La Turchia ha rimosso un altro sindaco provinciale filo-curdo accusandolo di legami con il terrorismo e sostituendolo con un un funzionario statale. A dare la notizia è lo stesso Ministero degli Interni turco. Di preciso, a venire destituito è Abdullah Zeydan, membro del partito DEM e sindaco della provincia orientale di Van. Quello di Abdullah Zeydan risulta il decimo caso di arresto e destituzione di un sindaco dell’opposizione con accuse legate al terrorismo. I politici dell’opposizione, inoltre, hanno dovuto affrontare una serie di indagini legali, detenzioni e arresti in quello che in tanti ritengono uno sforzo del governo per mettere a tacere il dissenso e reprimere il popolo curdo.
Israele ha rilasciato 369 palestinesi, il numero più alto dall’inizio della tregua
Sono giunti a destinazione i pullman con a bordo decine di prigionieri palestinesi, nell’ambito dello scambio che prevedeva il rientro del maggior numero di detenuti dall’inizio della tregua. Tra le persone liberate, 36 scontavano l’ergastolo nelle carceri israeliane, mentre altri 333 erano stati rapiti dall’esercito dello Stato ebraico a partire dal 7 ottobre 2023. Sono dunque 369 i palestinesi che possono tornare nelle proprie case, che si aggiungono agli altri 766 rientrati in occasione dei precedenti scambi, per un totale di 1.135 prigionieri liberati. Malgrado gli ormai consueti tentativi di smorzare l’entusiasmo da parte dell’esercito israeliano, in rete iniziano a circolare i primi video di festeggiamenti da parte della popolazione palestinese. La liberazione dei prigionieri è stata in bilico fino a giovedì 13 febbraio, quando Hamas, in seguito a una serie di colloqui con gli alleati, ha annunciato che avrebbe dato seguito al rilascio degli ostaggi israeliani. Circa una settimana fa, lo stesso gruppo palestinese aveva infatti dichiarato che avrebbe trattenuto gli ostaggi a causa delle «continue violazioni degli accordi» da parte di Israele; del resto, oggi stesso, sabato 15 febbraio, a Khan Younis, un ragazzo sarebbe stato gravemente ferito dagli spari dell’esercito di Tel Aviv.
I pullman di prigionieri sono partiti nella mattina di oggi e sono arrivati a destinazione in tarda mattinata. Il viaggio prevedeva due convogli: uno diretto a Ramallah, con a bordo 36 ergastolani, e un secondo, composto – come mostrano i video condivisi dai media arabi – da almeno una dozzina di veicoli, diretto a Khan Younis. Dei 36 ex detenuti a vita, 24 verranno deportati in Egitto, mentre 12 dovrebbero rimanere in Cisgiordania; almeno 4 di essi sono stati presi in carico dalla Mezzaluna Rossa Palestinese a causa delle loro condizioni di salute precarie. Molti dei 333 prigionieri arrivati nella Striscia di Gaza, invece, sono stati ricevuti dalla Croce Rossa per ricevere le cure mediche necessarie, che verranno loro fornite presso l’ospedale Europeo di Khan Younis. Il più anziano di questo sesto scambio è Musa Nawawra, di Betlemme: Musa ha 71 anni, di cui gli ultimi 28 passati in carcere, dove scontava due ergastoli e una pena di 21 anni. In cambio dei 369 palestinesi, Hamas ha rilasciato 3 israeliani.
