La Cina ha stabilito un rialzo dei suoi controdazi sulle importazioni dei beni statunitensi dall’84% al 125%. Lo ha reso noto il ministero delle Finanze di Pechino, spiegando che le nuove misure entreranno in vigore domani, il 12 aprile. Nelle ultime ore, un portavoce del ministero del Commercio cinese ha dichiarato che gli USA devono «assumersi la piena responsabilità» per le «turbolenze» economiche globali seguite all’offensiva tariffaria di Trump, aggiungendo che i dazi annunciati da Washington hanno causato «gravi shock e forti turbolenze» anche «ai sistemi commerciali multilaterali».
La maggioranza approva la mozione per riarmare l’Italia senza mai nominare il riarmo
La Camera dei deputati ha approvato la mozione della maggioranza sul Piano di riamo europeo con 114 sì. C’è, però, un grande paradosso: il testo non cita mai il piano ReArmEurope di Ursula von der Leyen, che ha già ottenuto il via libera di Consiglio e Parlamento Europeo, evitando addirittura il termine «riarmo». Frutto di mediazione tra i partiti di centro-destra, il testo sostiene l’urgenza di un rafforzamento militare e l’appoggio all’Ucraina nella cornice del conflitto con la Russia. Dure le critiche delle opposizioni – sia dell’ala più progressista del Parlamento, contraria al piano, sia dei centristi, che sono invece fortemente favorevoli – le quali hanno denunciato il mancato rispetto del tema all’ordine del giorno, parlando di «una presa in giro».
Effettivamente, l’ordine del giorno della seduta di ieri, giovedì 10 aprile, era molto chiaro: “Mozioni in ordine al piano di riarmo europeo”, ovvero il programma con cui la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen intende aumentare la spesa per la difesa dei Paesi membri di almeno 800 miliardi di euro. Eppure, la parola «riarmo» è scomparsa dalla mozione di maggioranza. Nel testo approvato dalla Camera si legge che «il contesto internazionale attuale richiede un rafforzamento della capacità di difesa e deterrenza dell’Italia e dei suoi alleati, nell’ambito di un sistema multilaterale fondato sul rispetto del diritto internazionale e della sovranità degli Stati» e che «la partecipazione dell’Italia alle alleanze internazionali, con particolare riferimento all’Alleanza Atlantica (Nato), costituisce un pilastro della politica estera e di sicurezza nazionale», impegnando il nostro Paese «al rispetto degli obblighi derivanti, anche in termini di investimenti e sviluppo di capacità».
Date le premesse, il testo impegna il governo a «proseguire nell’opera di rafforzamento delle capacità di difesa e sicurezza nazionale al fine di garantire, alla luce delle minacce attuali e nel quadro della discussione in atto in ambito europeo in ordine alla difesa europea, la piena efficacia dello strumento militare, secondo i compiti stabiliti dall’ordinamento, a salvaguardia delle libere istituzioni, della democrazia, dell’integrità e della sicurezza dei cittadini e del territorio nazionale, come presupposto per l’esercizio universale dei diritti fondamentali», nonché a «confermare gli impegni assunti dall’Italia negli ultimi dieci anni, nelle alleanze internazionali di cui fa parte, in particolare in ambito Nato, rispettando i requisiti di investimento e di sviluppo delle capacità necessarie a garantire all’Alleanza una postura credibile e una reale deterrenza». Si legge inoltre che l’esecutivo dovrà «operare, in ogni sede internazionale e con ogni strumento diplomatico, affinché si giunga nel più breve tempo possibile a un cessate il fuoco e a una pace duratura sul territorio ucraino», ma contestualmente lo si impegna a «continuare, nel rispetto degli indirizzi del Parlamento, a sostenere l’Ucraina per tutto il tempo necessario». La mozione chiede al governo di favorire, dopo un’eventuale tregua, «la costituzione di una forza multinazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite, subordinata a una deliberazione del Consiglio di sicurezza, al fine di garantire un processo di pace stabile, condiviso ed irreversibile».
