mercoledì 2 Luglio 2025
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Memorandum Italia-Israele: giuristi diffidano il governo dal rinnovarlo

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L’8 giugno 2025 dovrebbe scattare, in automatico, il rinnovo quinquennale del Memorandum d’intesa tra Italia e Israele sulla cooperazione militare e della difesa. Un patto firmato a Parigi nel 2003 ed entrato in vigore nel 2005, rimasto da allora in gran parte coperto da segreto militare. Questa volta, però, c’è chi ha alzato la voce contro tale prospettiva. Un gruppo di 10 giuristi italiani ha infatti presentato una diffida formale al governo Meloni, sollecitando l’interruzione del rinnovo automatico. Secondo i firmatari, l’accordo rischia infatti di violare numerosi articoli della Costituzione italiana, oltre a rappresentare un sostegno implicito a crimini internazionali.

L’iniziativa, depositata il 21 maggio, è stata firmata da dieci esperti di diritto costituzionale e internazionale – tra cui Ugo Mattei, Fabio Marcelli e Domenico Gallo – e rappresentata dallo studio legale Piccione di Bari. La diffida è stata indirizzata alla Presidenza del Consiglio, al Quirinale e ai ministeri della Difesa e degli Esteri. Le motivazioni principali ruotano attorno a due questioni centrali: da un lato, la sistematica violazione dei diritti umani e del diritto internazionale da parte dello Stato Ebraico; dall’altro, la negazione al popolo italiano del diritto all’informazione sui contenuti e i costi del memorandum.

Il memorandum stabilisce una fitta rete di cooperazione tra l’Italia e lo Stato Ebraico nel comparto militare e della difesa. Gli ambiti di cooperazione includono l’industria e le politiche di approvvigionamento per la difesa, l’interscambio di materiale d’armamento, la formazione e l’addestramento del personale, così come la ricerca e lo sviluppo militare, questioni ambientali legate alle infrastrutture militari, operazioni umanitarie e attività culturali e sportive. Le modalità operative prevedono scambi di visite ufficiali, partecipazione di osservatori a esercitazioni, corsi e conferenze, nonché condivisione di dati e pubblicazioni tecniche, con divieto di divulgare a terzi senza consenso scritto della Parte originaria. Sul fronte sicurezza, le attività sono soggette all’Accordo sulla Sicurezza del 1987, che impone rigide clausole di riservatezza. Eppure, i dettagli dell’applicazione concreta dell’accordo – dove, come e con quali implicazioni – restano inaccessibili ai cittadini, protetti dal segreto militare. E questo, secondo i giuristi, costituisce una violazione degli articoli 1, 2, 3, 10, 11, 28, 54, 117 della Costituzione, oltre che dell’articolo 21 sul diritto all’informazione.

«L’8 giugno 2025 il Governo italiano rinnoverà tacitamente il Memorandum d’Intesa in materia di cooperazione militare e della difesa con Israele – scrivono i giuristi –. Questo avverrà nonostante la gravissima situazione attualmente in corso a Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est», oltre al «procedimento in corso alla Corte Internazionale di Giustizia, che ha riconosciuto la plausibilità del genocidio in atto contro il popolo palestinese», al «parere della stessa Corte (luglio 2024) che ha dichiarato illegale l’occupazione israeliana del territorio palestinese e ne ha ordinato lo smantellamento entro il 17 settembre 2025» e ai «mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale nei confronti del primo ministro israeliano Netanyahu e l’ex ministro della difesa Gallant per crimini di guerra e crimini contro l’umanità». Secondo i firmatari della diffida, il rinnovo dell’accordo costituisce «una conferma del sostegno italiano alla macchina bellica israeliana, che ha raso al suolo la Striscia di Gaza, causando solo a Gaza oltre 60mila vittime palestinesi negli ultimi due anni, tra cui 18mila bambini, e che continua ad annettere territorio occupato in Cisgiordania, sfollandone gli abitanti».

La tacita prosecuzione della collaborazione sarebbe dunque, ad avviso dei giuristi che hanno firmato la diffida, un atto politico e giuridico assai grave, che renderebbe lo Stato italiano co-responsabile, almeno moralmente, delle azioni di un Paese accusato di genocidio in un procedimento tuttora in corso. Eppure, tutto fa supporre che l’Italia punterà a rinnovare il memorandum: pochi giorni fa, oltre a bocciare per l’ennesima volta il riconoscimento dello Stato di Palestina, il Parlamento italiano ha infatti votato contro l’impegno di chiedere la sospensione dell’accordo di associazione Unione europea-Israele e l’ipotesi di sanzioni allo Stato ebraico per i massacri a Gaza.

