domenica 6 Luglio 2025
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Turchia, rimosso un sindaco eletto pro-curdo

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La Turchia ha rimosso un altro sindaco provinciale filo-curdo accusandolo di legami con il terrorismo e sostituendolo con un un funzionario statale. A dare la notizia è lo stesso Ministero degli Interni turco. Di preciso, a venire destituito è Abdullah Zeydan, membro del partito DEM e sindaco della provincia orientale di Van. Quello di Abdullah Zeydan risulta il decimo caso di arresto e destituzione di un sindaco dell’opposizione con accuse legate al terrorismo. I politici dell’opposizione, inoltre, hanno dovuto affrontare una serie di indagini legali, detenzioni e arresti in quello che in tanti ritengono uno sforzo del governo per mettere a tacere il dissenso e reprimere il popolo curdo.

Israele ha rilasciato 369 palestinesi, il numero più alto dall’inizio della tregua

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Sono giunti a destinazione i pullman con a bordo decine di prigionieri palestinesi, nell’ambito dello scambio che prevedeva il rientro del maggior numero di detenuti dall’inizio della tregua. Tra le persone liberate, 36 scontavano l’ergastolo nelle carceri israeliane, mentre altri 333 erano stati rapiti dall’esercito dello Stato ebraico a partire dal 7 ottobre 2023. Sono dunque 369 i palestinesi che possono tornare nelle proprie case, che si aggiungono agli altri 766 rientrati in occasione dei precedenti scambi, per un totale di 1.135 prigionieri liberati. Malgrado gli ormai consueti tentativi di smorzare l’entusiasmo da parte dell’esercito israeliano, in rete iniziano a circolare i primi video di festeggiamenti da parte della popolazione palestinese. La liberazione dei prigionieri è stata in bilico fino a giovedì 13 febbraio, quando Hamas, in seguito a una serie di colloqui con gli alleati, ha annunciato che avrebbe dato seguito al rilascio degli ostaggi israeliani. Circa una settimana fa, lo stesso gruppo palestinese aveva infatti dichiarato che avrebbe trattenuto gli ostaggi a causa delle «continue violazioni degli accordi» da parte di Israele; del resto, oggi stesso, sabato 15 febbraio, a Khan Younis, un ragazzo sarebbe stato gravemente ferito dagli spari dell’esercito di Tel Aviv.

I pullman di prigionieri sono partiti nella mattina di oggi e sono arrivati a destinazione in tarda mattinata. Il viaggio prevedeva due convogli: uno diretto a Ramallah, con a bordo 36 ergastolani, e un secondo, composto – come mostrano i video condivisi dai media arabi – da almeno una dozzina di veicoli, diretto a Khan Younis. Dei 36 ex detenuti a vita, 24 verranno deportati in Egitto, mentre 12 dovrebbero rimanere in Cisgiordania; almeno 4 di essi sono stati presi in carico dalla Mezzaluna Rossa Palestinese a causa delle loro condizioni di salute precarie. Molti dei 333 prigionieri arrivati nella Striscia di Gaza, invece, sono stati ricevuti dalla Croce Rossa per ricevere le cure mediche necessarie, che verranno loro fornite presso l’ospedale Europeo di Khan Younis. Il più anziano di questo sesto scambio è Musa Nawawra, di Betlemme: Musa ha 71 anni, di cui gli ultimi 28 passati in carcere, dove scontava due ergastoli e una pena di 21 anni. In cambio dei 369 palestinesi, Hamas ha rilasciato 3 israeliani.

Sin dalla mattina, malgrado i tentativi di impedirlo da parte dell’esercito israeliano, il popolo palestinese si è radunato per le strade per festeggiare il rientro dei propri cari. Sul web circolano video che ritraggono le forze israeliane intente a sparare lacrimogeni vicino alla casa del detenuto palestinese Nael Obeid ad Al-Isawiya, nella Gerusalemme occupata, per impedire lo svolgimento delle cerimonie di benvenuto organizzate. L’esercito avrebbe inoltre invaso le case e attaccato le famiglie dei prigionieri Hafez Sharay’a, Abdel-Rahman Miqdad, Mazen al-Qadi e dello stesso Musa Nawawra. Oltre a ciò, i media arabi riportano che l’esercito israeliano avrebbe aperto il fuoco nella città di Khuza’a, a est di Khan Younis, ferendo gravemente un «giovane uomo». In generale, dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, sarebbero state registrate violazioni israeliane quasi ogni giorno, a esclusione di qualche sabato che coincideva con lo scambio di prigionieri, e le autorità palestinesi parlano di circa 100 morti dal 19 gennaio.