E se il governo sulla questione russo-ucraina appare frastagliato – come dimostra il compromesso al ribasso sfociato in questo testo – l’opposizione va in ordine sparso. Le forze di minoranza hanno presentato sei differenti mozioni, tutte bocciate dall’aula di Montecitorio. I più ostili al “ReArm” si dimostrano il M5S e AVS, che invitano il governo a «non proseguire nel sostegno al piano di riarmo europeo», concentrandosi invece su sanità, welfare e incentivi all’occupazione. Il PD non ha espresso un no lapidario al piano, ma ha invitato l’esecutivo a lavorare a una sua «radicale revisione» per «assicurare investimenti comuni effettivi non a detrimento delle priorità sociali», riaffermando «la ferma condanna della grave, inammissibile e ingiustificata aggressione russa contro l’Ucraina». Favorevole al riarmo +Europa, che chiede al governo di attivarsi nelle sedi opportune «affinché le risorse messe in campo siano orientate fin da subito alla realizzazione di una difesa comune europea». Dice sì al riarmo anche Italia Viva, che chiede all’esecutivo di «favorire le sinergie industriali europee verso lo sviluppo di piattaforme militari comuni». Ok al riarmo anche da Azione, che invita il governo a «cooperare con gli altri Paesi europei “volenterosi” e con il Regno Unito» affinché «le forniture di munizioni di artiglieria di grosso calibro e di missili, che l’ultimo Consiglio europeo ha individuato come necessarie per corrispondere alle pressanti esigenze militari dell’Ucraina, siano assicurate tempestivamente alle forze di difesa ucraine».
Su un unico punto convergono le opposizioni: il fatto che la maggioranza abbia scelto di non nominare il riarmo all’interno della mozione è la prova lampante delle tensioni covate al suo interno sul tema del riarmo e del conflitto russo-ucraino. Secondo M5S e AVS è un «insulto al Parlamento» e «una presa in giro», mentre Italia Viva parla di un «gioco delle tre carte» e della recita di «più parti in commedia» interno al centro-destra e al governo Meloni.
Si dimette l’ambasciatrice americana in Ucraina
L’ambasciatrice americana in Ucraina, Bridget Brink, ha deciso di lasciare il suo ncarico. La notizia è stata anticipata dagli organi di informazione statunitense e poi confermata dalla portavoce del dipartimento di Stato. Brink era stata nominata dall’ex presidente USA Joe Biden nella primavera del 2022, a poche settimane dall’invasione russa in Ucraina. Le dimissioni arrivano mentre le relazioni tra Stati Uniti e Ucraina hanno subito un notevole peggioramento dall’inizio della presidenza di Donald Trump. Russia e Stati Uniti continuano sulla via del dialogo bilaterale: ieri hanno effettuato uno scambio di prigionieri all’aeroporto di Abu Dhabi.
Dazi, Casa Bianca: aliquota reale al 145% per la Cina
I dazi di Trump contro la Cina sono complessivamente al 145%. Lo ha riportato il canale statunitense Cnbc citando fonti della Casa Bianca, secondo le quali il 125% di tariffe reciproche annunciato dal presidente USA si va a sommare al 20% di dazi imposti in precedenza per il fentanyl (oppioide prodotto da sintesi chimica, ndr). Significativi gli effetti sulle borse statunitensi: il Dow Jones perde il 5,37% a 38.438,20 punti, il Nasdaq arretra del 7,14% a 15.912,67 punti mentre lo S&P 500 lascia sul terreno il 6,10% a 5.124,04 punti. In forte rialzo invece le borse europee, dopo la notizia arrivata ieri della sospensione dei dazi reciproci – Cina esclusa – per 90 giorni.
