giovedì 6 Novembre 2025
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I dati di migliaia di cittadini italiani sono finiti in mano agli hacker

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Un nuovo attacco informatico scuote Milano e altre città italiane: i dati personali degli utenti dell’app ATM, utilizzata per l’acquisto di biglietti e abbonamenti del trasporto pubblico, sono stati violati e trasferiti su un archivio esterno non autorizzato. A comunicarlo è stata la stessa Azienda Trasporti Milanesi, che ha confermato la compromissione di informazioni anagrafiche e di contatto a seguito di un attacco subito da Mooney Servizi S.p.A., società incaricata della gestione dei dati. ATM non è l’unica azienda a essere stata colpita: a stretto giro sono arrivate le comunicazioni di altre società coinvolte nello stesso attacco, come Tuabruzzo, UNICO Campania e Busitalia Veneto. Non sarebbero stati intercettati dati bancari, credenziali di accesso o indirizzi di residenza.

L’attacco, avvenuto il 5 aprile scorso, ha messo in evidenza quanto sia vulnerabile un sistema che affida la gestione dei dati sensibili a molteplici fornitori esterni. In particolare, l’intrusione ha colpito un archivio ospitato da WIIT S.p.A., società di servizi cloud scelta da Mooney Servizi – che è partecipata al 50% da Isybank (Intesa San Paolo) e al 50% da EnelX – per custodire i dati dei propri clienti. Gli hacker sarebbero riusciti a copiare i dati su un cloud esterno, ma le modalità precise dell’esfiltrazione sono ancora oggetto di indagine. I dati sottratti comprendono nome, cognome, indirizzo email, numero di telefono e informazioni relative al profilo cliente. Nessun dato bancario, carta di credito o password è stato compromesso. Tuttavia, ATM ha evidenziato che il rischio principale è la perdita di riservatezza e l’uso non autorizzato delle informazioni, con possibili conseguenze in termini di phishing, tentativi di truffa o campagne di spam mirate. In risposta all’accaduto, ATM ha immediatamente chiesto a Mooney Servizi una reportistica aggiornata e dettagliata sulle contromisure adottate. Sono stati inoltre rafforzati i sistemi di sicurezza per l’accesso da parte di soggetti terzi e il data breach è stato regolarmente notificato al Garante per la Protezione dei Dati Personali e all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, come previsto dalla normativa.

Anche Mooney Servizi ha agito tempestivamente, fornendo informazioni ai clienti sulla violazione dei dati, isolando i propri sistemi per impedire ulteriori accessi non autorizzati e collaborando con le autorità competenti per limitare l’impatto dell’attacco. Nonostante l’immediata reazione, l’episodio ha riacceso il dibattito sulla fragilità delle infrastrutture digitali pubbliche e sulla necessità di criteri di sicurezza più stringenti quando si tratta di gestire dati sensibili dei cittadini. Le indagini tecniche sono in corso per definire l’esatta portata dell’attacco e per identificare i responsabili. Nel frattempo, sia ATM che le altre aziende coinvolte hanno invitato tutti gli utenti a prestare la massima attenzione a eventuali email sospette o richieste anomale di dati personali. Gli utenti dovrebbero infatti diffidare di comunicazioni che sembrano provenire da istituzioni ufficiali ma che potrebbero nascondere tentativi di frode.

Haiti, approvato fondo straordinario di 240 milioni contro le gang

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Il consiglio presidenziale di transizione di Haiti ha approvato quello che viene definito un «fondo di guerra» straordinario per affrontare la lotta alle bande armate. Il fondo è pari a 36 miliardi di gourdes, circa 241 milioni di euro, e servirà a rafforzare le forze di sicurezza, proteggere il confine, e sostenere i programmi di assistenza sociale. Haiti è ormai da anni  in mezzo a una profonda crisi tra violenze delle bande armate e instabilità politica. Nell’ultimo periodo, la violenza delle gang è cresciuta: queste hanno preso il controllo di gran parte della capitale e si stanno espandendo nelle aree vicine.

