

Secondo le associazioni, c’è il rischio che anche in altre Regioni si cerchi di far passare per ‘ammodernamento’ la costruzione di nuovi impianti. Senza contare poi che investire ancora fondi pubblici in impianti sciistici nell’attuale contesto di riscaldamento globale appare del tutto anacronistico. L’ennesimo spreco di risorse nell’ambito dell’ennesimo tentativo di accanimento terapeutico finalizzato a tenere in vita un settore dal destino più o meno segnato. Il rapporto Nevediversa di Legambiente aveva ad esempio già sottolineato nel 2023 come nel comprensorio in questione la temperatura sia aumentata di 1,8 gradi centigradi tra il 1961 e il 2018. Alla quota a cui è situato, tra i 1.487 e i 1.792 metri sul livello del mare, le precipitazioni nevose sono quindi sempre più rade, ragion per cui sarà inevitabile il ricorso alla neve artificiale, con relativo consumo di energia e risorsa idrica. L’ultimo rapporto del 2024 ha confermato tale tendenza e menzionato il comprensorio di Corno alle Scale tra i casi simbolo per “aperture parziali a causa del manto nevoso fortemente compromesso dalle alte temperature”.

[di Simone Valeri]

Il Nicaragua si ritira dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite

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Il Nicaragua ha annunciato che si ritirerà dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, in seguito a un rapporto dell’ONU che esortava la comunità internazionale ad affrontare le violazioni dei diritti umani da parte del governo del presidente Daniel Ortega.
La vicepresidente e first lady, Rosario Murillo, ha definito la decisione «sovrana e irrevocabile». Il rapporto dell’ONU, giudicato da Murillo un insieme di «falsità» e «calunnie», accusa lei e il presidente Ortega di aver «trasformato il Paese in uno Stato autoritario in cui non esistono più istituzioni indipendenti».

Uno studio fa luce sullo strano crollo demografico dei Neanderthal, 110 mila anni fa

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Alla base dell’estinzione dei Neanderthal, i nostri antichi cugini evolutivi, ci sarebbe anche una drastica riduzione della loro variabilità genetica risalente a 110.000 anni fa, un cosiddetto “collo di bottiglia” che avrebbe preannunciato la sparizione di una delle specie umane più misteriose della storia. Lo rivela uno studio condotto da un team internazionale di ricercatori guidati dal professore di antropologia e coautore Rolf Quam dell’Università di Alcalá, sottoposto a revisione paritaria e pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications. Analizzando la morfologia dei canali semicircolari dell’orecchio interno di fossili provenienti da diverse località europee, i ricercatori hanno rilevato un particolare declino della diversità morfologica, in linea con precedenti studi sul DNA antico, localizzato in un preciso periodo storico, risultato che sfida l’ipotesi secondo cui la linea evolutiva dei Neanderthal abbia avuto origine con una perdita iniziale di diversità genetica. «È emozionante essere inclusi in questo progetto di ricerca che si basa su alcune delle più recenti metodologie all’avanguardia nel nostro campo. Come studente dell’evoluzione umana, sono sempre stupito dalla ricerca che spinge i confini della nostra conoscenza», ha commentato Brian Keeling, coautore e studente del professor Rolf Quam.

I Neanderthal sono una specie estinta di ominidi che vissero in Eurasia tra circa 400.000 e 40.000 anni fa, prima di essere gradualmente sostituiti dagli esseri umani moderni. Tradizionalmente considerati robusti cacciatori adattati ai climi freddi, possedevano capacità cognitive avanzate, come dimostrato da manufatti e resti di cultura materiale attribuiti a loro. Nonostante il dibattito sulla loro estinzione sia ancora aperto, molte ipotesi indicano un declino della popolazione causato da fattori ambientali, cambiamenti climatici e interazioni con Homo sapiens. Per quanto riguarda lo studio in questione, gli scienziati si sono basati sull’analisi dei canali semicircolari dell’orecchio interno, strutture cruciali per l’equilibrio e altamente conservate geneticamente, rendendole un indicatore affidabile della diversità genetica. Il team ha analizzato fossili provenienti da due importanti siti archeologici: Atapuerca, in Spagna, risalente a circa 400.000 anni fa e considerato una testimonianza dei primi Neanderthal, e Krapina, in Croazia, che conserva la più completa collezione di Neanderthal primitivi e risale a circa 130.000 anni fa. Infine, è stato effettuato un confronto con un campione di Neanderthal più recente, che ha permesso di tracciare l’andamento della loro diversità genetica nel tempo.