Nel 2024 l’Italia ha esportato armi per oltre 7,6 miliardi di euro
Nel 2024, l’Italia ha aumentato le proprie esportazioni di armi del 22,58%. I dati provengono dal nuovo rapporto sull’esportazione militare trasmesso al Parlamento, che rivela che l’anno scorso le licenze rilasciate per il trasferimento di materiali d’armamento (sia in entrata che in uscita) sono state pari a 8,69 miliardi di euro. Di questi, 7,6 miliardi sono finiti nelle casse del Belpaese tramite le autorizzazioni di esportazione. Crescono, in particolare, le autorizzazioni individuali di esportazione, rivolte verso singoli Paesi per sistemi d’arma specifici, che trainano l’export italiano arrivando a valere 6,45 miliardi di euro. I dati della relazione rispecchiano l’ultimo rapporto dell’Istituto Internazionale di Ricerche sulla Pace di Stoccolma (SIPRI), uno dei più importanti centri di ricerca sulla pace al mondo, secondo cui l’Italia sarebbe diventata il sesto Paese per esportazioni di armi su scala globale.
Il rapporto sull’export militare è stato trasmesso al Parlamento lo scorso 24 marzo. L’anno scorso il valore totale dell’esportazione militare italiana, considerate anche le intermediazioni – ossia le autorizzazioni rilasciate alle aziende che fungono da intermediarie tra produttore ed acquirente – è stato pari a 7,94 miliardi di euro, mentre le importazioni, escluse le movimentazioni intracomunitarie, hanno raggiunto 743 milioni di euro. Nel 2024, l’Italia ha esportato armi a 90 Paesi, dato in aumento rispetto agli 83 del 2023. L’Indonesia, che nel 2023 risultava al 35º posto, si trova ora al primo posto per il valore delle autorizzazioni rilasciate, per via di un accordo con Fincantieri da oltre un miliardo di euro. Il Paese del Sud-est asiatico risulta l’unico a superare il miliardo in importazioni di armamenti dall’Italia, ed è seguito da Francia e Nigeria, rispettivamente con 591 milioni e 480 milioni di euro. In generale, l’Italia ha iniziato a spedire più armi verso Paesi extra-UE ed extra-Nato, che oggi ricevono il 55,9% delle esportazioni di materiale bellico italiano. Nella lista non compare Israele, perché, a causa del genocidio a Gaza, non è stato oggetto di alcuna nuova licenza; le esportazioni verso lo Stato ebraico, tuttavia, non si sono fermate, poiché le autorizzazioni antecedenti al 7 ottobre non sono decadute. A trainare le esportazioni italiane sono Leonardo, con il 27,67% delle autorizzazioni ricevute, e Fincantieri, con il 22,62%. I materiali, invece, guidano la classifica degli oggetti esportati sia per valore complessivo sia per numero di articoli (81,31%), e sono seguiti dalle tecnologie (11,97%), dai servizi (3,38%) e dai ricambi (3,34%).
I dati della Relazione annuale sono in linea con l’ultimo rapporto del SIPRI sul commercio globale di armi. Secondo l’Istituto, nel periodo 2020-2024, l’Italia ha registrato un maxi-aumento del volume di esportazioni di armi in relazione alle esportazioni globali, pari al 138% rispetto al quinquennio precedente. Con questo aumento, l’Italia si piazza al sesto posto della classifica dei maggiori esportatori, con una quota del 4,8% del commercio globale. Questo incremento rappresenta il maggiore tra tutti i primi dieci esportatori mondiali, indicando un’espansione significativa dell’industria bellica italiana. I principali destinatari delle esportazioni italiane sono stati il Qatar (28%), l’Egitto (18%) e il Kuwait (18%).
Regno Unito, arrestato il co-direttore nazionale di Greenpeace
La polizia britannica ha arrestato Will McCallum, co-direttore di Greenpeace per il Regno Unito, insieme ad altri quattro attivisti per aver compiuto un’azione dimostrativa presso l’ambasciata statunitense. I cinque hanno versato 300 litri di colorante rosso in un laghetto all’interno dell’edificio per simboleggiare il sangue delle vittime palestinesi e protestare contro la vendita di armi da parte degli USA a Israele. McCallum e gli attivisti erano precedentemente riusciti a entrare nell’ambasciata travestiti da fattorini; Greenpeace ha dichiarato che McCallum è stato arrestato con l’accusa di associazione a delinquere a fini di danneggiamento, reato che prevede una pena massima di 10 anni di carcere.