USA, no alla revoca dello status legale a 500mila migranti

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Una giudice federale degli Stati Uniti ha impedito a Trump di porre fine a un programma che consente ad alcuni migranti di entrare negli Stati Uniti nel Paese. La revoca del programma avrebbe fatto perdere lo status legale a circa 500.000 persone. Il programma in questione è stato pensato e introdotto nell’era Biden e consente l’ingresso per due anni a un massimo di 30.000 migranti al mese provenienti da Cuba, Haiti, Nicaragua e Venezuela.

La Thailandia è il 68esimo Stato al mondo a vietare le punizioni corporali sui minori

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In Thailandia non sarà più possibile punire i bambini con la violenza, né a casa né a scuola. Il Parlamento ha approvato una nuova legge che modifica l’articolo 1567 del Codice Civile e Commerciale e vieta ogni forma di punizione fisica e psicologica nei confronti dei minori. Con questa decisione, il Paese è diventato il 68esimo al mondo a introdurre un divieto totale di punizioni corporali in tutti i contesti: scuole, asili, famiglie, istituti di assistenza e centri per minori. È il secondo del sud-est asiatico a farlo, dopo le Filippine. La legge vieta non solo gesti violenti come schiaffi, ...

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Regno Unito, 873 milioni di aiuti all’Ucraina

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Oggi il Regno Unito ha inviato all’Ucraina un pagamento di 752 milioni di sterline (circa 873 milioni di euro) attraverso il programma di prestiti straordinari per l’accelerazione delle entrate. Il finanziamento risulta il secondo pagamento erogato tramite la piattaforma, finanziata dai profitti derivanti da asset sovrani russi sanzionati nell’UE, e fa parte di un progetto di prestito che impegnerà il Regno Unito per 2,26 miliardi di sterline (oltre 2,58 miliardi di euro). Esso costituisce il contributo del Regno Unito al programma di prestiti straordinari creato su iniziativa del G7, che prevede l’erogazione di un totale di 50 miliardi di dollari.

È stato pubblicato il primo elenco ufficiale delle strutture abortive in Italia

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L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha pubblicato l’elenco ufficiale delle strutture pubbliche o convenzionate dove è possibile praticare l’aborto (IVG, interruzione volontaria di gravidanza), anche in forma farmacologica, in Italia. Fino ad ora gli elenchi esistenti erano resi disponibili solamente dalle organizzazioni e associazioni che si occupano di tutela del diritto all’aborto: è la prima volta in cui una lista ufficiale viene resa pubblica da quando l’accesso all’aborto ha iniziato a tutti gli effetti ad essere un diritto tutelato dalla legge, nel 1978. L’elenco manca tuttavia di un dato fondamentale per comprendere su che scala il diritto all’aborto sia effettivamente tutelato: quello sul totale dei medici obiettori di coscienza presenti in ciascuna struttura. Serena Donati, responsabile scientifica del Sistema di Sorveglianza Epidemiologica dell’IVG presso l’Istituto Superiore di Sanità, ha dichiarato in un’intervista che questi verranno aggiunti successivamente, senza tuttavia specificare quando.

«L’ISS ha già trasmesso al ministero la sua parte della relazione 2023, per cui dovrebbero essere prossimi» ha spiegato Donati, intervistata dal quotidiano Domani. Fino a che questo dato non sarà disponibile, resterà difficile capire in quante delle strutture indicate è effettivamente possibile accedere alla IVG. L’obiezione di coscienza rimane infatti il motivo principale per il quale le donne spesso hanno difficoltà ad accedere alla procedura, teoricamente garantita dalla legge. Secondo l’ultima Relazione del governo sullo stato di applicazione della legge 194 in Italia (i cui dati, tutt’altro che attuali, risalgono al 2022), vi sono Regioni quali il Molise e la Sicilia dove il tasso di personale obiettore di coscienza raggiunge rispettivamente il 90,9% e l’81,5%. In Valle d’Aosta e nella P.A. di Trento, dove si registrano le percentuali più basse in tal senso, il dato riguarda in ogni caso rispettivamente un quarto e quasi un terzo del personale sanitario (il 25% e il 31,8%).