Secondo i risultati ottenuti, la diversità morfologica dei canali semicircolari nei Neanderthal classici è significativamente inferiore rispetto a quella dei pre-Neanderthal e dei primi Neanderthal, il che confermerebbe che circa 110.000 anni fa ci fu un drastico declino della variabilità genetica, probabilmente causato da una riduzione della popolazione. «Includendo fossili da un’ampia gamma geografica e temporale, siamo stati in grado di catturare un quadro completo dell’evoluzione dei Neanderthal. La riduzione della diversità osservata tra il campione di Krapina e i Neanderthal classici è particolarmente sorprendente e chiara, fornendo una forte prova di un evento di “collo di bottiglia”», ha spiegato Mercedes Conde-Valverde, dell’Università di Alcalá. «Siamo rimasti sorpresi nello scoprire che i pre-Neanderthal della Sima de los Huesos mostravano un livello di diversità morfologica simile a quello dei primi Neanderthal di Krapina. Questo sfida la comune ipotesi di un evento di collo di bottiglia all’origine della linea di discendenza dei Neanderthal», ha aggiunto il coautore Alessandro Urciuoli, spiegando che la ricerca non solo conferma un declino genetico significativo prima della loro estinzione, ma suggerisce anche che la loro evoluzione sia stata più complessa di quanto ipotizzato finora, aprendo la strada a nuove indagini sulle dinamiche delle loro popolazioni nel tempo.

[di Roberto Demaio]

In Turchia si è svolto un nuovo round negoziale tra Russia e USA

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Nella giornata di ieri, funzionari di Russia e Stati Uniti si sono incontrati in Turchia per sei ore di colloqui volti a ripristinare il normale funzionamento delle rispettive ambasciate. Nel frattempo, il presidente russo Vladimir Putin ha dichiarato che i primi contatti con la nuova amministrazione di Donald Trump hanno suscitato speranza. I negoziati hanno rappresentato un primo test della capacità dei due Paesi di avviare un dialogo più ampio. L’iniziativa si inserisce nel contesto di un tentativo di apertura da parte dell’amministrazione Trump, un’azione che ha sollevato preoccupazioni tra gli alleati europei di Washington e Kiev.

Maxi operazione di polizia: mille poliziotti per controllare 13.000 giovani (e arrestarne 73)

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Oltre mille agenti impiegati per il controllo di 13 mila giovani, dei quali 3 mila minorenni. Seicento profili social oscurati per istigazione all’odio e alla violenza «anche contro le Forze di Polizia». 150 immobili ispezionati, comprese due scuole e ben 23 centri di accoglienza per minori stranieri non accompagnati. Sono alcuni dei numeri dell’imponente operazione che la Polizia di Stato ha portato a termine nei giorni scorsi, volta a contrastare il «crescente fenomeno della criminalità minorile». Un’operazione che, secondo il ministro Piantedosi, «conferma l’attenzione e l’impegno del governo per coniugare costantemente l’azione di prevenzione e contrasto con iniziative di sostegno e di sensibilizzazione nei confronti delle giovani generazioni» e che rientra a pieno nell’approccio dell’esecutivo verso problematiche sociali di qualunque genere: repressione a ogni costo.

A fronte dell’imponente dispiegamento di personale delle forze dell’ordine, c’è da dire che il bottino è abbastanza esiguo: 73 giovani arrestati o sottoposti a fermo (uno ogni 178 fermati), dei quali 13 minorenni, otto pistole (delle quali due a salve e una da softair modificata), qualche coltello, mazze da baseball e poco altro – di sparapatate questa volta nemmeno l’ombra, anche se è stato sequestrato un rompi ghiaccio. Alcuni, peraltro, sono stati arrestati perché si sono ribellati ai controlli di polizia. In aggiunta a ciò, sono stati sequestrati «due chili di cocaina e dieci di cannabinoidi, oltre a sostanze stupefacenti e psicotrope utilizzabili per produrre circa 350 dosi tra eroina, shaboo, ecstasi e anfetamine». Proprio in questo potrebbe aver avuto un ruolo determinante il decreto Caivano varato dall’esecutivo Meloni nel 2023, il quale ha aumentato le pene per reati di spaccio anche di lieve entità. E che ha portato negli Istituti Penali Minorili (IPM) un aumento dei detenuti come non lo si vedeva da dieci anni – il tutto non perché i reati sono aumentati, ma perché è aumentato il numero di infrazioni che prevedono la detenzione in carcere. In questo modo, si sta pian piano smantellando un sistema che dal 1988, anno della sua introduzione, era usato come modello in tutta Europa, proprio perché in grado di ricorrere alla custodia cautelare in carcere solo in extremis.