Abbattimento di 1.200 caprioli: il Tar condanna la Provincia di Asti a risarcire la LAV
Un piano di abbattimento straordinario per eliminare oltre 1.200 caprioli, la sospensione degli interventi grazie ai ricorsi degli animalisti e ora una condanna all’ente che quel piano lo aveva varato: con una pronuncia salutata con entusiasmo dagli animalisti, il TAR del Piemonte ha condannato la Provincia di Asti a rimborsare le spese legali sostenute dalla LAV (Lega Anti Vivisezione), sancendo l’illegittimità del piano, considerato scaduto lo scorso 31 marzo. È l’epilogo di una lunga battaglia giudiziaria che ha visto emergere criticità profonde nella gestione faunistica del territorio. Ma la partita resta aperta, con il consigliere delegato alla caccia che annuncia la definizione di un nuovo piano di contenimento da sottoporre al consiglio provinciale.
Il caso è nato a marzo 2024, quando la Provincia di Asti aveva varato un “Piano straordinario e speditivo di contenimento delle popolazioni stabili di capriolo”, prevedendo l’abbattimento di 1.240 animali. Immediate erano scattate le proteste della LAV, che si era rivolta al TAR ottenendo per due volte la sospensione del provvedimento. La battaglia legale si è al momento conclusa con il riconoscimento della fondatezza delle ragioni animaliste. Massimo Vitturi, responsabile nazionale dell’Area Animali Selvatici della LAV, ha commentato con soddisfazione la sentenza, parlando di una «pietra tombale sulle velleità animalicide della Provincia». Secondo l’associazione, il piano provinciale era basato su dati non comprovati scientificamente: solo otto delle quarantuno aree censite nel 2023 riportavano infatti danni all’agricoltura attribuibili ai caprioli, e non vi erano riscontri oggettivi sugli incidenti stradali invocati come giustificazione. Particolarmente grave, per la LAV, il fatto che il piano fosse stato approvato senza acquisire il necessario parere dell’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che la normativa richiede obbligatoriamente quando si dispone l’abbattimento di animali selvatici.
Dal canto suo, la Provincia di Asti, per bocca del consigliere delegato alla caccia Davide Migliasso, ha difeso il proprio operato spiegando che l’ente non si occupa direttamente della caccia, bensì del contenimento della fauna per preservare l’equilibrio ecosistemico e proteggere agricoltura e sicurezza pubblica. Migliasso ha affermato che i caprioli causano danni significativi alle coltivazioni, specialmente nelle zone vitivinicole, e aumentano il rischio di incidenti stradali. Ha inoltre annunciato che, nonostante la battaglia delle associazioni animaliste e delle recenti sentenze dei giudici amministrativi, l’ente è intenzionato a portare avanti il suo programma di abbattimento. «Non possiamo e non vogliamo sottrarci al ruolo necessario di vigilanza e azione per il contenimento – ha dichiarato Migliasso –. I nostri agenti faunistici hanno già svolto una prima parte di un censimento delle presenze e sono alle prese con la seconda tranche che si concluderà a fine aprile. Subito verrà predisposto un nuovo piano di contenimento da far approvare in massima urgenza in consiglio».
Nonostante le giustificazioni istituzionali e il nuovo slancio per un altro piano di abbattimento, il giudizio del TAR è chiaro: la gestione del problema da parte della Provincia di Asti è risultata carente dal punto di vista tecnico e giuridico. La LAV, assistita dallo studio legale Fenoglio-Callegari di Torino, ha ribadito che continuerà a vigilare sull’operato delle amministrazioni locali, pronta a intervenire per impedire nuovi piani di contenimento privi dei requisiti scientifici e normativi previsti dalla legge.