In occasione della liberazione dei prigionieri, Hamas ha organizzato un vistoso ricevimento per i 333 detenuti che dovevano rientrare nella Striscia, per lanciare un chiaro messaggio a Israele e ai suoi alleati: «Il rilascio del sesto gruppo di prigionieri nemici è la conferma che non c’è modo di liberarli se non attraverso negoziati e l’impegno a rispettare i requisiti dell’accordo di cessate il fuoco», ha scritto Hamas, in riferimento alle accuse di ripetuta violazione degli accordi che in un primo momento avevano fatto dubitare che lo scambio odierno sarebbe potuto avvenire. «Non c’è migrazione se non verso Gerusalemme», ha aggiunto il gruppo, in risposta «a tutti gli appelli allo sfollamento e alla liquidazione lanciati da Trump e da coloro che sostengono il suo percorso contro le forze del colonialismo e dell’occupazione». In questo passaggio, il riferimento è al piano di deportazione avanzato da Trump, che ha proposto uno sfollamento di massa dei palestinesi dalla Striscia per costruire la nuova «Riviera del Medio Oriente», in un vero e proprio «investimento immobiliare». Hamas, inoltre, ha rilanciato la propria volontà ad aprire il tavolo delle trattative per concordare i dettagli della seconda fase della tregua.

Nel frattempo, con la stessa benedizione di Trump, continuano le aggressioni dei coloni e l’operazioneMuro di Ferro” in Cisgiordania. Nel governatorato di Nablus si sono registrati scontri, specialmente nella città di Beita; a Betlemme i coloni hanno dato fuoco a due veicoli e ferito, riporta la Mezzaluna Rossa, 16 palestinesi durante un attacco al villaggio di Al-Minya; a Tulkarem continuano le aggressioni e gli arresti presso il campo profughi; a Jenin l’esercito israeliano ha sparato e arrestato un giovane accusandolo di portare una cintura esplosiva, per poi negare le sue stesse affermazioni. Sempre a Jenin, l’assedio israeliano va avanti da 25 giorni: l’esercito ha distrutto quasi 500 unità abitative, ucciso circa 50 persone, privato il 35% dei residenti di acqua, portato avanti 153 raid verso abitazioni e 14 attacchi aerei, arrestato almeno 150 persone. Proprio riguardo agli arresti di Jenin e Tulkarem, va sottolineato che, malgrado Israele stia liberando centinaia di prigionieri, con la scusa dell’operazione Muro di Ferro, ne sta arrestando altrettanti. Secondo gli stessi media israeliani, dieci giorni fa, in Cisgiordania, l’esercito aveva arrestato almeno 380 palestinesi. Dal 7 ottobre, mentre a Gaza si susseguivano stragi, in Cisgiordania venivano condotti raid per arrestare i cittadini; le ultime stime ufficiali parlano di oltre 10.000 arresti dall’avvio dell’operazione “Spade di Ferro”, dello stesso 7 ottobre 2023.

[di Dario Lucisano]

La repubblica di Sanremo

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Sto seguendo Roberto Benigni al Festival di Sanremo. Sono colpito delle sue battute che me lo fanno ammirare, su Bella ciao e Giorgia, quale?… che durerà nel tempo e su Trump che vorrebbe la Liguria…

Bello lo spirito toscano che prende l’attualità, i suoi protagonisti e li getta nell’arena. Questo sarebbe lo spirito antisistema, carnevalesco e sovversivo che non risparmia i potenti, che ridicolizza le loro ambizioni.