Il Regno Unito sta nazionalizzando le proprie ferrovie

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Nel fine settimana, nel Regno Unito, è iniziata la rinazionalizzazione dei servizi ferroviari del Paese. La società di trasporti ferroviari britannica South Western Railway, attiva nell’area sudoccidentale dell’Inghilterra, è infatti tornata ad essere un’azienda di proprietà pubblica, sotto il controllo del Dipartimento dei Trasporti (DFTO). Il processo di rinazionalizzazione delle compagnie di trasporti britanniche è stato a lungo promesso dal Partito Laburista del premier Keir Starmer, insediatosi il 5 luglio 2024. Il processo dovrebbe durare fino al 2027 e porterà alla creazione della Great British Railways, una nuova società di gestione del servizio ferroviario nazionale. Secondo una stima, l’operazione dovrebbe portare il Paese a risparmiare una cifra di 680 milioni di sterline all’anno (circa 810 milioni di euro), eliminando i pagamenti dei dividendi agli azionisti, riducendo la duplicazione di alcuni ruoli ed eliminando i costi di gestione delle gare d’appalto.

Il passaggio di gestione di tutti i servizi della South Western Railway al DFTO è avvenuto ieri, domenica 25 maggio. Il governo ha definito il passaggio di consegne uno storico «spartiacque», che segue «30 anni di frammentazione» della rete dei trasporti britannica. L’acquisizione dei servizi di South Western Railway da parte del DFTO fa infatti parte di un’ampia iniziativa per rendere interamente pubblica la gestione dei trasporti britannici. Essa è stata formalmente lanciata il 28 novembre 2024, quando il Passenger Railway Services Act 2024, anche detto Public Ownership Act, ha ricevuto il consenso reale, consentendo agli operatori di treni passeggeri con contratti con il DFTO di diventare di proprietà pubblica. A oggi, il Dipartimento dei Trasporti gestisce il 25% delle linee ferroviarie britanniche: sono infatti presenti 14 compagnie ferroviarie di cui 10 private, e i servizi della South Western Railway sono i primi a tornare nelle mani del pubblico. Nel 2025 sono previste altre due acquisizioni, una entro luglio e una in autunno. A partire dal 2026, il governo britannico dovrebbe nazionalizzare un operatore ogni tre mesi e chiudere l’operazione a ottobre 2027.

La scelta di rendere interamente pubblica la gestione dei trasporti britannici intende risolvere i problemi di ritardi, cancellazioni e disagi che l’esecutivo attribuisce alla eccessiva frammentazione del servizio. L’iniziativa è pensata per rafforzare l’economia nazionale e regionale nell’ambito del Piano di Cambiamento del governo, che si propone di migliorare il servizio sanitario, garantire maggiore sicurezza, affrontare la questione abitativa e quella energetica, e avanzare maggiori investimenti in ambito infrastrutturale. Con l’acquisizione di tutti i servizi, si legge nel comunicato stampa governativo, i contribuenti arriverebbero a risparmiare «fino a 150 milioni di sterline all’anno solo in tasse». Al termine del processo, il governo creerà Great British Railways, che sarà responsabile della gestione dei servizi ferroviari e dell’infrastruttura ferroviaria nazionale. Da quanto si legge in una pagina dedicata alle domande degli utenti, sembra che i lavoratori delle compagnie private che passeranno in mano allo Stato manterranno i contratti attualmente in vigore.

L’annuncio della nazionalizzazione dei servizi di trasporto britannici è in controtendenza con le decisioni prese da diversi Paesi situati dall’altra parte della Manica, prima fra tutti l’Italia. Da quando è in carica, il governo Meloni ha infatti approvato diverse cessioni di aziende e servizi statali, e sembra averne molte altre in cantiere. Tra i dossier sul tavolo del governo Meloni, ci sono anche quelli relativi alle Ferrovie dello Stato, per cui il governo non esclude la possibilità di una parziale privatizzazione: secondo le stime, la vendita del 49% del capitale sociale potrebbe valere tra i 3 e i 5 miliardi. Va tuttavia precisato che l’azienda gode di buona salute, avendo generato nel 2023 un utile di 100 milioni.