Sin dalla mattina, malgrado i tentativi di impedirlo da parte dell’esercito israeliano, il popolo palestinese si è radunato per le strade per festeggiare il rientro dei propri cari. Sul web circolano video che ritraggono le forze israeliane intente a sparare lacrimogeni vicino alla casa del detenuto palestinese Nael Obeid ad Al-Isawiya, nella Gerusalemme occupata, per impedire lo svolgimento delle cerimonie di benvenuto organizzate. L’esercito avrebbe inoltre invaso le case e attaccato le famiglie dei prigionieri Hafez Sharay’a, Abdel-Rahman Miqdad, Mazen al-Qadi e dello stesso Musa Nawawra. Oltre a ciò, i media arabi riportano che l’esercito israeliano avrebbe aperto il fuoco nella città di Khuza’a, a est di Khan Younis, ferendo gravemente un «giovane uomo». In generale, dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, sarebbero state registrate violazioni israeliane quasi ogni giorno, a esclusione di qualche sabato che coincideva con lo scambio di prigionieri, e le autorità palestinesi parlano di circa 100 morti dal 19 gennaio.
In occasione della liberazione dei prigionieri, Hamas ha organizzato un vistoso ricevimento per i 333 detenuti che dovevano rientrare nella Striscia, per lanciare un chiaro messaggio a Israele e ai suoi alleati: «Il rilascio del sesto gruppo di prigionieri nemici è la conferma che non c’è modo di liberarli se non attraverso negoziati e l’impegno a rispettare i requisiti dell’accordo di cessate il fuoco», ha scritto Hamas, in riferimento alle accuse di ripetuta violazione degli accordi che in un primo momento avevano fatto dubitare che lo scambio odierno sarebbe potuto avvenire. «Non c’è migrazione se non verso Gerusalemme», ha aggiunto il gruppo, in risposta «a tutti gli appelli allo sfollamento e alla liquidazione lanciati da Trump e da coloro che sostengono il suo percorso contro le forze del colonialismo e dell’occupazione». In questo passaggio, il riferimento è al piano di deportazione avanzato da Trump, che ha proposto uno sfollamento di massa dei palestinesi dalla Striscia per costruire la nuova «Riviera del Medio Oriente», in un vero e proprio «investimento immobiliare». Hamas, inoltre, ha rilanciato la propria volontà ad aprire il tavolo delle trattative per concordare i dettagli della seconda fase della tregua.
Nel frattempo, con la stessa benedizione di Trump, continuano le aggressioni dei coloni e l’operazione “Muro di Ferro” in Cisgiordania. Nel governatorato di Nablus si sono registrati scontri, specialmente nella città di Beita; a Betlemme i coloni hanno dato fuoco a due veicoli e ferito, riporta la Mezzaluna Rossa, 16 palestinesi durante un attacco al villaggio di Al-Minya; a Tulkarem continuano le aggressioni e gli arresti presso il campo profughi; a Jenin l’esercito israeliano ha sparato e arrestato un giovane accusandolo di portare una cintura esplosiva, per poi negare le sue stesse affermazioni. Sempre a Jenin, l’assedio israeliano va avanti da 25 giorni: l’esercito ha distrutto quasi 500 unità abitative, ucciso circa 50 persone, privato il 35% dei residenti di acqua, portato avanti 153 raid verso abitazioni e 14 attacchi aerei, arrestato almeno 150 persone. Proprio riguardo agli arresti di Jenin e Tulkarem, va sottolineato che, malgrado Israele stia liberando centinaia di prigionieri, con la scusa dell’operazione Muro di Ferro, ne sta arrestando altrettanti. Secondo gli stessi media israeliani, dieci giorni fa, in Cisgiordania, l’esercito aveva arrestato almeno 380 palestinesi. Dal 7 ottobre, mentre a Gaza si susseguivano stragi, in Cisgiordania venivano condotti raid per arrestare i cittadini; le ultime stime ufficiali parlano di oltre 10.000 arresti dall’avvio dell’operazione “Spade di Ferro”, dello stesso 7 ottobre 2023.
[di Dario Lucisano]
La repubblica di Sanremo
Sto seguendo Roberto Benigni al Festival di Sanremo. Sono colpito delle sue battute che me lo fanno ammirare, su Bella ciao e Giorgia, quale?… che durerà nel tempo e su Trump che vorrebbe la Liguria…
Bello lo spirito toscano che prende l’attualità, i suoi protagonisti e li getta nell’arena. Questo sarebbe lo spirito antisistema, carnevalesco e sovversivo che non risparmia i potenti, che ridicolizza le loro ambizioni.