Come denunciato da Antigone, «il cosiddetto Decreto Caivano ha introdotto una serie di misure che stanno avendo e continueranno ad avere effetti distruttivi sul sistema della giustizia minorile, sia in termini di aumento del ricorso alla detenzione che di qualità dei percorsi di recupero per il giovane autore di delitto. L’estensione delle possibilità di applicazione dell’accompagnamento a seguito di flagranza e della custodia cautelare in carcere stravolge l’impianto del codice di procedura penale minorile del 1988 e sta già determinando un’impennata degli ingressi negli IPM». Politicamente, la repressione è un’arma potente, in quanto da l’idea che effettivamente qualcuno stia facendo qualcosa. Poco importa cosa succederà nel lungo periodo.

[di Valeria Casolaro]

L’Italia annuncia l’aumento della sua presenza militare in Niger

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Il capo di Stato Maggiore della Difesa italiana, il generale Luciano Portolano, si è recato in visita in Niger, dove ha incontrato il ministro della Difesa nigerino e con il suo omologo, oltre che il personale militare italiano in servizio nell’ambito della missione bilaterale di supporto MISIN, attiva dal 2018, confermando l’importante ruolo dell’Italia nel Paese africano. Dopo la partenza di Stati Uniti, Francia e Germania, l’Italia è infatti l’unico Paese occidentale ormai rimasto di stanza in Niger dopo il colpo di Stato del 2023. Al governo Meloni, nell’ottica dello sviluppo del “Piano Mattei”, interessa mantenere buoni rapporti nell’area e una propria presenza militare, per via delle opportunità di sviluppo energetico che passano nel Paese – in particolare, al governo interessa la costruzione del Trans-Saharan gas pipeline, il quale collegherebbe i giacimenti di gas della Nigeria, passando per Niger e Algeria, con l’Europa.

Nel corso della sua visita, il generale Portolano ha incontrato il suo omologo nigerino, il generale Moussa Salaou Barmou, con cui ha parlato di terrorismo transnazionale, dei tentativi di destabilizzazione, del banditismo, della criminalità organizzata e della “migrazione illegale” verso nord. Successivamente, Portolano ha avuto un colloquio con il ministro della Difesa, il generale Salifou Mody, con cui è stato affrontato il tema della cooperazione bilaterale tra Italia e Niger, finalizzata alla comune necessità di disciplinare i flussi migratori transfrontalieri, assicurare la stabilità e contribuire alla difesa di tutta l’area saheliana.

Il ministro Mody ha confermato come il suo Paese veda nell’Italia un partner affidabile con cui proseguire il dialogo bilaterale e strategico. Questo è stato anche sottolineato in una nota del ministero della Difesa: «L’Italia è un interlocutore privilegiato con il governo di Niamey, essendo a oggi l’unico Paese occidentale ancora presente e gradito, anche e soprattutto grazie al proficuo lavoro svolto dalla Difesa». L’Italia contribuisce con formazione, addestramento, consulenza, assistenza e supporto a favore delle Forze di sicurezza e delle istituzioni governative nigerine, incrementando le capacità e l’autonomia del Paese nella sorveglianza delle frontiere, nel controllo del territorio e nel contrasto ai fenomeni illeciti. Inoltre, un’unità del 6° Reggimento Genio dell’esercito italiano è impegnata nella costruzione del Centro di Medicina Aeronautica del Niger (Centre de Compétence Médicale Aeronautique du Niger – CEMEDAN).

Non solo, il nostro Paese è attivo anche conprogetti di Cooperazione Civile-Militare. Infatti, il contingente italiano, circa 300 uomini, fornisce aiuti materiali alla popolazione locale attraverso programmi di sviluppo in campo sanitario e scolastico, con la realizzazione di 51 progetti dal 2018. A dimostrazione della valenza strategica attribuita al Paese africano, il 16 e 17 dicembre 2024 si è svolta a Roma la 4° edizione del Bilateral Staff Talks Italia-Niger, conclusa con la firma del Piano di Cooperazione 2025, che prevede lo svolgimento di 11 attività di addestramento congiunto, da condurre sia in Italia che in Niger.