Padova, crollo all’ex convento: due operai estratti vivi dalle macerie

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Due operai sono rimasti feriti in un crollo avvenuto nella tarda mattinata di oggi in un cantiere di ristrutturazione in via Santa Eufemia, nel centro di Padova. A cedere sarebbero stati i solai del secondo e del terzo piano dell’ex convento, facendo precipitare i lavoratori nel vuoto. Estratti dalle macerie dai soccorritori, sono stati trasportati in ospedale: le loro condizioni sono serie, ma non sono in pericolo di vita. Sul posto sono intervenuti vigili del fuoco, polizia e tecnici dello Spisal, per la messa in sicurezza dell’area e l’avvio delle indagini sulle cause dell’incidente.

In Italia un terzo dei lavoratori privati guadagna meno di mille euro al mese

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In Italia, un terzo dei lavoratori del settore privato, ovvero 6,2 milioni di persone, guadagna meno di mille euro al mese. Se si considera un reddito di 25 mila euro lordi l’anno, la percentuale arriva a toccare il 62,7% (10,9 milioni di lavoratori circa). La fotografia, scattata da un report redatto dall’ufficio Economia della CGIL nazionale, ritrae un’Italia in cui il lavoro povero costituisce una criticità endemica molto lontana dalla sua anche solo parziale risoluzione. I più penalizzati risultano essere coloro che hanno un contratto a termine o part-time, il cui salario lordo annuale medio si aggira tra i 10.300 e gli 11.800 euro. Se si combinano le due condizioni, il salario annuo lordo scende a una media di 7.100 euro.

I dati del rapporto, riferiti al 2023, raccontano che a percepire meno di mille euro al mese sia il 35,7% del totale dei dipendenti del settore privato. Numeri che descrivono un fenomeno ormai sistemico: non solo milioni di persone guadagnano poco, ma moltissime lo fanno lavorando in condizioni precarie, intermittenti o con orari ridotti. Basti pensare che oltre 2,3 milioni di lavoratori non hanno guadagnato neppure 5.000 euro lordi in tutto l’anno, e altri 1,85 milioni si collocano tra i 5 e i 10 mila euro. Alla base della povertà lavorativa, denuncia il sindacato, ci sono fattori strutturali ben noti ma mai realmente affrontati: in primo luogo, la combinazione micidiale di contratti a termine e part time involontario, che in Italia ha toccato nel 2023 il 54,8%, il più alto dell’intera Eurozona e il secondo in tutta l’Unione europea. La discontinuità lavorativa, altro elemento cruciale, è allarmante: l’83,5% dei rapporti di lavoro cessati ha avuto una durata inferiore a un anno, e il 51% è finito entro 90 giorni.

Anche il tipo di mansione influisce. L’elevata incidenza di qualifiche basse, con scarse possibilità di crescita professionale, tiene i salari al minimo. Non a caso, 2,8 milioni di lavoratori percepiscono una retribuzione oraria inferiore a 9,5 euro lordi, soglia che la CGIL propone di fissare per legge come salario minimo. Nel 2023, la retribuzione media nel settore privato è stata di 23.662 euro lordi annui, con un incremento del 3,5% rispetto all’anno precedente. Ma a fronte di un’inflazione al 5,9%, questo aumento risulta insufficiente. Il potere d’acquisto reale è crollato, e milioni di persone si trovano oggi più povere pur lavorando a tempo pieno. Una contraddizione che mina le fondamenta stesse del patto sociale. A peggiorare il quadro ci sono anche i ritardi nei rinnovi contrattuali: a fine 2023 erano 6,5 milioni i lavoratori in attesa di un nuovo contratto collettivo. Il tempo medio di attesa, secondo l’Istat, è di oltre 32 mesi. Una paralisi che pesa sui salari e alimenta ulteriormente la stagnazione. L’Italia, intanto, supera la media europea per incidenza della povertà lavorativa: secondo Eurostat, nel nostro Paese il 9,9% degli occupati è povero, contro l’8,3% della media UE.

Ad attestare la gravità della situazione era già stato, pochi giorni fa, il Rapporto Annuale 2025 dell’Istat sulla situazione del Paese, che aveva registrato come, a fronte dell’aumento dei prezzi, gli stipendi degli italiani negli anni siano di fatto rimasti gli stessi, causando una perdita dei salari reali dei cittadini. Secondo i dati enucleati nel report, gli stipendi reali degli italiani nel periodo compreso tra il 2019 e i 2024 sono diminuiti del 10,5% e la perdita del potere d’acquisto ha toccato il suo apice a fine 2022, quando ha raggiunto il 15% per poi scendere nel periodo successivo, toccando l’8,7%. A marzo 2025, tuttavia, è risalita al 10%. Secondo l’Istituto nazionale di statistica, il 23,1% della popolazione italiana risulta a rischio povertà o esclusione sociale, dato che al sud sfiora il 40%.