Una storia antica nel nostro Occidente, con il potere imperiale di Roma il quale favoriva addirittura le «libertates decembris» che poi avrebbero generato il Carnevale.

Un periodo senza freni inibitori, amministrato transitoriamente dalla sfrenatezza popolaresca, dal senso provocatorio del ridicolo.

Ma Benigni va verso la chiusura e scivola nella piaggeria che non compete al suo ruolo ma che forse è dovuta alle sue appartenenze. Eccolo che ricorda due anni fa  il suo colloquio lì all’Ariston col Presidente della Repubblica. Ed ecco che si riaffaccia la magia di basso profilo.

L’attore e il comico, l’intelligente e l’arguto, dopo aver stigmatizzato che agli italiani piace salire sul carro del vincitore, si estingue blaterando lodi per il nostro Presidente della Repubblica.

La sinistra banale e stonata eccola qui. Purtroppo un attore che, pur avendo le sue simpatie e antipatie, dovrebbe smarcarsi per etica, per definizione costitutiva del suo status di artista, lontano da tutti e cattivo con tutti cede a Cesare.

La logica perversa degli schieramenti e dei loro impiegati si prende un’altra volta i suoi spazi.

Mi viene in mente il cinquecentesco Bertoldo a cui scappa un peto dinanzi al sovrano. «Maestà io sono un villano, se facessi diverso sarei un re».

[di Gian Paolo Caprettini]

Serbia, non si fermano le proteste: migliaia di studenti in piazza

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Migliaia di studenti serbi si sono riversati stamane nella città di Kragujevac, nell’area centrale del Paese, per una delle più importanti manifestazioni di protesta contro il governo dopo il crollo della pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad, che il 1° novembre 2024 ha causato 15 morti e due feriti gravi. Da quel giorno, in tutto lo Stato balcanico si sono diffuse manifestazioni di massa contro la corruzione. Gli studenti sono arrivati ​​a Kragujevac da tutta la Serbia, in autobus e persino a piedi dalla capitale Belgrado, a circa 140 km di distanza, suonando tamburi, soffiando nei fischietti e tenendo alta la bandiera del Paese.

Stop al Patto di Stabilità per aumentare le spese in armi: l’UE cede al volere di Trump

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Ieri, venerdì 14 febbraio, è iniziata la 61ª conferenza di Monaco sui temi di sicurezza e difesa. In occasione del suo discorso davanti ai rappresentanti europei, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha annunciato di voler introdurre una clausola di salvaguardia al Patto di Stabilità, che permetta ai Paesi di aumentare i propri investimenti nella difesa. Una simile modifica era stata introdotta anche per far fronte alla pandemia e «conferire maggiore potere fiscale agli Stati membri» in un momento di «straordinaria crisi». «Credo che ci troviamo ora in un altro periodo di crisi che giustifica un approccio simile», ha detto von der Leyen introducendo la misura. L’annuncio della presidente della Commissione UE segue le dichiarazioni del neoinsediato presidente Trump, che ha spesso detto di voler costringere l’Europa a dedicare più soldi alla NATO, nonché l’annuncio di un possibile tavolo di pace per la guerra in Ucraina, in cui l’Europa è stata esclusa dalle trattative.

«Credo che, quando si tratta di sicurezza europea, l’Europa debba fare di più». Inizia così la parte del discorso di von der Leyen, in cui la presidente della Commissione annuncia di voler sciogliere le briglie del Patto di Stabilità per permettere più investimenti nel settore della difesa. «Attualmente, l’UE27 spende circa il 2% del PIL per la difesa», ha detto von der Leyen, sottolineando come, da prima della guerra in Ucraina a oggi, «la nostra spesa per la difesa è passata da poco più di 200 miliardi di euro a oltre 320 miliardi di euro». Tuttavia, non basta: secondo la presidente, servirebbe un «approccio coraggioso» per riuscire a passare da una spesa pari a poco meno del 2% del PIL a una del 3% del PIL. Per farlo, oltre a introdurre deroghe al Patto di Stabilità, la presidente intende proporre un pacchetto più ampio di strumenti per affrontare «la situazione specifica di ciascuno dei nostri Stati membri», promuovere più investimenti in progetti di difesa comuni e intensificare «il nostro lavoro per accelerare il processo di adesione dell’Ucraina all’Unione Europea».