Ciò che è di particolare interesse per il governo Meloni nell’ottica del Piano Mattei, con cui si tenta di diversificare l’approvvigionamento energetico, è il Trans-Saharan gas pipeline. Il 28 luglio 2022, ad Algeri, era stato firmato il primo memorandum d’intesa tra Algeria, Niger e Nigeria per la formalizzazione del progetto che consentirà al gas nigeriano di essere convogliato fino all’Europa. Due settimane fa, i tre Paesi hanno firmato ulteriori accordi per accelerare l’attuazione del progetto. Il gasdotto partirà dalla regione di Warri in Nigeria, attraversando il Niger per approdare poi a Hassi R’Mel, in Algeria. La sua lunghezza dovrebbe essere di 4.128 chilometri: 1.037 chilometri in Nigeria, 841 chilometri in Niger e 2.310 chilometri in Algeria. Qui, il gasdotto sarà collegato a quelli già esistenti che portano il gas in Europa: trans-mediterranei, Maghreb-Europa, Medgaz e Galsi.

Dunque, mantenere una propria presenza militare nel Paese africano è importante per l’Italia e i suoi progetti di approvvigionamento energetico, specie da quando le sanzioni alla Russia, e la degenerazione dei rapporti con essa, hanno interrotto o fortemente diminuito il transito di gas verso l’Europa. Quest’ultima, Italia compresa, è stata costretta a rivolgersi ad altri mercati, come quello statunitense, vedendo schizzare alle stelle il costo energetico.

[di Michele Manfrin]

Grecia, centinaia di migliaia in piazza nell’anniversario del disastro ferroviario

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Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza ad Atene e in varie altre città della Grecia oggi, nel secondo anniversario del disastro ferroviario più grave del Paese. Il 28 febbraio 2023, infatti, un treno passeggeri pieno di gente si schiantò contro un treno merci, causando la morte di 57 persone. A due anni dai fatti, poco o nulla è cambiato in materia di sicurezza, motivo per il quale la rabbia delle persone è nuovamente esplosa nelle piazze. Ad Atene sono state lanciate molotov contro la polizia e sono state assaltate le barricate di fronte al Parlamento, azioni alle quali la polizia ha risposto con un massiccio lancio di lacrimogeni. Tantissime le categorie in sciopero, dai trasporti alle attività commerciali.

Privatizzazioni e sudditanza, il declino strategico europeo: intervista ad Alessandro Volpi

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L’Europa, e l’Italia in particolare, si trova in una fase storica segnata da privatizzazioni sempre più aggressive, da una crescente dipendenza dai grandi fondi finanziari statunitensi e dagli effetti destabilizzanti del conflitto in Ucraina. Questi fenomeni stanno ridefinendo il panorama economico e politico del continente, mettendo a rischio la capacità produttiva, l’autonomia strategica e le relazioni commerciali con partner come la Cina. Per approfondire queste dinamiche e comprenderne le implicazioni, abbiamo intervistato Alessandro Volpi, professore di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa, esperto di questioni politico-economiche e autore di libri come Breve storia del mercato finanziario italiano (Carocci, 2004) e il recente Padroni del mondo. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia (Laterza, 2024). Volpi offre una lucida analisi di questi processi, illuminando i rischi che l’Europa sta correndo nel cedere settori strategici al capitale finanziario internazionale.

In Italia, la corsa alle privatizzazioni rappresenta un fenomeno di lungo corso, che non inizia certo con il governo Meloni. Ci sono, però, due differenze sostanziali. La prima è che questa nuova ondata di privatizzazioni viene effettuata dal primo governo a guida “sovranista”; l’altra è che, se in passato queste venivano giustificate con la necessità di cedere aziende spesso in perdita e mal gestite, che rappresentavano un peso per le casse statali, ora ci troviamo di fronte alla cessione di quote di aziende in attivo e che generano profitti per lo Stato. Cosa ne pensa? 

L’agenda Draghi era criticata duramente, direi quasi ferocemente, per la sua eccessiva subalternità riservata alla finanza rispetto all’economia italiana. La premier Meloni, quando era una competitor elettorale, così come in parte anche la Lega di Salvini, sosteneva la necessità di rinazionalizzare alcuni settori particolarmente strategici, per evitare che finissero in mani straniere. Ora, tutta questa retorica mi sembra sostanzialmente sparita, poiché il Governo Meloni ha previsto nella legge di bilancio, fin dall’anno scorso, e ribadito quest’anno, una quantità di privatizzazioni per una ventina di miliardi di euro. Si tratta di una cifra considerevole, tenuto conto che, nel corso degli ultimi anni, nel nostro Paese il processo di privatizzazione si era almeno parzialmente fermato, dopo aver avuto una grande fiammata nel corso degli anni ’90. 

Una ragione fondamentale è che la Meloni si è trovata a fare i conti con la realtà del nostro Paese. Se non si aumenta il gettito fiscale e non si riduce la spesa, bisogna fare ricorso al debito per coprire questo tipo di disavanzo. E qui sta uno dei problemi: la Banca centrale europea, dal dicembre 2023, non compra più il debito italiano, così come non compra più il debito europeo. Lo ha fatto dal 2012 fino al 2023, da quando Draghi lanciò il famoso “Whatever it takes”, considerato poi esaurito, secondo me in maniera assolutamente sbagliata.