Roma, corruzione per manutenzione stradale: 5 arresti

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Su delega della Procura di Roma, la Guardia di Finanza ha eseguito misure cautelari nei confronti di 5 persone (in carcere) e 17 società (interdette dai rapporti con la PA), per reati tra cui corruzione, turbativa d’asta e bancarotta fraudolenta. Le indagini hanno svelato un gruppo imprenditoriale, attivo nella manutenzione stradale, che avrebbe utilizzato società intestate a prestanome per aggiudicarsi appalti pubblici a Roma e nel Lazio, anche grazie a presunti accordi illeciti. Il gip definisce il sistema un «cartello di imprese» che alterava la concorrenza e frodava la pubblica amministrazione.

I lavori del Giubileo 2025 stanno cambiando la conformazione di Roma

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Uscito dalla metro Ottaviano, nel cuore del quartiere Prati, svolto a destra per percorrere la via omonima recentemente resa pedonale nella sua interezza. In giro vi sono molti turisti (nulla di nuovo per il quartiere), ma anche diversi romani. Come me, molti di loro si trovano su via Ottaviano mossi dalla curiosità di scoprire il risultato di questo e altri interventi simbolo dell’imminente Giubileo. D’altronde, novità come queste non capitano spesso da queste parti: a confermarlo è il fatto che passeggiando per la via, ora in solo possesso dei pedoni, si ha l’impressione di essere stati cata...

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Francia-Vietnam: firmati accordi di difesa

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Francia e Vietnam hanno firmato 14 accordi di cooperazione in diversi settori. L’annuncio arriva in occasione di una visita del presidente francese Emmanuel Macron a Hanoi, la prima di un presidente francese negli ultimi dieci anni. Gli accordi, di preciso, prevedono un rilancio della cooperazione in materia di energia nucleare, difesa, ferrovie, e vaccini, nonché l’acquisto di 20 aerei di linea della Airbus da parte di Hanoi. Il presidente vietnamita Luong Cuong ha affermato che il partenariato per la difesa prevede «la condivisione di informazioni su questioni strategiche» e una più forte cooperazione nell’industria della difesa, nella sicurezza informatica e nella lotta al terrorismo.

Allevamenti di salmoni in Scozia sotto accusa: mortalità altissima e sofferenze evitabili

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Free public domain CC0 photo.

Un’inchiesta giornalistica ha rivelato le gravi condizioni degli allevamenti di salmoni in Scozia. Le immagini mostrano pesci mangiati vivi dai pidocchi, con code amputate e occhi esplosi. Un pesce su quattro morirebbe prima del macello, a causa di malattie, riscaldamento delle acque e parassiti. L’indagine costituisce il prosieguo di una precedente inchiesta, che aveva già messo nel mirino la Food From the World, azienda di salmoni legata alla deputata animalista Michela Brambilla, già sanzionata dall’ATS Brianza perché priva della tracciabilità del prodotto.

L’inchiesta, oltre alle gravi condizioni in cui versano i salmoni allevati, ha infatti evidenziato un legame tra la Brambilla e l’azienda specializzata nel commercio di salmoni e gamberetti aperta nel 2022. La compagnia Food From the World avrebbe diverse collaborazioni molto vicine a Brambilla, tra cui una collaborazione con IoVeg, azienda di prodotti vegani di proprietà della deputata di Noi Moderati. Una possibilità che mette a nudo le contraddizioni tra etica proclamata e pratiche industriali, aprendo nuovi interrogativi su coerenza e responsabilità nel mondo dell’attivismo animalista. Ma le contraddizioni non finiscono qui. Mentre alcuni parlamentari scozzesi hanno definito gli impianti sotto inchiesta “tecnologicamente avanzati”, grazie a sistemi di sorveglianza per monitorare il comportamento dei pesci, le associazioni animaliste offrono un quadro ben diverso. Abigail Penny, direttrice esecutiva di Animal Equality UK, ha denunciato condizioni di vita incompatibili con ogni forma di benessere animale. Le ricadute poi non si limitano agli animali. Report ha segnalato ancora una volta l’impatto ambientale dell’industria del salmone. Le sostanze chimiche impiegate per combattere i parassiti e i residui di mangime si depositano sui fondali, danneggiando in modo irreversibile gli ecosistemi marini. La Scozia è oggi il terzo produttore mondiale di salmone atlantico da allevamento, con esportazioni in oltre 50 Paesi, tra cui l’Italia. Eppure, nonostante le ripetute denunce delle associazioni animaliste, le problematiche sembrano immutate nel tempo: pesci costretti a vivere per due anni in gabbie sottomarine sovraffollate, con tassi di mortalità che possono arrivare fino al 25%.