L’annuncio di von der Leyen arriva in un contesto di sfondo particolarmente delicato. Da tempo, l’UE sta aumentando le proprie spese e i propri investimenti per la difesa, come del resto richiesto dal cosiddetto “Rapporto Draghi” sulla competitività europea. Il presidente degli USA, Trump, ha più volte minacciato l’uscita del Paese dalla NATO se gli Stati europei non avessero aumentato la propria spesa per la difesa, arrivando addirittura a suggerire un incremento degli investimenti dedicati al settore fino al 5% del PIL. Recentemente, inoltre, Trump ha iniziato i colloqui con Putin e Zelensky per parlare di una futura pace nella regione, escludendo tuttavia l’UE dai negoziati. La decisione del magnate non è stata gradita dai rappresentanti comunitari, e in molti hanno dichiarato a gran voce che non sarebbe stato possibile un tavolo di pace per l’Ucraina senza la presenza dell’UE.

Il Patto di Stabilità prevede che il deficit annuale non superi il 3% del PIL e che il rapporto tra debito totale e PIL non superi il 60%. Nel caso in cui si verificasse una delle due condizioni, l’UE si riserva la facoltà di aprire una procedura di infrazione nei confronti del Paese che non la rispetta, come del resto è successo all’Italia. Questa prevede di fatto un ritorno all’austerità e al taglio della spesa pubblica per regolare il debito. La modifica che von der Leyen intende introdurvi era già stata avanzata in era Covid. Essa permette di superare i limiti che il Patto di Stabilità imporrebbe per consentire ai Paesi di aumentare le proprie spese in un determinato ambito. Von der Leyen ha fornito pochi dettagli aggiuntivi, ma dal suo discorso pare evidente che a venire coinvolti sarebbero solo gli investimenti nel settore bellico.

La conferenza di Monaco è iniziata ieri e si concluderà domani, domenica 16 febbraio. La giornata di ieri si è aperta con diversi incontri tra ministri, come per esempio il vertice degli Esteri tra il “Quintetto” (Italia, Francia, Germania, Stati Uniti, Regno Unito), i partner arabi (Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Egitto, Emirati Arabi Uniti) e l’Alta Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri, Kaja Kallas. Secondo quanto riportato nel programma, la prima giornata era dedicata a un «focus sulle sfide alla sicurezza globale, tra cui la governance globale, la resilienza democratica, la sicurezza climatica». Domani si parlerà della situazione geopolitica, dei conflitti e delle crisi regionali, e del «partenariato transatlantico». La conferenza si concluderà domenica con le discussioni sul ruolo dell’Europa nel mondo.

[di Dario Lucisano]

Hamas ha liberato altri tre ostaggi israeliani

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Il gruppo palestinese Hamas ha rilasciato tre ostaggi israeliani a Khan Younis, nel Sud di Gaza. Si tratta del russo Alexander Trufanov, Sagi Dekel Chen, che è anche cittadino statunitense, e Yair Horn, catturati nel kibbutz di Nir Ozil 7 ottobre. È il 6°gruppo di ostaggi rilasciato dal gruppo palestinese. La liberazione è avvenuta su un palco appositamente allestito e decorato con le bandiere di Hamas. Gli ostaggi sono stati consegnati alla Croce Rossa, che a sua volta li consegnerà ai militari delle IDF. In cambio del rilascio degli israeliani, lo Stato Ebraico libererà nella giornata di oggi 369 prigionieri palestinesi.