Se hai bisogno di soldi, non aumenti le tasse e il debito costa troppo, è abbastanza evidente che devi cercare di fare cassa in altra maniera. E, quindi, per fare cassa devi vendere. Come giustamente lei dice, devi vendere le cose che hanno valore. 

In un quadro storico, quindi, potremmo, in maniera un po’ brutale, dire che, se negli anni ’80 e ’90 le privatizzazioni seguivano un’ideologia di smantellamento di un’economia in cui lo Stato aveva una presenza forte, oggigiorno si procede sostanzialmente solo per racimolare qualche soldo? 

Una grande differenza rispetto al passato è la seguente: rispetto agli anni ’80 e ’90, questi beni pregiati non vengono più venduti a soggetti di tipo industriale. In quegli anni, c’era un’ideologia secondo cui “privato è bello”: se una realtà viene gestita dal pubblico diventa un carrozzone in mano alla politica, mentre con il privato diventa efficiente. L’ideologia sosteneva quindi: “Affidiamoci a dei soci privati”, che siano soci industriali in grado di fare meglio ciò che lo Stato fa male.

Quello a cui stiamo assistendo in questa fase di privatizzazione, che, se vogliamo, è ancora più pesante che in passato, è il trasferimento della proprietà in favore di soggetti finanziari, i quali ragionano in termini prettamente finanziari, preoccupandosi prima di tutto del valore dei titoli delle società che acquistano.

I fondi di investimento statunitensi sono quelli che più di tutti hanno fatto man bassa in Italia, BlackRock su tutti, con Larry Fink ricevuto a Palazzo Chigi come un proconsole dell’impero americano. Quali sono le implicazioni economiche e politiche di questa posizione nei confronti degli Stati Uniti, a cui abbiamo ceduto pezzi veramente importanti di settori strategici del nostro Paese?

Questa privatizzazione, in termini finanziari, alla fine riduce e priva il Paese della capacità produttiva. Peraltro, un dato significativo è l’insieme del risparmio gestito italiano, ovvero il risparmio che gli italiani investono in polizze pensionistiche e sanitarie, che finisce in larghissima parte nelle mani di fondi come BlackRock, i quali trasferiscono il 60-65% di questi capitali nell’acquisto di titoli del debito pubblico americano o di società americane. Tant’è vero che il risparmio gestito italiano rimane in Italia per meno del 20% della raccolta complessiva. Stiamo parlando di 2500 miliardi di euro all’anno di questo tipo di risparmio. Quindi, è evidente che questa finanziarizzazione in chiave statunitense, veicolata anche dalle privatizzazioni, rappresenta un impoverimento profondo della struttura produttiva ed economica del Paese.

Questo, che sembra essere un fenomeno molto accentuato in Italia, è però evidente anche nel resto d’Europa, compresa la Germania, che attualmente versa in una grave crisi economica. Qual è l’obiettivo degli Stati Uniti in queste operazioni nei confronti dei Paesi europei? E perché l’Europa si sta ciecamente auto-sabotando per soddisfare, ancora una volta, l’interesse statunitense?

Risulta evidente che lo scoppio della guerra in Ucraina ha rappresentato un disastro per l’economia tedesca, così come per quella italiana, entrambe caratterizzate dalla possibilità di rifornirsi di gas russo a bassissimo prezzo. Ora, prive di questo gas, si trovano costrette a ricorrere a forme altamente inquinanti come il carbone o, in alternativa, al gas naturale liquefatto importato dagli Stati Uniti. Perché l’Europa agisce in questo modo? Probabilmente per una sorta di volontà suicida intrinseca, legata a un riflesso condizionato pavloviano di garantismo filo-atlantico che, oggettivamente, non trova spiegazioni se non nell’ottica di una sudditanza geopolitica, che ci sta privando anche dei rapporti con la Cina. 

La Germania, a differenza del nostro Paese, era un sistema economico molto meno privatizzato, in cui le privatizzazioni avevano spesso favorito le imprese tedesche e il capitale finanziario nazionale. Questo modello, tuttavia, non è piaciuto ai grandi fondi americani, che vedevano nella Germania una terra di conquista. In Francia, invece, ci sono alcuni colossi che cercano di tenere testa, almeno in parte, ai grandi del capitalismo finanziario americano. Penso, ad esempio, a realtà come Amundi o Crédit Agricole. 

[di Michele Manfrin]