Un quadro critico che trova un analogo riscontro anche in Islanda, dove tra novembre 2024 e febbraio 2025 quasi 1,2 milioni di salmoni sono morti negli allevamenti a rete aperta di Kaldvík, trasformando una filiera in espansione in uno dei casi più gravi nella storia recente dell’acquacoltura europea. Le ispezioni condotte dall’Autorità islandese per la sicurezza alimentare e veterinaria hanno rilevato sovraffollamento estremo, condizioni di trasporto insostenibili e acque marine con livelli di ossigeno insufficienti, spingendo la polizia ad avviare un’indagine per negligenza e maltrattamento animale. La denuncia è partita da operatori e attivisti che hanno documentato reti colme e migliaia di cadaveri galleggianti, denunciando un sistema incapace di rispettare i minimi standard di benessere. Il disastro ha scatenato un’ondata di indignazione pubblica e una causa legale senza precedenti: i proprietari dei fiumi, sostenuti dall’Icelandic Wildlife Fund e finanziati anche dall’artista Björk, hanno chiesto di annullare le autorizzazioni per gli allevamenti nei fiordi islandesi, denunciando il rischio di contaminazione genetica del salmone selvatico a causa delle frequenti fughe dalle gabbie in mare aperto. Già nel 2023, migliaia di esemplari d’allevamento erano finiti nei fiumi islandesi, minacciando l’integrità genetica di popolazioni adattate da millenni. Il rischio è che l’acquacoltura intensiva, tra cambiamento climatico e inquinamento, trasformi una specie selvatica in un ibrido fragile. A questo si aggiunge una crescente opposizione sociale: secondo un sondaggio Gallup, oltre il 65% degli islandesi è contrario agli allevamenti in mare e quasi il 60% ne chiede il divieto assoluto. Nell’ultimo anno, più di quattro milioni di pesci sono morti in questi impianti, una cifra 72 volte superiore al numero totale di salmoni selvatici ancora presenti nel Paese. La pressione internazionale ha contribuito ad accendere il dibattito politico. Il Parlamento islandese discuterà entro fine anno una riforma della legge sull’acquacoltura, che punta a introdurre limiti più severi alla densità di carico, il monitoraggio continuo della qualità dell’acqua e il passaggio a impianti a terra o sistemi chiusi.

Gaza: Israele bombarda una scuola e si prepara all’assalto finale della Striscia

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L’esercito israeliano continua a intensificare gli attacchi sulla Striscia di Gaza, bombardando rifugi per sfollati e schierando sempre più militari. Nella notte, l’aviazione israeliana ha preso di mira l’istituto scolastico Fahmi Al-Jarjawi nella zona di Al-Sahaba, nel quartiere di Al-Daraj, a est di Gaza City, uccidendo almeno 30 persone. In seguito al bombardamento, nella struttura è scoppiato un vasto incendio, che ha bruciato vive alcune delle vittime. Il bombardamento nella capitale arriva in parallelo all’allargamento della campagna terrestre dell’esercito israeliano come conseguenza del lancio dell’operazione Carri di Gedeone, che prevede un allargamento delle operazioni militari su tutta la Striscia nell’ottica di una occupazione militare permanente. Secondo delle indiscrezioni apparse sui media israeliani, riprese da diversi quotidiani del Paese, con l’inizio della nuova settimana le IDF (Forze di Difesa Israeliane) avrebbero annunciato il dispiegamento di tutte le brigate di fanteria e delle unità corazzate dell’esercito permanente nella Striscia di Gaza.