L’agenzia Reuters ha ricevuto 9 milioni dal Pentagono per progetti di “ingegneria sociale”

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Nel periodo compreso tra il 2018 e il 2022, l’azienda Thomson Reuters Special Services LLC, proprietaria dell’agenzia di informazione Reuters, ha ricevuto oltre 9 milioni di dollari da parte del Dipartimento della Difesa (DoD) americano per non meglio specificate operazioni di ingegneria sociale su vasta scala. A denunciarlo è Elon Musk, il quale in un tweet sostiene che Reuters abbia ricevuto questi soldi dal governo degli Stati Uniti per produrre «inganno sociale su larga scala». La transazione è stata “scovata” durante le operazioni di controllo di DOGE, il Dipartimento per l’efficienza governativa che il presidente Trump ha messo in mano al multimiliardario, sui pagamenti federali effettuati negli anni passati. Dalla documentazione disponibile online si evince che il pagamento è avvenuto nel corso di 18 operazioni finanziarie, la maggior parte delle quali risalenti al periodo 2020-2022.

Va fatto notare come i pagamenti siano iniziati nel 2018, ovvero sotto la prima presidenza Trump. Il contratto è stato firmato tra il Dipartimento della Difesa e una divisione della società di contenuti e tecnologia con sede a Toronto chiamata Thomson Reuters Special Services, proprietaria di Reuters. Quest’ultima si è difesa dalle accuse dichiarando che il finanziamento dell’operazione, avvenuta con l’intervento del DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency, mente e braccio dello sviluppo tecnologico del Pentagono), era finalizzato a proteggere il governo degli Stati Uniti dall’ipotetica minaccia informatica nella quale sarebbero potute incorrere le persone se indotte a cedere le proprie informazioni sensibili.

La portavoce di DARPA, Tabatha Thompson, ha detto: «Thomson Reuters Special Services (TRSS) è stato selezionato in modo competitivo per fungere da valutatore per testare gli strumenti difensivi». Sui 18 interventi compiuti, quattro sono effettuati al 31 dicembre 2019 mentre tutti gli altri a partire dal 2020. Secondo i dati a disposizione, con l’emergenza pandemica annunciata ormai a livello mondiale da circa un mese, il 15 marzo 2020 il DoD «esercita una opzione», dando il via al periodo di maggior collaborazione remunerata, con un totale di nove operazioni nel 2020. Nel 2021 le collaborazioni sono state soltanto due mentre nel 2022 sono state tre.

Insomma, il Dipartimento della Difesa statunitense stabilisce con la TRSS un programma da 9 milioni di dollari che nel contratto è definito di «ingegneria sociale attiva e inganno sociale su larga scala» nella seconda metà del 2018, rimanendo in sordina per poco più di un anno. Con lo scoppio dell’emergenza pandemica, il programma finanziato dal DoD spicca il volo, specie nel primo anno. Anche se non conosciamo nel dettaglio la natura di tali operazioni, cccorre far presente che DARPA ha da sempre finanziato la ricerca su farmaci a mRNA tanto pubblicizzati e sponsorizzati da diversi stati occidentali durante l’emergenza Covid-19.

Uno dei diversi finanziamenti del Pentagono nel settore mRNA è avvenuto nel 2013, come riportato sul sito di Moderna, azienda produttrice che ha fatto fortuna durante l’emergenza pandemica. Il finanziamento da 25 milioni di dollari a Moderna aveva lo scopo di progettare «un modo rapido e affidabile per produrre farmaci che generano anticorpi per proteggersi da una vasta gamma di malattie infettive emergenti conosciute, sconosciute e minacce biologiche ingegneriste». Questa sovvenzione faceva parte di un programma DARPA chiamato ADEPT:PROTECT (Autonomous Diagnostics to Enable Prevention and Therapeutics: Profilact Options to Environmental and Contagious Threats), il quale aveva tre obiettivi: nuovi metodi per produrre rapidamente vaccini con maggiore potenza; nuovi strumenti per progettare cellule di mammiferi per la somministrazione mirata di farmaci e la diagnostica in vivo; nuovi metodi per conferire un’immunità quasi immediata a un individuo che utilizza anticorpi.