Una storia antica nel nostro Occidente, con il potere imperiale di Roma il quale favoriva addirittura le «libertates decembris» che poi avrebbero generato il Carnevale.
Un periodo senza freni inibitori, amministrato transitoriamente dalla sfrenatezza popolaresca, dal senso provocatorio del ridicolo.
Ma Benigni va verso la chiusura e scivola nella piaggeria che non compete al suo ruolo ma che forse è dovuta alle sue appartenenze. Eccolo che ricorda due anni fa il suo colloquio lì all’Ariston col Presidente della Repubblica. Ed ecco che si riaffaccia la magia di basso profilo.
L’attore e il comico, l’intelligente e l’arguto, dopo aver stigmatizzato che agli italiani piace salire sul carro del vincitore, si estingue blaterando lodi per il nostro Presidente della Repubblica.
La sinistra banale e stonata eccola qui. Purtroppo un attore che, pur avendo le sue simpatie e antipatie, dovrebbe smarcarsi per etica, per definizione costitutiva del suo status di artista, lontano da tutti e cattivo con tutti cede a Cesare.
La logica perversa degli schieramenti e dei loro impiegati si prende un’altra volta i suoi spazi.
Mi viene in mente il cinquecentesco Bertoldo a cui scappa un peto dinanzi al sovrano. «Maestà io sono un villano, se facessi diverso sarei un re».
[di Gian Paolo Caprettini]
Serbia, non si fermano le proteste: migliaia di studenti in piazza
Stop al Patto di Stabilità per aumentare le spese in armi: l’UE cede al volere di Trump
Ieri, venerdì 14 febbraio, è iniziata la 61ª conferenza di Monaco sui temi di sicurezza e difesa. In occasione del suo discorso davanti ai rappresentanti europei, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha annunciato di voler introdurre una clausola di salvaguardia al Patto di Stabilità, che permetta ai Paesi di aumentare i propri investimenti nella difesa. Una simile modifica era stata introdotta anche per far fronte alla pandemia e «conferire maggiore potere fiscale agli Stati membri» in un momento di «straordinaria crisi». «Credo che ci troviamo ora in un altro periodo di crisi che giustifica un approccio simile», ha detto von der Leyen introducendo la misura. L’annuncio della presidente della Commissione UE segue le dichiarazioni del neoinsediato presidente Trump, che ha spesso detto di voler costringere l’Europa a dedicare più soldi alla NATO, nonché l’annuncio di un possibile tavolo di pace per la guerra in Ucraina, in cui l’Europa è stata esclusa dalle trattative.
«Credo che, quando si tratta di sicurezza europea, l’Europa debba fare di più». Inizia così la parte del discorso di von der Leyen, in cui la presidente della Commissione annuncia di voler sciogliere le briglie del Patto di Stabilità per permettere più investimenti nel settore della difesa. «Attualmente, l’UE27 spende circa il 2% del PIL per la difesa», ha detto von der Leyen, sottolineando come, da prima della guerra in Ucraina a oggi, «la nostra spesa per la difesa è passata da poco più di 200 miliardi di euro a oltre 320 miliardi di euro». Tuttavia, non basta: secondo la presidente, servirebbe un «approccio coraggioso» per riuscire a passare da una spesa pari a poco meno del 2% del PIL a una del 3% del PIL. Per farlo, oltre a introdurre deroghe al Patto di Stabilità, la presidente intende proporre un pacchetto più ampio di strumenti per affrontare «la situazione specifica di ciascuno dei nostri Stati membri», promuovere più investimenti in progetti di difesa comuni e intensificare «il nostro lavoro per accelerare il processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea».