Sul fronte politico, tuttavia, non sono mancate da quando è in carica il governo Meloni misure che più che a garantire l’accesso all’aborto legale come previsto dalla legge paiono orientate a facilitare l’attività dei gruppi politici e religiosi che vi si oppongono. Grazie, ad esempio, ai soldi prelevati dai fondi del PNRR destinati alla sanità, è ora permesso ai gruppi antiabortisti di organizzare interventi all’interno dei consultori, al fine di dissuadere le donne dall’accedere all’IVG. Iniziative in questo senso si sono registrate anche in alcune regione, come in Piemonte, dove la giunta ha messo a disposizione dei gruppi anti-abortisti un ingente quantitativo di fondi (un milione di euro) per la realizzazione del cosiddetto progetto Vita Nascente, volto alla “promozione del valore sociale della maternità”, al “sostegno delle gestanti e/o neomamme” e alla “tutela della vita nascente”. Fondi pubblici messi nelle mani di gruppi privati, insomma, che chiedono la revisione, se non la completa abolizione, della legge 194.

A fronte di ciò, va sottolineato come criminalizzare o rendere impossibile l’accesso alla pratica dell’aborto non comporti il fatto che le donne vi rinuncino. Secondo gli ultimi dati disponibili del ministero della Salute, nel periodo tra il 2014 e il 2016 il numero stimato di aborti clandestini si aggirava tra i 10 mila e i 13 mila casi. Secondo lo stesso Osservatorio Permanente sull’Aborto, composto anche da organizzazioni anti-abortiste e cattoliche, la pratica degli aborti clandestini è in crescita negli ultimi anni. Con tutti i rischi, anche gravi, che questo comporta per la salute delle donne.

Yemen, Houthi: “Almeno sei morti e 26 feriti per attacchi USA”

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Almeno sei persone sarebbero state uccise e altre 26 ferite nella notte a causa di una serie di attacchi aerei statunitensi vicino alla capitale dello Yemen controllata dai ribelli Houthi. Lo hanno affermato oggi proprio gli Houthi, sostenendo di aver abbattuto un altro drone americano, un MQ-9 Reaper. Gli attacchi sarebbero il frutto del rafforzamento della campagna degli USA contro i ribelli yemeniti per i loro attacchi alle navi sulle rotte commerciali nelle acque del Medio Oriente, apertasi lo scorso 15 marzo. Il Comando centrale dell’esercito statunitense non ha riconosciuto gli attacchi.

Come sono andate realmente le cose durante gli “scontri” al corteo per Gaza

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Sabato 12 aprile, a Milano, si è tenuta la manifestazione nazionale per la Palestina. A meta quasi raggiunta, la situazione è degenerata in una carica della polizia che ha portato all’arresto di 7 persone, che sono tornate a casa con denunce per resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento, oltre che con fogli di via. Degli “scontri” si è parlato tanto, come tanto si è parlato delle scritte sui muri e delle vetrine danneggiate, ignorando completamente il fatto che andava realmente riportato: dopo oltre un anno di continue mobilitazioni, decine di migliaia di persone si sono trovate nuovamente a manifestare contro un genocidio che sta avvenendo sotto gli occhi del mondo, con il beneplacito del governo italiano. Gli stessi “scontri” che hanno monopolizzato i titoli di giornale, inoltre, sono stati raccontati in maniera faziosa e parziale. Noi de L’Indipendente eravamo presenti, e dopo esserci presi qualche manganellata possiamo raccontare cos’è successo davvero.