[di Michele Manfrin]

Il 2024 è stato un anno nero per la produzione industriale italiana

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A dicembre si è registrato un netto crollo della produzione industriale italiana, con una eccezione solo per quanto riguarda il comparto alimentare. Secondo i dati Istat, nel mese di dicembre si è registrato un calo del 7,1% su base annua (solo ai tempi del Covid si erano registrati risultati peggiori) e del 3,1% rispetto a novembre. A trainare il crollo della produttività industriale sono, in particolare, due settori: quello automobilistico e quello della moda. Salgono così a 23 i mesi di caduta consecutiva nel dato tendenziale, secondo quanto riporta Il Sole 24 ore. In termini di incassi, la diminuzione della produttività è costata al settore manifatturiero ben 42 miliardi di euro e dal lato produttivo si traduce in una frenata media del 3,5%, secondo arretramento annuo consecutivo dopo il – 2% del 2023. «Nell’ambito della manifattura, solo le industrie alimentari, bevande e tabacco sono in crescita rispetto all’anno precedente, mentre le flessioni più marcate si rilevano per industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori e fabbricazione di mezzi di trasporto», ha commentato l’Istat.

Secondo l’ufficio di Statistica italiana, a fine 2024 l’utilizzo della capacità produttiva si è ridotta al di sotto del 75%, eguagliando solo quanto successo in pieno periodo Covid, durante il terzo trimestre del 2020. Inoltre, oltre un quarto delle aziende ritiene insufficiente la domanda: si tratta di livelli doppi rispetto alle medie storiche di questo indicatore. La domanda è debole anche dal lato degli investimenti: il mercato interno dei produttori di macchinari, ad esempio, è in riduzione del 17,4% nelle stime Federmacchine, pari a un calo di oltre cinque miliardi nel 2024. A trainare il crollo produttivo sono soprattutto il settore auto e moda: per quanto riguarda il primo, l’attività di produzione risulta quasi dimezzata (- 43%), mentre relativamente alla seconda, il tessile abbigliamento ha registrato una frenata del 18%. In calo anche il settore metallurgico, insieme a macchinari e legno-carta che registrano una diminuzione di oltre il 9%. Tra i settori manifatturieri in senso stretto non si registra alcun dato positivo. A dicembre solo i comparti dell’energia elettrica e dell’attività estrattiva hanno segnato dati positivi.

A frenare la produttività italiana è in particolare la recessione dell’economia tedesca, che genera effetti a catena sugli acquisti delle merci italiane. Ciò ha provocato 3,6 miliardi di perdite in export nei primi 11 mesi del 2024. Si tratta del risultato della riduzione delle importazioni tedesche dal mondo, in calo del 2,8% nel 2024, così come in calo di un punto è stato l’export di Berlino. Il Pil tedesco ha chiuso il 2024 con il segno meno per il secondo anno consecutivo, esito di un’economia ferma in termini produttivi, su cui pesa soprattutto la crisi dell’auto. Le difficoltà in cui versa il marchio storico Volkswagen possono essere considerate il simbolo della sofferenza dell’economia teutonica. La Germania ha visto un declino accelerato della sua economia soprattutto in seguito all’interruzione dei rapporti energetici con la Russa, da cui importava la metà del suo fabbisogno energetico a prezzi competitivi. Le pressioni USA in tal senso e la sostituzione delle forniture russe con il più costoso GNL (gas naturale liquefatto) americano, insieme alla concorrenza asiatica e americana e agli alti costi della transizione all’elettrico, hanno decretato il crollo della più grande economia europea, con inevitabili conseguenze anche per gli altri Paesi. L’Italia, in particolare, che intrattiene rapporti economici e commerciali con le industrie tedesche, non ha tardato a sentire gli effetti della contrazione tedesca, registrando a sua volta un duro crollo della produttività.

[di Giorgia Audiello]

Repubblica Democratica del Congo, ribelli conquistano aeroporto Bukavu

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I ribelli del M23, milizia appoggiata dal Ruanda, hanno preso il controllo dell’aeroporto di Bukavu, la seconda città più importante della Repubblica Democratica del Congo. La chiusura della struttura sarebbe stata confermata a Reuters da due dipendenti dell’aeroporto. Questa rappresenta l’ultima conquista dall’inizio dell’offensiva avviata nei primi giorni di quest’anno e che ha già portato il gruppo alla conquista della città di Goma, nell’est del Paese. Ora, i ribelli sembrano puntare direttamente sulla città di Bukavu. Fonti della società civile hanno riferito a Reuters che la città “non può reggere”, in caso di un simile attacco.