L’annuncio di von der Leyen arriva in un contesto di sfondo particolarmente delicato. Da tempo, l’UE sta aumentando le proprie spese e i propri investimenti per la difesa, come del resto richiesto dal cosiddetto “Rapporto Draghi” sulla competitività europea. Il presidente degli USA, Trump, ha più volte minacciato l’uscita del Paese dalla NATO se gli Stati europei non avessero aumentato la propria spesa per la difesa, arrivando addirittura a suggerire un incremento degli investimenti dedicati al settore fino al 5% del PIL. Recentemente, inoltre, Trump ha iniziato i colloqui con Putin e Zelensky per parlare di una futura pace nella regione, escludendo tuttavia l’UE dai negoziati. La decisione del magnate non è stata gradita dai rappresentanti comunitari, e in molti hanno dichiarato a gran voce che non sarebbe stato possibile un tavolo di pace per l’Ucraina senza la presenza dell’UE.
Il Patto di Stabilità prevede che il deficit annuale non superi il 3% del PIL e che il rapporto tra debito totale e PIL non superi il 60%. Nel caso in cui si verificasse una delle due condizioni, l’UE si riserva la facoltà di aprire una procedura di infrazione nei confronti del Paese che non la rispetta, come del resto è successo all’Italia. Questa prevede di fatto un ritorno all’austerità e al taglio della spesa pubblica per regolare il debito. La modifica che von der Leyen intende introdurvi era già stata avanzata in era Covid. Essa permette di superare i limiti che il Patto di Stabilità imporrebbe per consentire ai Paesi di aumentare le proprie spese in un determinato ambito. Von der Leyen ha fornito pochi dettagli aggiuntivi, ma dal suo discorso pare evidente che a venire coinvolti sarebbero solo gli investimenti nel settore bellico.
La conferenza di Monaco è iniziata ieri e si concluderà domani, domenica 16 febbraio. La giornata di ieri si è aperta con diversi incontri tra ministri, come per esempio il vertice degli Esteri tra il “Quintetto” (Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito), i partner arabi (Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti) e l’Alta Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri, Kaja Kallas. Secondo quanto riportato nel programma, la prima giornata era dedicata a un «focus sulle sfide alla sicurezza globale, tra cui la governance globale, la resilienza democratica, la sicurezza climatica». Domani si parlerà della situazione geopolitica, dei conflitti e delle crisi regionali, e del «partenariato transatlantico». La conferenza si concluderà domenica con le discussioni sul ruolo dell’Europa nel mondo.
[di Dario Lucisano]
Hamas ha liberato altri tre ostaggi israeliani
Il gruppo palestinese Hamas ha rilasciato tre ostaggi israeliani a Khan Younis, nel Sud di Gaza. Si tratta del russo Alexander Trufanov, Sagi Dekel Chen, che è anche cittadino statunitense, e Yair Horn, catturati nel kibbutz di Nir Ozil 7 ottobre. È il 6°gruppo di ostaggi rilasciato dal gruppo palestinese. La liberazione è avvenuta su un palco appositamente allestito e decorato con le bandiere di Hamas. Gli ostaggi sono stati consegnati alla Croce Rossa, che a sua volta li consegnerà ai militari delle IDF. In cambio del rilascio degli israeliani, lo Stato Ebraico libererà nella giornata di oggi 369 prigionieri palestinesi.
Il 2024 è stato un anno nero per la produzione industriale italiana
A dicembre si è registrato un netto crollo della produzione industriale italiana, con una eccezione solo per quanto riguarda il comparto alimentare. Secondo i dati Istat, nel mese di dicembre si è registrato un calo del 7,1% su base annua (solo ai tempi del Covid si erano registrati risultati peggiori) e del 3,1% rispetto a novembre. A trainare il crollo della produttività industriale sono, in particolare, due settori: quello automobilistico e quello della moda. Salgono così a 23 i mesi di caduta consecutiva nel dato tendenziale, secondo quanto riporta Il Sole 24 ore. In termini di incassi, la diminuzione della produttività è costata al settore manifatturiero ben 42 miliardi di euro e dal lato produttivo si traduce in una frenata media del 3,5%, secondo arretramento annuo consecutivo dopo il – 2% del 2023. «Nell’ambito della manifattura, solo le industrie alimentari, bevande e tabacco sono in crescita rispetto all’anno precedente, mentre le flessioni più marcate si rilevano per industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori e fabbricazione di mezzi di trasporto», ha commentato l’Istat.