Le cariche della polizia sono iniziate dopo una lunga marcia pacifica, all’imbocco di Piazza Baiamonti. La fine della via che si immette nel piazzale è una strada a un’unica carreggiata attraversata su entrambe le corsie da binari del tram. Sulla sinistra risulta chiusa dagli edifici e sulla destra inizia ad aprirsi al piazzale. Poco più avanti, è presente un’isola di traffico che apre la piazza anche a sinistra. Le forze dell’ordine erano schierate sul lato destro del piazzale e, dopo l’isola di traffico, a sinistra. Subito dopo avere imboccato la Piazza, ho notato che le forze dell’ordine stavano preparandosi alla carica. Mi sono così messo a debita distanza, sul lato sinistro del piazzale, per osservare cosa succedesse. Quando l’isola di traffico è stata raggiunta da uno striscione attribuito ai soliti non meglio identificati “gruppi antagonisti”, dietro cui si trovavano solo persone intente a camminare, la polizia ha chiuso a uncino il corteo, spaccandolo a metà e caricando i manifestanti. Le forze dell’ordine hanno provato ad arrestare arbitrariamente alcuni dei presenti, sventolando gli sfollagente alla cieca. Nel frattempo, il cordone parallelo a quello che ha iniziato le cariche ha iniziato a spingere i manifestanti con gli scudi, e colpito la gente, me compreso, con calci e manganellate.

Dopo le cariche, la polizia ha chiuso in una morsa i manifestanti e si è creata una situazione caotica che vedeva da una parte schierate le forze dell’ordine e dall’altra la maggior parte dei manifestanti. A quel punto, la polizia ha iniziato a prelevare in maniera arbitraria e violenta alcuni dei presenti. Osservando questa scena, sono intervenuto in soccorso di un ragazzo accerchiato da sei agenti intenti a malmenarlo. L’assoluta casualità con cui sono state raccattate le persone da portare in Questura risulta evidente dal fatto che anche io sono stato fermato, e che sono riuscito a “liberarmi” solo spiegando la mia posizione e affermando di essere finito in mezzo alla ressa per assicurarmi che nessuno si facesse male. Quelli che i giornali di tutta Italia hanno definito “scontri” non sono stati altro che cariche ingiustificate e premeditate delle forze dell’ordine, portate avanti al solo fine di dividere il corteo in “buoni” e “cattivi” e arrestare alcuni manifestanti per la loro presunta sigla di appartenenza. Un’azione tanto pensata, quanto male eseguita, considerando la totale inefficienza nel fermare i presenti. Essa, tuttavia, arriva giusto all’indomani dell’entrata in vigore del DL Sicurezza, giustificandone agli occhi del pubblico l’insieme di misure repressive e liberticide.

Se questa narrazione del DL e dei fatti di sabato è possibile è anche grazie ai titoli di giornale che piuttosto che parlare del vero scopo della manifestazione hanno preferito isolare qualche caso di imbrattamento non attribuibile a nessuno e demonizzare i manifestanti scaricando su di loro le responsabilità delle violenze della polizia. Sabato si manifestava per denunciare i soprusi israeliani e il coinvolgimento delle istituzioni italiane nel genocidio del popolo palestinese. Tra le persone a cui la piazza del 12 aprile intendeva dare voce, c’erano anche gli oltre 210 giornalisti uccisi mentre facevano il loro lavoro. Questo non si limita a fungere da spettatore terzo delle violenze, ma significa svolgere un ruolo cruciale nella difesa dei diritti delle persone che quelle violenze le subiscono. Se (su scala minore) gli operatori dei media presenti in Piazza Baiamonti avessero fatto quello che fanno quotidianamente i giornalisti palestinesi e avessero sfruttato la loro posizione di oggettivo privilegio per evitare che la situazione degenerasse, probabilmente oggi i giornali parlerebbero di Palestina e di non di scritte sui muri.

Il calcio israeliano è rimasto senza sponsor a causa del boicottaggio

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Dopo Adidas e Puma, anche il marchio sportivo Erreà si è reso conto che tenere le distanze da Israele e dalla sua federazione calcistica (la IFA) sia la scelta più conveniente. Lo ha fatto a tempo di record, ponendo fine a un contratto mai iniziato con la federazione e assumendosi l’onere di una forte penale economica. Non è chiaro se adesso anche Reebok, nuovo sponsor designato, stia riconsiderando le sue posizioni. Ma andiamo con ordine. 