Precariato nelle scuole, l’UE ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia

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La Commissione Europea ha avviato una procedura di infrazione contro le «condizioni di lavoro discriminatorie» in cui lavorerebbero gli insegnanti a tempo determinato. Di preciso, si legge nella nota di comunicazione, la Commissione contesta all’Italia di non aver adeguato pienamente la legislazione nazionale alla direttiva sul lavoro a tempo determinato: «Secondo la legge italiana, gli insegnanti a tempo determinato non hanno diritto ad una progressione retributiva progressiva in base ai periodi di servizio precedenti, a differenza degli insegnanti a tempo indeterminato», regolamento che violerebbe «il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo determinato» e conseguentemente «il diritto dell’UE». Ora l’Italia ha due mesi di tempo per rispondere e colmare le carenze sollevate dalla Commissione.

La Commissione ha notificato la procedura di infrazione all’Italia mercoledì 12 febbraio, inviando una lettera di costituzione in mora a Roma. La nota diffusa dall’organo europeo elenca la procedura nella sezione 8, sotto le infrazioni relative ai temi di lavoro e diritti sociali, e quella all’Italia è l’unica della categoria. La Commissione denuncia in particolare la violazione della direttiva 1999/70 del Consiglio scritta con lo scopo di “dare attuazione all’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 tra le organizzazioni generali interprofessionali”. Di preciso, l’Italia violerebbe la clausola 4 della direttiva, relativa al principio di non discriminazione sul luogo di lavoro, che, al punto 1, determina che “per quanto riguarda le condizioni di lavoro, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato” salvo per “motivi oggettivi”. La mancata progressione stipendiale per scatti di anzianità violerebbe il punto 4 della clausola, che stabilisce in maniera piuttosto limpida che “le qualifiche di anzianità di servizio relative a particolari condizioni di lavoro sono le stesse per i lavoratori a tempo determinato e a tempo indeterminato”, sempre ammettendo eccezioni in singoli casi. Ora l’Italia ha due mesi di tempo per fornire una risposta “soddisfacente” alla Commissione e per adottare le misure necessarie. Nel caso in cui il governo non dovesse muoversi per tempo, la Commissione emetterà un parere motivato, aprendo la strada a possibili sanzioni per il Paese.

In Italia secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione e del Merito, aggiornati al 31 agosto 2023, a fronte di 943.681 docenti, 234.576 hanno un contratto a tempo determinato. Si tratta del 24,85% degli insegnanti, in proporzione più del doppio di quelli che si contavano nell’anno scolastico 2015-2016. In questi ultimi nove anni, la crescita della sproporzione tra insegnanti precari e docenti a tempo indeterminato non si è mai arrestata, ma il ritmo è rallentato a partire dal 2021. Nel periodo più recente, dei 709.105 professori di ruolo, solo 29.202 avevano meno di 34 anni, contro i 301.126 over 54. Secondo un’analisi dell’OCSE, gli insegnanti in Italia tendono ad essere relativamente anziani rispetto alla media: il 60% degli insegnanti della scuola secondaria superiore ha 50 anni o più, mentre la media OCSE è solo del 40%; a disincentivare l’ingresso di giovani all’insegnamento, sono certamente gli stipendi effettivi medi degli insegnanti, che toccano solo il 69% del salario di altri lavori accessibili con istruzione terziaria in Italia. Oltre un terzo (80.123) dei precari italiani nell’istruzione, inoltre, ha più di 44 anni tanto che l’età media per entrare di ruolo è compresa tra i 40 e i 50 anni. Malgrado ciò, il ministero dell’Istruzione ha messo in atto una strategia per escludere dai concorsi i precari più anziani. Di fronte a questo scenario di totale deriva della scuola pubblica, il governo continua ad aumentare i finanziamenti alle scuole private, continuando intanto a mantenere la spesa pubblica per l’istruzione al di sotto della media OCSE di quasi un punto.

[di Dario Lucisano]