Secondo l’ufficio di Statistica italiana, a fine 2024 l’utilizzo della capacità produttiva si è ridotta al di sotto del 75%, eguagliando solo quanto successo in pieno periodo Covid, durante il terzo trimestre del 2020. Inoltre, oltre un quarto delle aziende ritiene insufficiente la domanda: si tratta di livelli doppi rispetto alle medie storiche di questo indicatore. La domanda è debole anche dal lato degli investimenti: il mercato interno dei produttori di macchinari, ad esempio, è in riduzione del 17,4% nelle stime Federmacchine, pari a un calo di oltre cinque miliardi nel 2024. A trainare il crollo produttivo sono soprattutto il settore auto e moda: per quanto riguarda il primo, l’attività di produzione risulta quasi dimezzata (- 43%), mentre relativamente alla seconda, il tessile abbigliamento ha registrato una frenata del 18%. In calo anche il settore metallurgico, insieme a macchinari e legno-carta che registrano una diminuzione di oltre il 9%. Tra i settori manifatturieri in senso stretto non si registra alcun dato positivo. A dicembre solo i comparti dell’energia elettrica e dell’attività estrattiva hanno segnato dati positivi.
A frenare la produttività italiana è in particolare la recessione dell’economia tedesca, che genera effetti a catena sugli acquisti delle merci italiane. Ciò ha provocato 3,6 miliardi di perdite in export nei primi 11 mesi del 2024. Si tratta del risultato della riduzione delle importazioni tedesche dal mondo, in calo del 2,8% nel 2024, così come in calo di un punto è stato l’export di Berlino. Il Pil tedesco ha chiuso il 2024 con il segno meno per il secondo anno consecutivo, esito di un’economia ferma in termini produttivi, su cui pesa soprattutto la crisi dell’auto. Le difficoltà in cui versa il marchio storico Volkswagen possono essere considerate il simbolo della sofferenza dell’economia teutonica. La Germania ha visto un declino accelerato della sua economia soprattutto in seguito all’interruzione dei rapporti energetici con la Russa, da cui importava la metà del suo fabbisogno energetico a prezzi competitivi. Le pressioni USA in tal senso e la sostituzione delle forniture russe con il più costoso GNL (gas naturale liquefatto) americano, insieme alla concorrenza asiatica e americana e agli alti costi della transizione all’elettrico, hanno decretato il crollo della più grande economia europea, con inevitabili conseguenze anche per gli altri Paesi. L’Italia, in particolare, che intrattiene rapporti economici e commerciali con le industrie tedesche, non ha tardato a sentire gli effetti della contrazione tedesca, registrando a sua volta un duro crollo della produttività.
[di Giorgia Audiello]
Repubblica Democratica del Congo, ribelli conquistano aeroporto Bukavu
I ribelli del M23, milizia appoggiata dal Ruanda, hanno preso il controllo dell’aeroporto di Bukavu, la seconda città più importante della Repubblica Democratica del Congo. La chiusura della struttura sarebbe stata confermata a Reuters da due dipendenti dell’aeroporto. Questa rappresenta l’ultima conquista dall’inizio dell’offensiva avviata nei primi giorni di quest’anno e che ha già portato il gruppo alla conquista della città di Goma, nell’est del Paese. Ora, i ribelli sembrano puntare direttamente sulla città di Bukavu. Fonti della società civile hanno riferito a Reuters che la città “non può reggere”, in caso di un simile attacco.