Una lunga serie di contratti interrotti

Nell’agosto 2024 Erreà, azienda di articoli sportivi con sede in provincia di Parma, aveva firmato un contratto di sponsorizzazione biennale con l’IFA, che prevedeva il suo subentro alla multinazionale tedesca Puma. Quest’ultima, nel dicembre 2023, aveva infatti confermato sottovoce la notizia che non avrebbe rinnovato la propria collaborazione con la federazione. Puma non lo ha ammesso ufficialmente, ma la sua rinuncia è il risultato di una campagna di boicottaggio internazionale durata cinque anni. L’azienda aveva sostituito nel 2019 la concorrente Adidas, che a sua volta aveva interrotto il contratto a seguito di una campagna condotta da decine di associazioni sportive palestinesi. Erreà aveva forse pensato di approfittare del crollo del valore economico della sponsorizzazione (superiore al 60%), ottenendo così anche un proprio vantaggio, ma la notizia è stata accolta con una mobilitazione locale e un appello a boicottare l’azienda. 

L’Israel Football Association include nei suoi campionati ufficiali squadre delle colonie presenti illegalmente nei territori palestinesi occupati e sostiene il loro mantenimento, contraddicendo il diritto internazionale e il regolamento della FIFA. Questo rende gli organi di governo internazionali FIFA e FIBA complici delle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. 

Reebok ha spesso mostrato vicinanza a Israele e già nel 2016, a causa delle proteste, dovette ritirare dal commercio il modello di scarpa Israel 68, prodotto per celebrare il 68° anniversario della fondazione dello Stato. Secondo i media israeliani, un nuovo accordo biennale era stato recentemente firmato con Reebok, il cui logo appariva, fino a metà marzo di quest’anno, sul sito web della IFA come nuovo sponsor. Tuttavia, l’azienda è stata messa immediatamente sotto pressione sui social e ha dovuto bloccare i commenti, riaprendoli per la prima volta a metà marzo e ritrovandosi nuovamente inondata da appelli al boicottaggio. Anche se non possiamo ancora confermare che Reebok abbia disdetto il contratto, resta il fatto che il suo logo è stato attualmente rimosso dal sito web della federazione israeliana, che attualmente sta promuovendo le prossime partite di qualificazione ai Mondiali con immagini di giocatori con indosso vecchie maglie Puma. Siamo ancora in attesa che Reebok chiarisca la sua posizione: fino ad allora, continuerà a essere oggetto di boicottaggio. 

Nel gennaio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha stabilito che Israele sta plausibilmente commettendo un genocidio a Gaza. A luglio, ha inoltre stabilito che l’occupazione militare di Israele a Gaza e in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, è illegale. Entrambe queste sentenze rendono imperativo l’obbligo di non contribuire in alcun modo ai crimini commessi da Israele. Ecco perché il movimento BDS chiede anche a Reebok di recedere immediatamente dal contratto con l’IFA, per evitare di essere complice del genocidio, dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità commessi dallo Stato israeliano. Se Reebok dovesse continuare con questa sponsorizzazione criminale, dovrà affrontare una campagna di boicottaggio internazionale, proprio come Erreà, Puma e Adidas prima di loro.

I motivi del boicottaggio sportivo

il movimento BDS è attivo sostenitore della campagna Cartellino Rosso a Israele, che vuole l’esclusione delle squadre israeliane dalle competizioni internazionali e la sospensione dagli organismi sportivi internazionali a partire dal CIO, dalla UEFA e dalla Unione Ciclistica Internazionale (UCI)

Il boicottaggio sportivo, come le altre campagne di BDS Italia, è una richiesta che arriva direttamente dalle squadre palestinesi: Israele dev’essere escluso dalle competizioni sportive internazionali finché non cesserà le sue politiche di apartheid e non rispetterà i diritti umani e il diritto internazionale in Palestina. Dall’inizio, nel 2023, del genocidio a Gaza, l’esercito israeliano ha ucciso, oltre a decine di migliaia di civili, almeno 715 atleti e calciatori, tra cui l’allenatore di calcio olimpico palestinese Hani Al Masdar. Ha distrutto o danneggiato tutte le strutture sportive palestinesi a Gaza, raso al suolo gli uffici del Comitato Olimpico Palestinese e occupato lo stadio Al Yarmouk, trasformandolo in un centro di detenzione, tortura e interrogatorio, prima di distruggerlo completamente. 