Il bombardamento sulla scuola di Gaza City è avvenuto attorno all’1:33 di oggi, lunedì 26 maggio. La prima stima su danni e vittime è stata data assieme alla notizia del bombardamento, ma i numeri sono stati aggiornati nel corso di tutta la notte e della mattina; è dunque probabile che per ora si tratti di una stima solo parziale. In un aggiornamento notturno uscito circa alle 3, la protezione civile ha annunciato di essere riuscita a contenere le fiamme divampate nella struttura. L’attacco alla scuola è seguito a un altro bombardamento su Gaza City che ha preso di mira un campo con abitazioni e tende per sfollati nei pressi di Thawra Street. Nel frattempo, sono continuati gli attacchi anche a nord: attorno alle 7:40, l’aviazione israeliana ha colpito un edificio a Jabaliya, uccidendo almeno 19 persone.

I sempre più feroci bombardamenti sulla Striscia avvengono in concomitanza con l’intensificazione dell’invasione terrestre. Secondo un articolo uscito sul Times of Israel le IDF avrebbero annunciato il dispiegamento di tutte le truppe di fanteria e delle armate corazzate regolari, in una Striscia già piena di soldati permanenti e riservisti. Prima di questa notizia, riporta il ToI, nella Striscia sarebbero stati presenti «decine di migliaia di soldati» israeliani. La notizia del massiccio dispiegamento di forze israeliane non è verificabile, ma è stata ripresa da gran parte della stampa nazionale, tra cui il noto corrispondente di guerra di Kan News Itay Blumental. Da quanto comunicano le IDF, le operazioni si concentreranno in un primo momento sul Governatorato di Nord Gaza e su quello di Khan Younis, rispettivamente gli attuali confini settentrionale e meridionale delle operazioni militari.

Al presunto annuncio dell’esercito israeliano è oggi seguita un’altra indiscrezione, secondo la quale Israele punterebbe a prendere il controllo effettivo del 75% della Striscia di Gaza nell’arco dei prossimi due mesi. «Quando verrà lanciata la grande offensiva terrestre, la popolazione palestinese verrà spinta in tre piccole zone di Gaza», si legge in una articolo del ToI che avrebbe visto in anteprima il piano delle IDF. «Una nuova “zona sicura” nell’area di Mawasi, sulla costa meridionale della Striscia, dove Israele aveva precedentemente dichiarato una “zona umanitaria”; una striscia di terra a Deir al-Balah e Nuseirat, nella parte centrale di Gaza, dove le IDF non hanno operato con forze di terra; e il centro di Gaza City, dove molti palestinesi sono tornati durante il cessate il fuoco di inizio anno». Da quanto comunicano le IDF, in questo momento l’esercito controllerebbe circa il 40% del territorio. Numeri ben diversi da quelli forniti dalle autorità gazawi, secondo le quali Israele avrebbe ormai nelle sue mani il 77% della Striscia; i numeri forniti dalle autorità palestinesi rispecchierebbero le analisi indipendenti apparse su Associated Press lo scorso aprile, secondo cui Israele controllava circa il 50% della Striscia.

Dall’escalation del 7 ottobre, Israele ha distrutto o danneggiato il 92% delle case (l’ultimo aggiornamento risale a prima del cessate il fuoco del 19 gennaio), l’82% delle terre coltivabili (i dati più recenti sono di ottobre 2024), l’88,5% delle scuole (dato del 25 febbraio 2025) e, in generale, il 69% di tutte le strutture della Striscia (1 dicembre 2024). Il 59% del territorio della Striscia risulta sotto ordine di evacuazione o interdetto ai civili. In totale, l’esercito israeliano ha inoltre ucciso direttamente almeno 53.939 persone, anche se il numero totale dei morti potrebbe superare le centinaia di migliaia, come sostenuto da un articolo della rivista scientifica The Lancet e da una lettera di medici volontari nella Striscia.

Elezioni comunali, affluenza in calo: si vota fino alle 15 di oggi

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La tornata elettorale per le amministrative in 123 Comuni italiani ha visto un calo della partecipazione popolare. A livello nazionale, infatti, alle 23:58 l’affluenza totale è stata del 43,86%, mentre nella precedente tornata si era registrato il 49,5%. A Genova, per esempio, è andato a votare solo il 39% degli elettori; a Ravenna si è raggiunto soltanto il 37%. Oggi, lunedì 26 maggio, si vota ancora dalle 7 alle 15, mentre gli eventuali ballottaggi andranno in scena l’8 e il 9 giugno, assieme ai referendum su lavoro e cittadinanza. Lo spoglio inizierà lunedì, subito dopo la chiusura dei seggi.