Da anni, Israele impedisce l’importazione di attrezzature e lo sviluppo di strutture sportive. Storicamente, il controllo politico militare israeliano di apartheid, con le sue regole di segregazione territoriale, impediscono la mobilità dei giocatori palestinesi e la loro partecipazione a competizioni internazionali. Questo in aggiunta alla detenzione amministrativa, al ferimento o all’assassinio mirato di atleti palestinesi da parte delle forze israeliane. 

La lunga lista di crimini comprende le storie di giovani atleti come Alaa al-Dali, nato a Gaza nel 1997. Alaa al-Dali ha cominciato col ciclismo agonistico a 15 anni, vincendo diversi premi a livello locale e arrivando a qualificarsi per i Giochi di Jakarta del 2018. Tra il 2018 e il 2019 prese parte alla Grande Marcia del Ritorno, protestando pacificamente perché Israele negava, a lui e a molti altri atleti, il visto per partecipare alle gare internazionali. Durante la manifestazione un cecchino israeliano gli sparò, colpendolo alla gamba destra e pregiudicando per sempre il suo futuro di atleta. 

Oggi, la rimozione di Israele dalle gare sportive è un dovere politico reso ancora più imprescindibile a causa del genocidio in corso a Gaza e, come conseguenza, delle sentenze della Corte Penale Internazionale. 

Il caso calcistico non è il primo episodio in cui BDS Italia lancia una campagna di boicottaggio in ambito sportivo: negli anni sono state diverse le mobilitazioni contro la normalizzazione dei rapporti con lo Stato israeliano attraverso lo sport-washing. Nel 2013 una campagna, lanciata dagli sportivi e dalle sportive palestinesi, chiedeva alla UEFA di rinunciare alla scelta di Israele come Stato per ospitare la Coppa UEFA under 21. Già in quest’occasione sono stati centinaia i tifosi che hanno affisso striscioni negli stadi e le squadre popolari in tutto il mondo che si sono unite alla protesta. 

Successivamente in Italia, ogni anno, si sono viste ancora intense partecipazioni alle piazze chiamate per protestare contro la presenza della squadra israeliana al Giro d’Italia e al Tour de France. Durante le Olimpiadi 2024, in Francia, BDS ha portato avanti una campagna per chiedere il rispetto della Convenzione Internazionale contro l’apartheid nello sport, che sancisce l’obbligo di «intraprendere tutte le azioni appropriate per garantire l’espulsione di un Paese che pratica l’apartheid dagli organismi sportivi internazionali e regionali». 

Così come è avvenuto per il Sudafrica, formalmente espulso dal CIO nel 1970 per le sue pratiche di apartheid, si chiede a gran voce che ciò avvenga anche per lo Stato di Israele. Nel frattempo, il movimento BDS è attivo sostenitore della campagna Cartellino Rosso a Israele, che vuole l’esclusione delle squadre israeliane dalle competizioni internazionali e la sospensione dagli organismi sportivi internazionali a partire dal CIO, dalla UEFA e dalla Unione Ciclistica Internazionale (UCI), mostrando di essere coerenti con i loro stessi statuti e codici etici.

Firenze, crollo cantiere Esselunga: 3 misure cautelari

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Tre misure cautelari sono state disposte dal Giudice delle Indagini Preliminari di Firenze nei confronti di altrettanti indagati nel quadro dell’inchiesta incentrata sul crollo del cantiere del supermercato Esselunga in via Mariti, avvenuto il 16 febbraio del 2024, che provocò la morte di 5 persone (tutti operai). Gli arresti domiciliari sono stati disposti per il legale rappresentante della “Rdb.Ita” Alfonso D’Eugenio, mentre è scattata l’interdizione – rispettivamente per nove mesi e sei mesi – per i due ingegneri Carlo Melchiorre e Marco Passaleva.